Avsnitt
-
Testo integrale in inglese (Corpus Dei Raviglione Barbara)
Raviglione Barbara
UP2066699
Data: 2 maggio 2024
Supervisore: Veronika Carruthers
Conteggio parole: 10.481
Tesi presentata in parziale adempimento dei requisiti della laurea in Criminologia BSC (Hons) con laurea in Psicologia.
UNIVERSITÀ DI PORTSMOUTH
SCUOLA DI CRIMINOLOGIA E GIUSTIZIA PENALE
Dichiaro che la presente tesi è sostanzialmente opera mia;
Acconsento che la mia tesi in questo formato attribuito (non anonimo), soggetto all'approvazione finale della Commissione d'esame, sia resa disponibile elettronicamente nell'archivio tesi della Biblioteca e/o negli archivi digitali del Dipartimento. Le tesi verranno conservate di norma per un massimo di dieci anni;
Comprendo che se acconsento, questa tesi sarà accessibile solo al personale e agli studenti solo come riferimento;
Questa autorizzazione può essere revocata in qualsiasi momento inviando un'e-mail a [email protected] .
FIRMATO:
NOME IN STAMPATELLO: Raviglione Barbara
DATA: 2 maggio 2024
Ringraziamenti
Vorrei ringraziare i miei supervisori, la dottoressa Leah Fox e Veronika Carruthers, per il supporto che mi hanno fornito lo scorso anno, dal mio primo passo fino al completamento di questa tesi. Inoltre, un ringraziamento speciale va all'Università di Portsmouth, alla Scuola di Criminologia e Giustizia Penale e al personale dell'Università.
Con gratitudine ringrazio la mia famiglia, per il sostegno anche a chilometri di distanza, per le infinite chiamate a superare la distanza, e per accogliermi sempre a casa con un abbraccio. Senza di te, niente di tutto questo sarebbe possibile.
Inoltre, voglio ringraziare i miei amici, coloro con cui ho condiviso momenti preziosi, di felicità e di tristezza, dalle serate di gioco alle interminabili sessioni in biblioteca, e una menzione speciale va a Edward, che è stato il mio primo amico in questo nuovo Paese e non se n'è mai andato. il mio lato.
Infine, una menzione particolare va ad Atlante, Astolfo, Orlando e Luna, che ora solcano i cieli e mi osservano dall'alto: mi avete mostrato che c'è bellezza e speranza nella vita.
Parla di equità, ce ne fosse la metà
Saremmo già da un pezzo in fuga in mare aperto,
Parla di onestà, ce ne fosse la metà
Sareste già da un pezzo prossimi all’arresto.
Willie Peyote, “Io non sono razzista ma…”.
Astratto
La questione degli abusi sessuali clericali è stata importante fin dal Medioevo; tuttavia, è stato considerato un crimine minaccioso solo dagli anni '80. Casi come l'articolo Spotlight del Boston Globe, le inchieste sul mandato del governo irlandese e le scoperte nel giornalismo spagnolo hanno portato alla luce le ramificazioni di questo crimine nella Chiesa cattolica romana. Tuttavia, la letteratura riguardante la penisola italiana è scarsa e nuova e si concentra principalmente sulla storia degli abusi sessuali da parte dell'Ecclesiaste o sul racconto delle esperienze delle vittime. Questa tesi mira a colmare le lacune relative agli atteggiamenti pubblici e alla copertura mediatica, al fine di scoprire se uno influenza l'altro e le eventuali questioni circostanti. È stato realizzato attraverso l'utilizzo di un approccio metodologico misto, ovvero un'indagine dedicata alla popolazione italiana e un'intervista ad un'importante associazione di sopravvissuti. I principali risultati evidenziano la mancanza di misure per prevenire il verificarsi di abusi, la collaborazione tra Chiesa e Stato e la ridotta presenza di segnalazioni di abusi sessuali clericali nei principali media italiani. Attraverso l’impiego delle teorie della Criminologia Critica, in particolare correlandole al clericalismo e all’egemonia dei media, questo articolo ha scoperto che la classe dirigente influenza fortemente la pubblicazione di articoli che circondano questa violenza sessuale, poiché non si adattano all’agenda politica. Pertanto, -
Due o tre cose da tenere a mente quando si legge una notizia di cronaca che riguarda membri della Chiesa o della Santa Sede sui principali giornali del nostro Paese, oppure quando viene data su uno dei Tg della Rai. In Italia è cosa rara l'informazione sulle cose di Chiesa indipendente dalla Chiesa stessa.
Quasi tutte le notizie più importanti che passano attraverso i media generalisti arrivano direttamente dalla sala stampa della Santa Sede o sono filtrate dai “vaticanisti”, giornalisti cioè formati e accreditati presso la Sala Stampa vaticana. E che rischiano di perdere l’accredito in caso di articoli non graditi da Casa Madre. A parte rare eccezioni, le inchieste o gli approfondimenti sui lati oscuri della Chiesa quasi mai vengono approcciati con una visione realmente laica, indipendente e deontologicamente ineccepibile. Al contrario, si raccontano in maniera del tutto parziale, cioè solo dal punto di vista della Chiesa, le situazioni di criticità che riguardano tutto ciò che accade all'interno e in “prossimità” delle mura leonine.
Un altro elemento fortemente indicativo è rappresentato dal numero di testate giornalistiche riconducibili alla Chiesa che usufruiscono dei fondi pubblici all’editoria. Come ho ricostruito in un’inchiesta sulla rivista Nessun Dogma, su 117 giornali e periodici che si spartiscono i contributi, ben 55 (il 47%) sono testate e riviste di chiara matrice cattolica, se non addirittura organi di stampa che fanno capo ad alcune delle 224 diocesi italiane. In pratica quasi un giornale su due finanziato dallo Stato ha come editore di riferimento la Chiesa. Poiché tre indizi fanno una prova, ne cito un altro. Mi riferisco al solido accordo, di recente rinnovato, tra la Rai e la Conferenza episcopale per la trasmissione di contenuti religiosi nella televisione pubblica. Un’intesa che ha rafforzato il numero di trasmissioni a contenuto religioso e di religiosi nelle trasmissioni della tv pubblica, in un palinsesto zeppo di fiction a sfondo religioso e dove già la Chiesa cattolica sfiora il 100% di presenze sul totale dei soggetti confessionali, e dove nei tre Tg nazionali, ma anche nei principali Tg privati, il papa è più presente del presidente Mattarella.
E poi ci sono i giubilei e le beatificazioni. Veri e propri strumenti di auto promozione a spese del contribuente italiano che oramai vengono utilizzati con scadenze sempre più ravvicinate. Come ricordano diversi studiosi, dato che per quattro secoli in età moderna e contemporanea i papi sono stati quasi tutti italiani, il nostro Paese è divenuto una terra “privilegiata” di destinazione del messaggio e di formazione di una mentalità religiosa collettiva. E abbiamo i principali quotidiani che quando scrivono del papa usano l'epiteto “sua santità” o analoghi, accettando acriticamente la dimensione clericale che è insita in questa terminologia, contribuendo a far attecchire questa mentalità.
E così a poco a poco l’opinione pubblica perde di vista alcune cose fondamentali per sviluppare il proprio senso critico. Per esempio? Per esempio è bene ricordare che la Santa Sede è una monarchia assoluta governata da una casta maschile celibe di circa 200 cardinali. Il papa detiene il potere assoluto nella chiesa cattolica e nella dimensione politica riassume i tre poteri nella sua persona esercitati generalmente tramite delega (legislativo, esecutivo e giudiziario). Tutti gli devono obbedienza attraverso le vie gerarchiche. Il pontefice è colui che insieme a quella casta decide le regole morali a cui si devono attenere loro stessi, il clero e soprattutto l'enorme numero di fedeli nel mondo. La prima conseguenza di una struttura organizzata in questo modo è la mancanza di trasparenza che nell'informazione e nell'attività giudiziaria della Santa Sede raggiunge i livelli più elevati. Perché a monte c'è l'idea che il papa, cioè la chiesa cattolica, non deve giustificarsi con nessuno di ciò che fa e dice. Delle proprie azioni e decisioni il pontefice risponde solo a... -
Saknas det avsnitt?
-
La storia di Savona, piccola città ligure del nord Italia, dalla seconda metà del 1400 al centro tuttavia di curiosi casi, alcuni riconducibili ancora oggi alle crociate tra cui la leggenda di don Bertolotti. Una serie di coincidenze, compreso il fatto che nasca proprio a Savona nel 2010 - oltre alla Rete L'ABUSO - il primo focolaio italiano di sopravvissuti che riuscirà a dare a tante vittime in tutta Italia, il coraggio di uscire allo scoperto.
Una serie di situazioni che negli anni ha portato tanti cattolici a pensare che in qualche modo l'associazione, fosse la mano della volontà divina contro il dramma della pedofilia nella chiesa. Questo per una serie fortuita di fattori indubbiamente rilevanti, che hanno popolato la storia di questa piccola città.
Ma partiamo dalla fine… la panchina viola contro gli abusi sessuali su minori e persone vulnerabili impiantata a Savona il 24 febbraio 2024 in piazza Giulio II.
Come dissi allora “ Una panchina colorata di viola non salva i bambini e non cura chi è stato abusato…è la società che deve farlo”.
Questa è tuttavia in Italia la prima panchina contro l'abuso sessuale su minori e persone vulnerabili. Ne abbiamo cercate invano altre per aggregarci dando per palesemente scontato ci fosse già un'iniziativa.
Invece nulla! Inverosimile che nessuno ci abbia mai pensato, ma i fatti sono questi, per ciò l'iniziativa ha avuto ancora più valore.
Il fatto che si sia voluta impiantare proprio nella piazza che porta il nome di Papa Giulio II, non è affatto una casualità invece, ed è da qui che parte la nostra storia e la visione mistica ti tanti cattolici che negli anni la Rete ha soccorso e aiutato.
“ Tutta la storia della Chiesa è attraversata da episodi di abusi e violenze sui bambini di cui si sono resi protagonisti anche numerosi pontefici. Dal 366, con Damaso I, fino al 1550, con Giulio III, se ne contano diciassette .”
Due di questi sono savonesi oltre che parenti. Parliamo di “ Sisto IV, papa dal 1471 al 1484, noto alle cronache dell'epoca per la sua relazione con un dodicenne. "
“ Scrive di Sisto IV il cronista suo contemporaneo Stefano Infessura: «Costui, come è tramandato dal popolo, ei fatti dimostrarono, fu amante dei ragazzi e sodomita, infatti cosa ha fatto per i ragazzi che lo servivano in camera lo insegna l'esperienza; a loro non solo donò un reddito di molte migliaia di ducati, ma osò addirittura elargire il cardinalato e importanti vescovati. Infatti fu forse per altro motivo, come dicono certi, che abbia prediletto il conte Girolamo, e Pietro, suo fratello e poi cardinale di san Sisto, se non per via della sodomia? E che dire del figlio del barbiere? Costui, fanciullo di nemmeno dodici anni, stava di continuo con lui, e lo dotò di tali e tante ricchezze, buone rendite e, come dicono, di un importante vescovato; costui, si dice, voleva elevarlo al cardinalato, contro ogni giustizia, anche se era bambino, ma Dio vanificò il suo desiderio».”
Sisto IV era lo zio di Giulio II che diventerà papa nel 1503 e soprannominato “ il papa guerriero ”.
Di Giulio II, “nel 1511, si documenta la storia con il piccolo Gonzaga di dieci anni”.
Siamo nel 1550 e una pasquinata di allora recita:
Ama Del Monte con uguale ardore
la scimmia e il servitore.
Egli al vago femmineo garzoncello
ha mandato il cappello: [nda l'ha nominato cardinale]
perché la scimmia, a trattamento uguale,
non fa pur cardinale?»
*Testo tratto da “ Chiesa e pedofilia ” di Federico Tulli (L'Asino d'oro ed., 2010, pp. 19-21)
Certamente ora apparirà più chiaro il motivo e l'importanza simbolica di una panchina contro l'abuso, promossa per la prima volta in Italia dall'unica associazione che si occupa nello specifico di vittime del clero. Per questo si è scelta come primo impianto italiano piazza Giulio II. Quella dedicata allo zio Sisto IV è priva di panchine e perciò esclusa.
Ma un altro papa toccherà la storia di Savona. In questo caso non si ha di lui notizia su eventuali tendenze pedofile. -
In tanti conosciamo la sconcertante vicenda di pedoflia scoperta dal Boston globe tra la fine del 2001 e il 2002 - e magistralmente ricostruita nel film Spotlight - ma pochi ricordano in quale contesto si sviluppò. Si tende quindi a credere che quello che accadde nella diocesi di Boston fu una sorta di fulmine a ciel sereno. Nulla di più lontano dalla realtà.
Già prima della metà del 2001 - cioè quasi sei mesi prima del primo articolo di Spotlight che risale al 10 settembre 2001 - dagli Stati Uniti giungevano segnali evidenti che le fondamenta della Chiesa americana cominciavano a scricchiolare pericolosamente.
Il 30 aprile 2001 Giovanni Paolo II interviene sul problema dei preti pedofili con il Motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela”, e poche settimane dopo, il 21 maggio, con l’autorizzazione del De delictis gravioribus firmato dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, e dal suo segretario, il cardinale Tarcisio Bertone. Ratzinger intima ai vescovi di essere tempestivamente informato delle accuse di pedofilia contro i sacerdoti e li esorta a svolgere indagini, anche di fronte a un semplice sospetto. Nulla deve trapelare se non a procedimenti conclusi, che possono durare però anche decine di anni. Sulla base di queste disposizioni, che rinnovano espressamente quanto stabilito nel Crimen sollicitationis di Giovanni XXIII, un anno dopo il 23 aprile 2002 i tredici cardinali statunitensi entrano in Vaticano al cospetto di Giovanni Paolo II. Il pontefice definisce la pedofilia «un crimine» e «un peccato» dicendo che non c’è «posto nel sacerdozio» per chi potrebbe far male ai bambini. Le stesse parole saranno rivolte dal suo successore nel 2010 ai vescovi d’Irlanda. Siamo nel pieno della bufera sollevata dalle inchieste di Spotlight del Boston Globe che porteranno a fine anno alle dimissioni del cardinale Law.
Le conclusioni di quella riunione ispirano i 252 vescovi statunitensi che il 26 giugno 2002 approvano lo Statuto dei vescovi per la protezione dei bambini e dei giovani, in cui si prevede che i preti che sono stati o che saranno coinvolti in casi di pedofilia non potranno più avere contatti con i fedeli, quindi celebrare messa o insegnare catechismo. Non passa, però, la linea della “tolleranza zero”, quella della sospensione automatica “a divinis” di chi è coinvolto negli scandali e quella di chi propone di trattare tutti gli stessi casi allo stesso modo. Compresi quelli relativi ad accuse che si riferiscono a venti o trent’anni prima (come nel caso della gran parte delle vicende denunciate in quei mesi negli Usa in seguito all’inchiesta del Boston globe) e che colpiscono un prete che nel frattempo si è rivelato «cambiato e innocuo». Contro la tolleranza zero e a favore di «un invito alla prudenza» spingono soprattutto due figure carismatiche: gli arcivescovi di New York e Chicago, Edward Egan e Francis George.
Per inciso, due anni dopo, il 27 febbraio 2004 il National Review Board (NRB), il gruppo di controllo di laici insediato dalla Conferenza episcopale americana, accuserà Egan di «aver chiuso gli occhi davanti a evidenti casi di pedofilia». Analoga accusa riceverà nel gennaio del 2006, sempre dal NRB, Francis George, per essersi rifiutato di rimuovere il reverendo Daniel McCormack quando già a ottobre 2005 questi era finito sotto inchiesta per pedofilia. In seguito si scoprirà che McCormack aveva violentato una sua alunna di dodici anni fino a dicembre di quell’anno. Nel 2007 George fu nominato a capo della Conferenza episcopale americana.
Torniamo al 2002 e allo Statuto dei vescovi di Dallas. Bisognerà attendere quattro mesi prima che il Vaticano si pronunci sul documento. Il verdetto viene emesso il 18 ottobre ed è negativo. Le norme sono da riscrivere perché non si conciliano con il diritto canonico. La bocciatura della Santa Sede porta la firma dal cardinale Giovanni Battista Re in qualità di prefetto della Congregazione per i vescovi. -
“Dalla parte dei bambini” vuole essere una ricognizione sul fenomeno dell’abuso sessuale sui minori: la pedofilia.
Capire l'entità del fenomeno, i silenzi e le coperture, le complicità e le connivenze.
Un fenomeno complesso che non è, ovviamente, solo ecclesiastico, ma che trova in questo ambiente una sua collocazione omertosa, con tentativi di ridimensionamento e insabbiamento di eventi criminosi, corsie preferenziali e assenza di tutela per le vittime.
L ’atteggiamento dei vertici cattolici nei confronti degli abusi perpetrati da propri rappresentanti non è mai stato di particolare disponibilità: nel migliore dei casi si è cercato di minimizzare il fenomeno, nel peggiore si è arrivati ad attaccare frontalmente chi ha avuto il coraggio di parlarne.
E’ tuttavia in corso un cambiamento, che sta prendendo piede da un nuovo modo di intendere il bambino: l’infanzia è un mondo a cui le società del terzo millennio prestano molta più attenzione di prima. Lo stupro non è più banalizzato come accadeva fino a pochi anni fa: ora, con l’eccezione della Santa Sede, è quasi ovunque considerato un reato contro la persona, e questo rende molto più palese che qualsiasi forma di stupro è da considerarsi un atto criminale. Forse, è anche il frutto di un atteggiamento diverso da parte dei fedeli, non più disposti a tollerare qualunque comportamento da parte delle loro guide spirituali.
In Italia se ne parla, ma meno che altrove: non perché manchino i casi, ma perché è presente una stretta censoria sui mezzi di informazione, che impedisce di affrontare l’argomento così come viene affrontato persino in paesi meno secolarizzati del nostro .
Il problema viene affrontato da diversi punti di vista:
l primo riguarda la mentalità, abbiamo la cultura del silenzio, dell’omertà. Abbiamo anche lo stigma contro le vittime degli stupri e degli abusi. E abbiamo anche il concetto che preti e vescovi siano più uguali di altri, siano sacri, santi, intoccabili.
Ma abbiamo anche questioni di diritto perché il Concordato, che la nostra Corte suprema ha definito come un tipo molto particolare di trattato internazionale, riafferma nell’art. 1 dell’Accordo il principio secondo cui “Stato e Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”.
D’altra parte, pero’ :
l’ARTICOLO 4 delinea immunità ed esenzioni dal servizio militare per gli ecclesiastici e religiosi e stabilisce il principio che “gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero”.
Pertanto, “grazie” al Concordato, il clero cattolico non è tenuto a fornire alle autorità informazioni rilevanti di cui viene a conoscenza, comprese notizie di reato.
VIENE MINATO IL PRINCIPIO COSTITUZIONALE SECONDO CUI TUTTI I CITTADINI SONO UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE, E DEVONO AVERE LO STESSO TRATTAMENTO.
Inoltre, nel protocollo addizionale, al punto 2 (b) si stabilisce quanto segue:
“La Repubblica italiana assicura che l'autorità giudiziaria darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici.”
Si prevede quindi che sacerdoti e vescovi che stanno per essere indagati debbano essere preventivamente informati dalla polizia. con un evidente rischio di inquinamento delle prove.
VIENE MINATO IL PRINCIPIO DI AUTONOMIA DELLO STATO LAICO ITALIANO.
Ci condurranno in questo percorso Francesco Zanardi, portavoce della rete L'Abuso; Federico Tulli, giornalista per anni firma di Left; Mario Caligiuri, Avvocato del Foro di Roma, attivista per i diritti umani e contro le violenze alla persona-responsabile dell'osservatorio permanente per la tutela delle vittime della Rete L'Abuso.
Verranno inoltre presentate le osservazioni sull'argomento da parte del Garante dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza di Bergamo.
Dal caso Italia, unico fra i grandi paesi di tradizione cattolica in cui Stato e Chiesa n... -
Mezzo secolo di accuse. Così titolava nel 2002 una scheda pubblicata su “L’Espresso” da Sandro Magister dedicata a Marcial Maciel Degollado fondatore dei Legionari di Cristo, una congrega di livello mondiale potente all’epoca quanto l’Opus Dei: “Le prime accuse di violenza su minori sono del 1948. Sono trasmesse a Roma dai gesuiti di Comillas, in Spagna, dove Maciel aveva mandato i suoi discepoli a studiare. Ma il Vaticano le lascia cadere. Secondo round nel 1956. Questa volta il Vaticano indaga su nuove accuse ancor più pesanti. Maciel è sospeso per due anni dalle sue funzioni ed esiliato da Roma. Ma nel febbraio del 1959 è reintegrato a capo dei legionari. Terzo. Nel 1978 è l’ex presidente dei legionari negli Stati Uniti, Juan Vaca, con un esposto a Giovanni Paolo II, ad accusare Maciel di comportamenti peccaminosi con lui quand’era ragazzo in Messico. Nel 1989 Vaca ripresenta a Roma le sue accuse. Senza risposta. L’ultima tornata inizia nel febbraio del 1997 con la denuncia pubblica, da parte di otto importanti ex Legionari, di abusi sessuali commessi da Maciel a loro danno negli anni Cinquanta e Sessanta in Messico. Nel 1998, il 17 ottobre, due degli otto accusanti, Arturo Jurado Guzman e José Barba Martin, accompagnati dall’avvocato incontrano in Vaticano il sottosegretario della Congregazione per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti, e chiedono la formale apertura di un processo canonico contro Maciel. Il 31 luglio del 2000 Martin, incontra di nuovo in Vaticano monsignor Girotti. Ma senza alcun risultato”.
La situazione per Maciel precipita pochi anni dopo. Nel 2004 il promotore di giustizia, monsignor Charles Scicluna, incaricato dalla Santa Sede di indagare, raccoglie le testimonianze di trenta ex seminaristi Legionari che accusavano Maciel di abusi sessuali e psicologici. Nel 2005 Joseph Ratzinger diventa Benedetto XVI. Il 19 maggio 2006 l’ultraottantenne fondatore dei Legionari viene sospeso a divinis per le violenze pedofile e per aver assolto dei pedofili in confessione, ed è «invitato» dalla Congregazione, con l’avallo di Benedetto XVI, a ritirarsi a una vita di preghiera e di penitenza e a rinunciare a ogni ministero pubblico. Ma Benedetto XVI è, come detto, Joseph Ratzinger, cioè la stessa persona che quando era a capo della Congregazione per la dottrina della fede tra il 1981 e il 2005 sapeva delle accuse contro Maciel Degollado e non ha fatto letteralmente nulla contro di lui. Ecco cosa scrivono al termine di un’inchiesta condotta per sei anni i giornalisti statunitensi Jason Berry e Gerald Renner, raccolta nel
libro “I Legionari di Cristo. Abusi di potere nel papato di Giovanni Paolo II” (Fazi ed.): “Sotto il papato di Wojtyla, varie inchieste, avviate dopo le numerose accuse di abusi sessuali a carico di Maciel, vennero insabbiate dal Vaticano. Nel 2004, Giovanni Paolo II arrivò a elogiare pubblicamente Maciel durante una solenne cerimonia. E Ratzinger, allora a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, eluse ogni richiesta di mettere il prete messicano sotto processo, mentre il segretario di Stato Sodano si impegnò strenuamente per difenderlo. L’inchiesta vaticana è brevemente avanzata dopo la morte di Wojtyla per il quale iniziò subito il processo di beatificazione; ma l’annuncio del Segretariato di Stato (20 maggio 2005) che Maciel non avrebbe dovuto affrontare un processo canonico solleva gravi interrogativi sul nuovo papato. Ancora in settembre, otto mesi prima della punizione inflitta da Benedetto XVI, Sodano invita Maciel a Lucca come ospite ufficiale di una prestigiosa conferenza”.
La tesi di Berry e Renner è convincente, osservò il “Boston Globe”: “Maciel ha compiuto abusi sessuali in serie e avrebbe dovuto essere allontanato dalla Chiesa da lungo tempo, ma è rimasto indenne grazie al potere che ha acquisito in Vaticano sotto Giovanni Paolo II”. Morto Wojtyla la Santa Sede, come da prassi consolidata, si affrettò a sminuire le responsabilità del nuovo papa Ratzinger affidando ... -
Premetto che questa analisi su, ciò che ritengo in una società civile una imbarazzante miseria di valori, è frutto di quasi venti anni di esperienza nella specifica materia, prima come vittima inconsapevole, poi come osservatore e poi ancora come fondatore di una Rete di sopravvissuti che, da oramai 15 anni, assiste in particolare le vittime abusate sessualmente dal clero. Una categoria particolarmente discriminata in Italia in quanto gli stessi abusanti hanno un ruolo ancora oggi di fiducia e di potere che spesso, come vedremo, non è di poca influenza. Come potrete rendervi conto nell’articolo, la categoria del clero pedofilo in Italia è così privilegiata da discriminare paradossalmente i pedofili laici, i quali non godono di una organizzazione e di una società timorata che li tutela.
Una leva tale da mettere spesso in difficoltà persino gli inquirenti che raramente sollevano questioni verso le gerarchie che favoreggiano. Raro quanto accaduto nel caso di Tivoli, dove la Procura ha avuto il doveroso coraggio di indagare a 360° riscontrando e annotando che “il clima di omertà ambientale è molto simile a quello mafioso”.
Il solo fatto che in Italia, a differenza degli altri paesi, esista da decenni una sola associazione che si occupa di vittime del clero dovrebbe far riflettere di suo.
Diciamo tranquillamente che mentre negli altri paesi si ha coscienza che lo stupro di un minore o di una persona vulnerabile è il problema sociale, in Italia il problema sociale si sposta sulla società stessa che, malgrado oggi sia consapevole del problema, continua a snobbarlo quasi si sentisse “immune”. Questo fa comprendere quanto il problema in Italia sia radicato e parta davvero dal basso.
Una riflessione maturata in occasione dell’iniziativa di sensibilizzazione sociale lanciata dalla Rete L’ABUSO, la PANCHINA tematica VIOLA contro l’abuso di minori e persone vulnerabili…
Un’iniziativa allargata come deve essere alla pedofilia in generale alla quale volevamo aggregarci dando per scontato esistesse già, accorgendoci però che in Italia non vi era un’iniziativa in questo senso. Trovammo panchine tematiche per tutto, persino per gli abbracci.
Nessuna per questo genere di crimini.
Cerchiamo di capire il perché di questa “anomalia” tutta italiana: non si può dire che il paese non sia sensibile ai problemi dei minori, se pur va anche qui notato che preferiamo sostenerli a distanza e, non che sia male, ma come vedremo più avanti, quasi a negare a noi stessi uno stato sociale. Di fronte agli abusi c’è spesso solo una indignazione, che lascia il tempo che trova. Manca “l’amor proprio” e una coscienza civile e collettiva responsabile, quella che porta a una reazione, al contrasto, alla tutela e alla prevenzione.
Esaminando i pochi dati statistici disponibili in Italia sul fenomeno, in particolare su minori, notiamo un’altra anomalia, ovvero si contano ogni anno statisticamente le vittime, ma anche in questo caso non c’è nessuna campagna di sensibilizzazione sociale, né azioni concrete di contrasto al fenomeno. Il primo e unico SPOT di sensibilizzazione che ricordo è quello della Polizia Postale, circoscritto alla pedofilia online. Risale però a 15 anni fa. (Giancarlo Giannini presenta il Centro Nazionale per il Contrasto alla pedo pornografia in Rete)
Da quanto si rileva in Italia dalle scarne e spesso incomplete statistiche, le effettive denunce all’autorità giudiziaria sono nettamente inferiori confronto ai paesi dell’area UE, circa il 12 – 15 %. Anche qui emerge un altro dato interessante, provengono per la maggioranza dalla società civile e riguardano quasi unicamente contesti familiari.
Particolarmente significative anche le cifre sulla pedopornografia online, dove però anche qui non si riscontrano indagini o arresti nei confronti dei pedofili, se non qualche sporadico blitz spesso nel contesto internazionale.
Chiarito l’ambiente generale proviamo ora a spostarci in un contesto di aggregazione come potrebbe essere per esempio un pic... -
Quando i giornali italiani rilanciano in maniera enfatica e acritica le dichiarazioni roboanti di gerarchi della Chiesa contro la pedofilia, quando sentiamo un monsignore dichiarare convinto di voler fare pulizia fino in fondo, quando vengono elogiati i risultati di loro (presunte) commissioni d’inchiesta e si annunciano impegni ecclesiastici di vario genere nei confronti delle vittime, è bene sapere – perché molto spesso i giornalisti italiani dimenticano di informare i loro lettori – che la cosiddetta “giustizia” ecclesiastica si fonda sulla convinzione che il più violento dei crimini nei confronti di un bambino o una bambina sia prima di tutto un delitto contro la morale.
E come tale viene trattato: il punto per la Chiesa, quella italiana in particolare, come ho dimostrato sin dal 2010 documenti e testimonianze alla mano nei miei libri e in quello che ho scritto con Emanuela Provera, non è tanto evitare che un pedofilo ghermisca la sua preda ma che un prete e la sua vittima facciano del «male» a Dio. È questo che è intollerabile, sta qui la «tolleranza zero» di papa Francesco, tanto esaltata anche dalla stampa laica e progressista nostrana.
Si tratta di una visione umanamente inaccettabile, di cui l’Italia – uno Stato laico per Costituzione – non tiene conto nel tenere in vita il Concordato e l’articolo 4 in particolare che consente ai vescovi di non collaborare con la magistratura civile e costringe i magistrati a informare il vescovo quando viene aperto un fascicolo nei confronti di un suo sacerdote.
Cosa comporta questa situazione? Comporta che il prete pedofilo – che come tutti i pedofili è una persona gravemente malata di mente ma non di quelle che danno in escandescenza – sia lucidamente consapevole di poter agire pressoché indisturbato, potendo contare sulla “copertura” delle proprie istituzioni, e su un credito socialmente e politicamente riconosciuto molto più alto di qualsiasi altro membro della società civile.
Questo significa che la vittima durante la sua vita non dovrà combattere solo contro le conseguenze della violenza in sé, ma anche contro tutto ciò che un sacerdote rappresenta ancora oggi – spesso inspiegabilmente- nell’immaginario comune. E dovrà combattere contro l’istituzione religiosa, di cui il pedofilo fa parte, capace di condizionare in maniera profonda sia l’opinione pubblica che la politica con suoi onnipresenti organi di propaganda e informazione, al fine di preservare in primis l’immagine pubblica del papa. E poco importa a costoro se questo atteggiamento abbia come diretta conseguenza la lesione di un diritto umano fondamentale: la salute psicofisica della persona. -
di Federico Tulli - Silenzio e preghiera. È questa la pena comminata dalla Chiesa cattolica
agli ecclesiastici che violano le sue leggi interne.
Dal 2000, sappiamo grazie a Rete L’Abuso che sono almeno 200 i sacerdoti denunciati in Italia per pedofilia. Per molti di loro il reato di cui sono stati accusati era prescritto, ma almeno centoquaranta sono stati indagati o condannati. Alcuni in via definitiva. Indagando con Emanuela Provera per il nostro libro edito da Chiarelettere “Giustizia divina” abbiamo così scoperto che molto pochi sono in carcere o sono passati per un carcere. Dove si trovano? Dove scontano le misure alternative?
La risposta non è ovvia, e non solo perché i preti quasi mai hanno una casa di proprietà. Di loro si occupa la Chiesa. Come una «madre amorevole». «Non è vero che la Chiesa nasconde i preti pedofili, si sa benissimo dove si trovano. Spesso sono i magistrati che ce li portano ma,
sempre, il loro vescovo è al corrente del loro “domicilio”. Altrimenti dovrebbe denunciarne la scomparsa» ci ha raccontato un diacono psicoterapeuta che ha chiesto di rimanere anonimo. Abbiamo così scoperto che in Italia esiste una efficientissima e molto discreta rete di «assistenza per ecclesiastici in difficoltà» (questa è l’espressione utilizzata dal Vaticano) creata con lo scopo di favorire il recupero dei
rei, tramite la cura – laddove ce ne sia bisogno, come nel caso dei pedofili, – l’espiazione e la penitenza.
Silenzio e preghiera. Per primi, oltre ad averne verificato l’esistenza, abbiamo mappato questa rete di case di cura in tutta Italia e soprattutto siamo entrati in quelle mura intervistando chi vi ha abitato e chi le gestisce. Anche attraverso fonti documentali inedite abbiamo raccontato come sono regolamentate, da chi dipendono, che sono finanziate dalla Conferenza episcopale, che sono state “inventate” da monsignor Ghizzoni, nominato nel 2019 primo presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa. Inoltre, abbiamo raccontato che tipo di vita conducono i preti “reclusi” al loro interno e come sono regolate le relazioni con la società laica. Abbiamo così appurato che il diacono non ci aveva detto tutta la verità. L’atavico timore del Vaticano per lo scandalo pubblico talvolta trasforma questi luoghi in carceri parallele a quelle dello Stato. È in queste «cliniche» che vengono indirizzati con garanzia di anonimato i sacerdoti protagonisti di episodi di abusi su minori che la Chiesa italiana, sulla base delle regole che si è data, non denuncia alla magistratura laica. Finendo paradossalmente per spuntare le armi che lo stesso papa Francesco ha a disposizione per la lotta contro la pedofilia.
Come si combina infatti tutto questo con i suoi frequenti proclami di «tolleranza zero»? Bisogna considerare innanzitutto che è prassi consolidata in Vaticano intervenire pubblicamente laddove non è più possibile celare e risolvere le situazioni di crisi nelle «segrete stanze». Inoltre, le fragilità di un ecclesiastico, le sue cadute, ancorché sfocino nel comportamento criminale, per la Chiesa sono pur sempre peccati, e dai peccati Dio salva, e verso i peccatori vanno usati misericordia e perdono, perché «chi tra voi è senza peccato scagli la prima pietra» (Gv 8,7).
Questa doppia morale affonda le sue radici nella confusione che la Chiesa fa, più o meno volontariamente, tra reato e peccato. L’abuso, per fare un esempio, cioè «l’atto sessuale di un chierico con un minore», è ritenuto un’offesa a Dio, in violazione del sesto comandamento, prima che una violenza efferata contro una persona. Di conseguenza i responsabili, secondo la visione degli appartenenti al clero, devono risponderne all’Altissimo, nella persona del suo rappresentante in Terra,
e non alle leggi della società civile di cui fanno parte.
È questa un’idea di giustizia che si piega alle convenienze della
monarchia papale. E che si fonda sulla convinzione che il più violento dei crimini nei confronti di un bambin... -
di Federico Tulli - Di fronte a un delitto violento e così diffuso nella società civile come la pedofilia, io sono convinto che per comprenderne le motivazioni, organizzare una seria prevenzione a tutti i livelli e anche per fare seria informazione e divulgazione, occorra certamente dare un’adeguata copertura mediatica dei casi - facendo ben attenzione a non scadere nel morboso per vendere qualche copia in più - ma è fondamentale rivolgersi agli esperti. «La cosiddetta ‘pedofilia’ – letteralmente ‘amore per il bimbo’, ma tutto è fuorché amore e sessualità, è un attentato alle capacità della vittima di fidarsi degli altri, di sentire e pensare – è una storia che ha sempre tre componenti: la vittima, l’aggressore e l’ambiente in cui si verifica l’abuso», mi racconta la psichiatra e psicoterapeuta Annelore Homberg, presidente di Netforpp Europa Network Europeo per la Psichiatria Psicodinamica.
«È ormai risaputo che nella maggior parte dei casi la violenza avvenga in famiglia. Premetto che all’estero esistono anche consultori per uomini con tendenze ‘pedofile’ che vorrebbero essere aiutati a non attuarle, ma in Italia questo concetto non si è ancora diffuso. Perciò noi psichiatri vediamo, nell’ambulatorio pubblico oppure nello studio privato, soprattutto le vittime: il bambino o l’adulto che è stato abusato da bambino. Sullo sfondo la persona che ha aggredito, lo zio, il padre, il nonno, il nuovo compagno della madre, ma c’è anche il resto della famiglia, i parenti della vittima – molto spesso la madre – che proprio non hanno visto o che hanno fatto finta di non vedere». Della famiglia, di certe famiglie molto credenti in un certo senso fa parte anche il prete della parrocchia dove i figli seguono la messa, si preparano alla comunione e così via.
«Molte volte», racconta l'esperta, «quando sento queste storie, ho l’impressione che a livello latente ci sia una connivenza, una complicità della madre, o chi per lei, con il violentatore. C’è un essere d’accordo con l’intento che il bambino vada in qualche modo distrutto, nel senso che non deve uscire psichicamente indenne dall’infanzia e dalla pubertà». È un tema complesso e doloroso ma, osserva la dottoressa Homberg, va affrontato se si vogliono capire le dinamiche vere della cosiddetta pedofilia. «Se si estende questa considerazione al caso specifico della Chiesa cattolica», prosegue la psichiatra «possiamo dire che l’istituzione ecclesiastica rientri nella categoria del terzo elemento della triade, quello della ‘madre’ che preferisce non vedere. Oppure, se vede, arriva a sostenere che la vicenda non ha nessuna importanza in confronto alla storia della Chiesa».
Quando qualcuno punta loro il dito contro, come ad esempio ha fatto nel 2014 l’Onu nel caso della violazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia, sembra quasi che dicano ‘ma cosa mai sarà successo?’. «È vero. Inoltre siamo in presenza di un fenomeno che è oggettivamente irritante per qualsiasi cittadino di un paese democratico. C’è un paese in Europa, lo Stato del Vaticano, c’è un’istituzione religiosa, la Chiesa cattolica, che si arroga il diritto di porsi al di sopra e al di fuori delle leggi ‘laiche’ dei singoli Stati. Pretende di fatto di poter costituire uno Stato a sé stante dentro gli altri Stati. Questo fenomeno non si vede solo in Italia, c’è lo stesso problema anche in altri paesi meno monopolizzati dalla Chiesa cattolica come la Germania. Si ha la sconfortante impressione che le gerarchie ecclesiastiche, forse perché sono ancora legate a un modello teocratico medioevale o di monarchia assoluta, siano incapaci di comprendere alcuni concetti moderni come quello di istituzione democratica o di Stato di diritto. Pertanto tranquillamente sostengono che il trattamento di questi che sono dei gravi reati commessi contro cittadini di un determinato paese, e come tali perseguiti dalla giurisdizione di questi paesi, siano in realtà una loro prerogativa da risolvere all’interno della Chiesa stessa, -
di Federico Tulli - A febbraio del 2016 arrivò nelle sale italiane Il caso Spotlight, il film di Tom McCarthy che in quello stesso mese si aggiudicherà due premi Oscar. Spotlight è il nome della squadra di giornalisti del «Boston Globe» che tra il 2001 e il 2002 indagò su alcuni casi di pedofilia clericale avvenuti nell’arcidiocesi locale e mai finiti nel mirino dell’autorità giudiziaria. Sotto la guida di un direttore per nulla intimorito dalle pressioni dei maggiorenti della città più europea e più cattolica degli Stati Uniti, per mesi questi giornalisti intervistarono le vittime e passarono in rassegna migliaia di pagine di documenti. Ricostruirono così un sistema di potere che, sotto la regia del potente arcivescovo Bernard Francis Law, per anni aveva bloccato sul nascere qualsiasi indagine e aveva messo a tacere vittime e testimoni scomodi per la Chiesa.
Lo scoop, che valse al «Boston Globe» il premio Pulitzer 2003, fu per la Chiesa cattolica americana l’equivalente del Watergate. Non solo costò il posto a monsignor Law, che ammise di aver nascosto per anni gli abusi dei suoi sacerdoti, ma diede la forza a migliaia di vittime rimaste in silenzio, e isolate da quella Chiesa di cui si fidavano ciecamente (questo genere di abusi, infatti, avviene quasi sempre all’interno di ambienti profondamente religiosi), di denunciare alle autorità civili i crimini subiti.
Emerse così che l’insabbiamento delle segnalazioni, il pagamento di somme di denaro alle vittime tramite avvocati senza scrupoli affinché non denunciassero i loro aguzzini e il trasferimento dei sacerdoti sospettati di pedofilia, erano la norma negli Stati Uniti. Ben presto, grazie alla lezione universale di giornalismo realizzata dall’inchiesta degli uomini di Spotlight, e magistralmente ricostruita da McCarthy, si scoprirà che lo stesso accadeva da decenni anche in Europa, Australia, Sudamerica e Africa. Ma questa lezione, in Italia, tranne rarissimi casi: la rivista Left, Adista, il lavoro di Federica Tourn su Domani, non è stata evidentemente recepita.
Tra i tanti meriti del film Spotlight c’è quello di aver spiegato chiaramente quanto siano importanti la trasparenza e la collaborazione tra istituzioni nella gestione dei casi di abusi clericali e, al tempo stesso, quanto sia distruttiva per la salute psicofisica delle vittime qualsiasi strategia che non vada in questa direzione. La pellicola di Tom McCarthy evidenzia inoltre l’importanza decisiva del ruolo dei media e di un’informazione libera, indipendente e – per così dire – empatica.
I giornalisti di Spotlight sono riusciti a sbaragliare il potentissimo avversario grazie al rapporto di fiducia instaurato con i testimoni, ponendosi con un approccio laico, affettivo, nei confronti dei loro interlocutori sopravvissuti alle violenze. E senza innalzare la barriera del giudizio morale che scatta quando c’è la convinzione violentissima che sia il bambino a indurre in tentazione l’uomo di fede e a spingerlo a un atto di lussuria, che il Catechismo della Chiesa cattolica annovera tra le «offese alla castità» (can. 2351).
Un’idea perversa e delirante, tuttora radicata e diffusa (anche riguardo alla violenza sulle donne), come emerge ogni tanto da incaute interviste rilasciate da alcuni ecclesiastici, che vedono nel presunto ammiccamento sessuale del bimbo la personificazione del diavolo e attribuiscono allo stupro un carattere di desiderio, annullando completamente la realtà del bambino (bambino che – è bene precisarlo – non ha e non può avere né sessualità né desiderio, dal momento che questa dimensione psicofisica si realizza nella pubertà, con il pieno sviluppo degli organi genitali). Ed è un pensiero che se da un lato ha sempre alimentato il senso di colpa e di oppressione delle vittime riducendole al silenzio, dall’altro ha fornito per decenni ai preti pedofili, descritti non come criminali ma come peccatori indotti in tentazione, la garanzia di impunità da parte della Chiesa cattolica. -
di Federico Tulli - Nel 1517 iniziò a circolare per l’Europa la Taxa camarae, un documento che porta in calce la firma di papa Leone X. Si tratta di un elenco di indulgenze messe in vendita in cambio dell’assoluzione sacramentale dai peccati gravi commessi da religiosi. Omicidio, rapina, furto, truffa. Per il pontefice figlio di Lorenzo de’ Medici, in crisi di liquidità a causa degli spropositati costi di costruzione della basilica di San Pietro, tutto aveva un prezzo.
Tutto poteva essere perdonato. Anche gli stupri di donne e bambini. «Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi», cita il punto 2 del documento. Oggi è oramai opinione diffusa tra gli storici che la Taxa camarae sia un falso, messo in circolazione all’epoca dai seguaci di Lutero che intendevano in questo modo denunciare il degrado morale in cui versava la Chiesa di Roma.
Se quelle tariffe erano un bluff, ciò non può dirsi dei crimini che vennero commessi da sacerdoti di ogni ordine e grado al tempo e nei secoli successivi, sapientemente sottratti dal segreto dell'Inquisizione al pubblico dominio. Vi fa venire in mente qualcosa? Riscontrate per caso delle analogie con il modo in cui la Chiesa, soprattutto quella italiana, affronta il fenomeno criminale della pedofilia ai giorni nostri?
Ecco cosa scrive lo storico Adriano Prosperi, uno dei massimi esperti di storia del Sant'uffizio.
“E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al Sant’Uffizio dell’Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i colpevoli: in realtà era la via d’uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia: Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l’intero corpus del diritto canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del popolo cristiano.
La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l’obbligo del celibato ecclesiastico, preparò un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile del Sant’Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il buon nome del clero: fino a oggi”. -
di Federico Tulli - Nei rilievi della Commissione Onu per i diritti dell'infanzia contro il Vaticano rimasti pressoché inascoltati dal 2014 a oggi non è finita nel mirino degli esperti dell’Onu solo la pedofilia dei preti cattolici. La Convenzione ratificata anche dalla Santa sede si occupa in generale di tutelare, oltre alla sfera psico-fisica dei minori, anche i loro diritti civili fondamentali. In primo luogo, quello a non essere discriminati in base al sesso. È bene ricordare che durante i lavori della Commissione sullo stato delle donne del 2013 la Santa Sede fece obiezione al testo della bozza finale in cui si proponeva che religione, usanze e tradizioni non diventassero il pretesto degli Stati per sfuggire all’impegno di proteggere donne e ragazze da ogni forma di violenza.
Le Nazioni Unite riportano a tal proposito un esempio concreto dello sconcertante approccio culturale ancora oggi mantenuto dalla Chiesa nei confronti delle donne oggetto di violenza. Vale a dire il caso avvenuto in Brasile di una bambina di 9 anni stuprata dal patrigno e sottoposta ad un
aborto di emergenza per salvarle la vita. Ebbene il vescovo locale reagì scomunicando sia la madre della bambina sia il medico che ha eseguito l’aborto; la sanzione è stata successivamente approvata dalla Santa sede. Per questo motivo l'Onu ha invitato il Vaticano a rivedere la sua posizione sull’aborto che mette a rischio evidente la vita e la salute delle ragazze incinte, e ad emendare
il canone 1398 del Codice di diritto canonico. Questo appunto in particolare provocò una scomposta reazione del Vaticano che espresse «stupore e addirittura rincrescimento», perché in alcuni punti del Rapporto si intravedeva «un tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa».
Avete capito bene, come nella pedofilia – che sarebbe un delitto contro la morale, un peccato di lussuria - anche nei casi di violenza sulle donne al Vaticano non va giù la richiesta di modificare la legislazione interna e la dottrina, e si giustifica l’irritazione denunciando un presunto tentativo di ingerenza e di violazione della libertà religiosa da parte delle Nazioni Unite.
L’argomento, insomma, è spinoso, perché nell’alveo ‘religioso’ può essere compreso tutto e il suo contrario. In Italia in particolare siamo in un vicolo cieco, perché riconosciamo l’ordinamento giuridico e morale della Chiesa addirittura nella nostra Carta costituzionale e le permettiamo,
in virtù del Concordato, di insegnare ai ragazzi delle scuole pubbliche che l’aborto è un omicidio, negando ciò che la scienza ha dimostrato, e cioè che la vita umana inizia alla nascita, e che è un peccato tale da portare alla scomunica immediata della donna. -
di Federico Tulli - La pedofilia è l’annullamento della realtà umana del bambino. Avendo parlato negli anni con centinaia di vittime e raccolto le loro testimonianze mi sento di dire che questa definizione della pedofilia elaborata dallo psichiatra e psicoterapeuta Massimo Fagioli sia quella più precisa in assoluto.
L’effetto immediato della violenza sullo sviluppo psico fisico della vittima è devastante. È come se fosse un omicidio psichico che aggredisce e distrugge la vitalità e impedisce di realizzare la propria identità sessuale. Cioè una dimensione interiore specifica dell’essere umano.
È bene evidenziare che la vittima non è mai scelta a caso dal pedofilo. È un bambino solo, isolato, “ignorato” dai genitori oppure senza genitori. Prima della violenza fisica c’è quella psichica che consiste nel sostituirsi alle figure adulte di riferimento della vittima, nel carpire la sua fiducia.
Il pedofilo è una persona che pianifica lucidamente la violenza, agendo in un contesto che gli consenta di farla franca e dopo aver scelto con cura il suo bersaglio. Ecco cosa mi ha raccontato una volta l’avvocato Luciano Santoianni del Foro di Napoli, legale con lunga esperienza in questo campo: «Il pedofilo circuisce la vittima giocando sull’ambiguità e inducendolo alla confusione.
Quando c’è un rapporto di fiducia o affettivo, l’abuso è compiuto in maniera subdola, rasentando la linea di demarcazione che ci può essere con un rapporto amicale. La sua è una condotta violenta ma è raramente esercitata con violenza». Un altro aspetto che emerge dalle testimonianze e che ricorre in molti casi di pedofilia è commentato dallo psichiatra Andrea Masini: «C’è una grande ambiguità che però è tutta all’interno del pensiero religioso e che consiste nel farsi chiamare “padre” da parte degli “educatori”.
Per un bambino che non ha più figure femminili di riferimento, questo appare come un tentativo di ricostruire almeno il rapporto col genitore, che però non è reale perché nessun prete è padre di nessuno. È questa ambiguità “calcolata” che apre la strada alla violenza pedofila». Masini tocca poi un altro tasto delicato. I numeri sulla diffusione della pedofilia nel clero suggeriscono infatti l’ipotesi che molti pedofili si scelgano apposta determinate professioni.
«Non c’è dubbio che l’organizzazione della Chiesa risponda a certi requisiti. Il pedofilo, da calcolatore qual è, sa che il suo comportamento sarà coperto dal silenzio delle gerarchie ecclesiastiche. Perché all’esterno deve rimanere integra la figura del sacerdote misogino, che non ha rapporti sessuali e non ne deve avere. Un altro caso, ma di tutt’altro tipo, poteva essere rappresentato dall’esercito. Dove finiva un certo tipo di paranoici, perché “sapevano” che l’istituzione avrebbe coperto la loro patologia». -
di Federico Tulli - Chi subisce violenza da parte di membri del clero è nell’80 per cento dei casi di sesso maschile. Ma la storia dice che in ambito ecclesiastico è diffusa anche la violenza al ‘femminile’ e sulle donne. Risale al 2008 la più dura condanna comminata a una suora per pedofilia: 11 anni. Si tratta di Norma Giannini, direttrice dal 1964 di una scuola media cattolica di Milwaukee negli Stati Uniti. Ma non si può dimenticare, in Italia, il caso di Eva Sacconago morta suicida a 26 anni, con la sua aguzzina, colpevole di abusi sin da quando lei ne aveva 15, condannata a 3 anni e sei mesi.
Abbiamo chiesto un commento a Sue Cox cofondatrice di Survivors Voice Europe, associazione internazionale che si occupa di tutela dei diritti delle vittime. «È sempre difficile, se non impossibile, per un sopravvissuto riuscire a ottenere giustizia, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna», spiega Sue Cox. «Spesso le vittime sono persone sole e con uno scarso reddito e un’istruzione appena sufficiente, per via del trauma subìto durante l’infanzia. In queste condizioni si trovano sovente sole contro la Chiesa, che invece lotta in ogni singolo caso con tutte le risorse possibili.
Spesso ci sono voluti anni prima che le vittime si siano fatte avanti, cosa su cui il Vaticano fa affidamento perché così scatta la prescrizione del reato. Bisogna capire che i sopravvissuti hanno una ferita talmente profonda da essere facilmente spaventati e manipolati anche in età adulta, e ancor meno trovano la forza per combattere. La Chiesa ha una lunga esperienza da astuta manipolatrice. Ci sono alcuni encomiabili avvocati pronti a combattere per difendere questi clienti, ma il Vaticano mette ogni possibile e immaginabile ostacolo sul loro cammino».
In che modo? «Cercando di screditare le vittime, usando ogni singolo cavillo legale, ogni piccola tattica per ritardare le procedure. In questo modo i processi si trascinano per anni e le vittime sono spesso logorate, al punto di ritrovarsi incapaci di continuare la battaglia giudiziaria. Ci sono diversi casi di suicidio di persone abusate prima di arrivare a ottenere una qualsiasi forma di giustizia. Tradizionalmente la Chiesa ha sempre sottovalutato e spesso sfruttato le donne. C’è sempre stata una specie di scusante rispetto ai crimini sessuali contro le ragazze in base al concetto ridicolo secondo il quale la violenza sembra più ‘naturale’.
L’abuso dei ragazzini ha certamente creato ulteriori difficoltà alle gerarchie ecclesiastiche e ai responsabili diretti. Ma dovrebbe essere considerato per quello che è: un orrendo crimine. Tutti, e sottolineo ‘tutti’, gli abusi sui bambini vanno contro qualsiasi legge umana, mentre le ragazze spesso scoprono che la loro storia appare meno importante. Probabilmente perché è così che sono percepiti da quella cultura che si rifà al pensiero della Chiesa cattolica. L’abuso sessuale è potere, è l’umiliazione, è la sottomissione di un essere umano più debole per la
‘soddisfazione’ personale di avidi criminali che non hanno alcuno scrupolo verso le loro prede. È un crimine contro l’umanità». -
di Federico Tulli – «Era lei a prendere l’iniziativa»: così don Paolo Glaentzer ha pensato bene di giustificare la presenza nella sua auto di una bambina di undici anni. Lui con i pantaloni abbassati, lei con la magliettina alzata. E ancora: «È stata una mia stupidata, mi ha fatto lo sgambetto il demonio, uno sgambetto un po’ pesante, ho commesso un errore, questo lo ammetto, ci penserà il nostro Signore. Lui è in grado».
Parole fatue e agghiaccianti che non hanno messo al riparo il parroco settantenne, colto in flagrante, dall’arresto con l’accusa di violenza sessuale. «Con» la stessa bambina, stando a quanto il prete ha dichiarato alla stampa locale, era già «capitato altre poche volte». Infine, l’ultima «coltellata»: «È stato uno scambio d’affetto, è stato esagerato, a volte le cose vanno in una certa maniera».
Avete letto bene. Con una bimba di undici anni, per un sacerdote, a volte le cose vanno in questa maniera. Ed effettivamente e tragicamente è vero come dicono anche i dati numerici che arrivano dalle inchieste in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti e così via. Ma non è tanto di questo che vogliamo parlare citando il caso di don Glaentzer che si è consumato a Calenzano, alle porte di Firenze, nel 2018, e si è concluso nel 2021 con la sua condanna definitiva a 2 anni due mesi e 20 giorni.
L'allusione al diavolo che fece il sacerdote pedofilo non è affatto casuale, tanto meno estemporanea. C’è dietro l’idea, falsa, violenta e perversa, abbastanza diffusa tra gli uomini di Chiesa, che sia la vittima a istigare, a indurre in tentazione l’adulto. E c’è l’idea che il diavolo esista. Molti preti lo considerano una forza oscura, altri una persona, per altri ancora è la rappresentazione del «male», comunque è ritenuto anche dai vertici delle gerarchie la causa di tutti i «mali» che stanno attraversando la Chiesa, compresa la pedofilia.
L’esistenza del demonio con le sue colpe è un tema caro anche a papa Francesco. In pochi, nel mondo laico, hanno presente la frequenza pressoché quotidiana con cui lo ha nominato e accusato di qualcosa sin dai primi giorni del pontificato. Ed sorprendente è l'impegno ci mette la «sua» Chiesa in Italia per scovare il diavolo al fine di scacciarlo. Nessun Paese al mondo conta più esorcisti del nostro. Ancora oggi quella che la Chiesa definisce «lotta del bene contro il male», opera anche attraverso l’aspersorio. Il che spiega in parte come mai quella contro la pedofilia sia tutt'ora una battaglia persa e combattuta solo a parole. -
Intervista a Francesco Zanardi, uno degli ospiti che hanno partecipato alla IX edizione del Festival del Giornalismo a Ronchi dei Legionari, svoltasi dal 13 al 18 giugno 2023.
"Ospiti dell’associazione Leali del Giornalismo
Jesús Bastante,
Riccardo Cristiano,
Emiliano Fittipaldi,
Francesco Zanardi,
Nicola Graziani,
si confrontano sul tema.
Da quando, nel 2002, il Boston Globe scoperchiò la rete di abusi dei preti americani, lo scandalo non si è più fermato.
Gli ultimi provvedimenti di Papa Francesco rafforzano le regole contro gli abusi e gli insabbiamenti?" -
di Federico Tullli - Chi è davvero interessato a far luce sui crimini pedofili che avvengono negli ambienti ecclesiastici si chiede spesso se Oltre Tevere sia del tutto chiaro il livello delle mostruosità che per decenni, e probabilmente fino a oggi, sono state compiute nella più totale impunità da preti pedofili. Già perché nella Chiesa, dal papa in giù, prevale ancora l’idea che la violenza su un bambino prepubere sia un delitto contro la morale, di cui peraltro non si è macchiato solo il carnefice: le Norme della Chiesa parlano di atto sessuale di un chierico ‘con’ un minore e nessuno le ha cambiate. Nemmeno papa Francesco. Una questione che spesso viene chiamata in causa si lega all’imposizione della castità e del celibato dei sacerdoti.
Il Vaticano stesso ha predisposto un maggior rigore nei controlli sulle ammissioni ai seminari, in particolare per ‘verificare la reale disponibilità dei candidati a votarsi a una vita di celibato e castità’. Celibato, castità e pedofilia. C’è davvero un nesso? Chiediamo allo psichiatra e psicoterapeuta Domenico Fargnoli di aiutarci a fare chiarezza.
«Il celibato e la castità», racconta lo psichiatra, «sono solo mezzi per perseguire l’annullamento del corpo e dell’identità connessa a ogni forma di desiderio sessuale. Nelle vite dei santi si legge spesso come il digiuno e la conseguente debilitazione organica fosse un espediente per impedire l’insorgere del desiderio. È chiaro che il celibato e la castità in quanto negazione della realtà corporea non possono che facilitare l’insorgere di forme di condotte sessuali perverse, che nei casi estremi si configurano come ‘parafilie’ o pedofilia. Il pedofilo reagisce con un eccitamento sessuale a stimoli che per loro natura, come quelli provenienti dai bambini, non sono sessuali. In lui è presente un delirio di significato.
Vale a dire una alterazione del pensiero e della capacità di giudizio. Si attribuisce un significato ‘sessuale’ a situazioni di rapporto che niente hanno a che vedere con la sessualità. Ciò è la conseguenza di un annullamento del nesso che intercorre fra realtà fisica e psichica. Da una parte si ha l’ideale di una spiritualità astratta completamente desessualizzata, dall’altra un corpo che ridotto a un fascio di reazioni cieche è suscettibile, quando non si può ignorare la sua esistenza, di indurre un agire autistico e criminale in totale disprezzo delle norme e dei valori alla base della convivenza sociale». -
di Federico Tullli - Nell'ambito della nostra ricerca permanente sulle violenze di matrice ecclesiastica torniamo a occuparci delle sue conseguenze sulle vittime, siano esse bambini o donne, con la psichiatra e psicoterapeuta Irene Calesini.
“Ogni tipo di violenza, che sia fisica, sessuale, psicologica, tramite il Web, ecc, ha sempre conseguenze sulla sfera psichica, mentale, oltre che fisica. Si va da malattie psicosomatiche, al disturbo post traumatico da stress, a disturbi di ansia, a varie forme di depressione; in alcuni casi ci possono essere anche viraggi verso aspetti francamente psicotici, in genere acuti, e/o dissociativi. Non sono rari i tentati suicidi o i suicidi. La violenza psicologica ha la caratteristica di protrarsi nel tempo, è subdola; si esplicita con atteggiamenti, frasi, oppure silenzi, volti a sminuire l’altra, a intimidirla, a disconfermare le sue azioni, parole, pensieri; con minacce di aggressione o di abbandono. La donna o il bambino vittima esperisce un senso di allarme e di essere costantemente sottoposta a giudizio”.
Spesso il violentatore non è uno sconosciuto.
“Qui c’è il discorso della fiducia che viene tradita: se qualcuno che tu riconosci come autorità morale – in questo contesto è opportuno parlare di morale – un tuo superiore, un maestro, una persona per te degna di stima e fiducia, ti usa violenza, questa diventa ancora più grave. E lo è tanto che nel nostro codice penale il reato di maltrattamento in famiglia è perseguibile di ufficio, perché viene ritenuto ancora più grave subire violenza da qualcuno con cui è in atto una relazione che implica fiducia. L’Unicef nel 2000 ha dichiarato che «la violenza intra-familiare è una delle negazioni più perniciose dei diritti umani, in quanto è perpetrata non da persone sconosciute, ma da persone di cui ci si fida”.
Il magistrato Pietro Forno nel caso della pedofilia dei preti ha parlato di violenza simile a un rapporto incestuoso. “Forse, osserva in conclusione Calesini - se pensiamo alle suore, nelle comunità religiose anche i loro rapporti di convivenza, per vicinanza e consuetudine, si possono considerare familiari. Queste donne sono spesso inoltre in condizioni di dipendenza economica. E questa è una storia che si ripete in tutta la società cosa che ancora di più ci fa dire quanto sia sistemica e trasversale la violenza contro le donne”. -
di Federico Tullli - «La Commissione è fortemente preoccupata perché la Santa Sede non ha riconosciuto la portata dei crimini commessi, né ha preso le misure necessarie per affrontare i casi di abuso sessuale e per proteggere i bambini, e perché ha adottato politiche e normative che hanno favorito la prosecuzione degli abusi e l’impunità dei responsabili». È uno dei passaggi più significativi del rapporto redatto dalla Commissione Onu sui diritti dell’infanzia deputata al controllo del rispetto della relativa Convenzione da Parte del Vaticano. Ratificata nel 1990 dalla Santa Sede, la Convenzione prevede come clausola ineludibile l’obbligo di proteggere la crescita dei bambini da qualsiasi situazione a rischio. Secondo la Commissione Onu l’essenza della Convenzione è stata ripetutamente e palesemente violata dal Vaticano, elencando i motivi in un rapporto che fu reso noto il 5 febbraio 2014 al termine di una capillare inchiesta avviata a luglio del 2013.
Sono dunque passati dieci anni da quel durissimo atto di accusa. L'indagine si basò su migliaia di denunce raccolte nel corso di anni da Survivors Voice Europe, Snap, Rete l'Abuso e altre onlus che si occupano della tutela dei diritti delle vittime di preti pedofili. Le organizzazioni hanno chiesto di conoscere i motivi per cui la Santa sede per decenni ha ignorato le denunce contro pedofili ben noti. Tra questi spicca il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado, ‘protetto’ di Giovanni Paolo II che proprio nel 2014 è stato santificato quasi a tempo di record da papa Francesco e dal papa emerito Benedetto XVI.
Perché per decenni furono ignorate le denunce nei suoi confronti? Perché migliaia di sacerdoti pedofili sono stati trasferiti da un luogo all’altro invece di essere consegnati alle forze dell’ordine? E come mai a fronte della ‘tolleranza zero’ annunciata sia da Benedetto XVI sia da Francesco I, ci sono stati «tentativi di nascondere e occultare nuovi casi?» è stato chiesto ai nunzi vaticani, monsignori Tomasi e Scicluna. «Come mai non vige l’obbligo di denuncia dei crimini all’autorità giudiziaria del paese? Agire contro i responsabili fa parte della giustizia». Una delle risposte fu che «la regola è sempre stata quella di rispettare le leggi nazionali vigenti nei paesi dove la Chiesa opera».
In Italia come sappiamo questo obbligo non c'è e i vescovi italiani non hanno sentito nemmeno la necessità morale di darselo. Tomasi e Scicluna hanno quindi riferito che la Santa Sede ha accolto favorevolmente tutti i suggerimenti che potessero aiutare a proteggere i bambini. Peccato che solo un mese prima la Santa sede aveva rifiutato di fornire alla Commissione Onu diverse informazioni fondamentali, tra cui l’esito dei procedimenti penali vaticani contro preti pedofili di competenza esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede.
Sono passati dieci anni e di queste informazioni non c'è ancora nessuna traccia. Si sa però che centinaia sono stati i pedofili ridotti allo stato laicale. Questo significa che sono in circolazione senza che nessuno conosca la loro identità. Nessuno, tranne la Chiesa. - Visa fler