Avsnitt
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Al rientro dalla maternità, Sara ha chiesto all’azienda di passare al part-time. Si è ritrovata a percepire uno stipendio più basso, ma a dare molto più valore al suo tempo. Se si mettesse in proprio forse guadagnerebbe di più, ma come gestire le finanze se sceglie di fare il salto?
A risponderle è Barbara Bellomo, consulente di Alleanza Assicurazioni Casale Monferrato. Che tra le altre cose, le da 3 consigli.
Accantonare subito una parte dei pagamenti dei clienti Quanto? Ci aiutano i commercialisti o i software di fatturazione, ma in generale, considera il 50%
Spostare fisicamente le somme su un altro conto corrente o salvadanaio virtuale.
Disegnare un calendario esatto dei pagamenti. Ci aiuterà a capire se è il caso di dilazionare un pagamento, rimandare un investimento o accedere al fondo di emergenza.
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Sonia Aggio ha 29 anni, lavora come bibliotecaria. E quel posto fisso, con uno stipendio basso ma inesorabile, è la condizione che permette alla sua creatività di librarsi. Sonia infatti è una scrittrice di romanzi storici: i due libri che ha pubblicato finora hanno collezionato segnalazioni dalle giurie di premi importanti come il Calvino e il Campiello Giovani. E questa è la storia di come ha costruito la sicurezza finanziaria dentro cui agisce la sua libertà.
Nata a Frassinelle Polesine, un paese rurale di 1300 persone in provincia di Rovigo, Sonia assorbe dalla sua famiglia l’insegnamento di finanza personale che sarà destinato a guidare la sua relazione con il denaro: «Risparmiare per avere una sicurezza quando arriva l’imprevisto». Ed è quello che lei fa fin da piccola, con le mance che riceve ai compleanni e alle feste. E che conserva meticolosamente nei cassetti fino a quando non apre il suo primo conto corrente durante gli anni di Ragioneria. Erano 3.000 euro.
Da adolescente, patisce la scarsa offerta di esperienze della provincia, ma grazie a Internet scopre i forum legati ai suoi libri preferiti e coltiva relazioni con persone di tutta Italia che hanno i suoi stessi interessi.
Dopo il liceo, Sonia decide di iscriversi alla Facoltà di Storia, mossa dall’amore per quella materia. E dopo la Triennale, sceglie di specializzarsi in Storia Bizantina, a Venezia. Finita l’Università, decide di fare il servizio Civile, durante il quale lavora in biblioteca a Treviso. Quell’esperienza fa sì che lei venga assunta da una cooperativa di Rovigo che gestisce alcune biblioteche proprio tra i paesi in cui è nata. Ed è così che, da tre anni e mezzo, Sonia fa la bibliotecaria per 1300 euro al mese. E i suoi risparmi li investe. Ha cominciato quando erano 16mila euro, adesso sono 35mila.
La sicurezza economica ha acceso il motore della sua creatività: «Proprio perché conosco me stessa, immagino che se la scrittura fosse una fonte di guadagno diretto, sarebbe un grande stress. Scriverei ogni parola con l’occhio fisso al rendiconto… anzi, probabilmente non scriverei più una parola».
In questo contesto, pur restando legata al posto fisso come garanzia di sicurezza, Sonia sta pian piano decostruendo l’idea che la stabilità economica venga prima di qualsiasi aspirazione personale: «Sto cercando di entrare in una forma ibrida, tra il freelance che può lavorare dove vuole, quando vuole, e il lavoro fisso e sicuro, che comunque continua ad avere il suo fascino».
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Saknas det avsnitt?
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Francesco Scinetti vive a Milano, dove lavora come ricercatore all’Università Cattolica. Cresciuto a Dubino, un paese di 3.000 abitanti in provincia di Sondrio, a 13 anni va a studiare in una cittadina più grande, Morbegno, dove trova un unico modo per socializzare: acquistare capi e accessori di tendenza, che gli promettevano riconoscimento sociale. «Iniziai a fare pressione sui miei genitori, chiedendo una paghetta. Ogni centesimo che riuscivo a mettere da parte lo spendevo in vestiti. Era il mio unico modo di emergere».
Una volta cresciuto, Francesco decide di abbandonare la Valtellina e di iscriversi alla Facoltà di Economia a Bologna, dove scopre un modo nuovo di spendere i soldi: «A Bologna, smetto completamente di comprare cose materiali, e inizio a spendere solo per fare cose e incontrare persone». Ma questa non è l’unica scoperta che fa. Nonostante avesse scelto Economia senza una visione precisa di cosa avrebbe studiato, si trova immerso in un mondo che lo entusiasma, stimolando in lui una curiosità crescente e una passione che non aveva mai immaginato. Così, finita la Triennale, decide di fare anche la Magistrale e si sposta in Bocconi, a Milano. Sono gli anni del Covid, e lui approfitta dell'isolamento per approfondire un tema che nei suoi studi universitari non viene mai trattato: la finanza personale. Inizia così a investire i suoi primi soldi guadagnati negli stage e a imparare dai suoi errori. Una volta laureato, inizia subito a lavorare come ricercatore presso l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani, dove guadagna 1.700 euro al mese.
Con i primi risparmi che riesce a mettere da parte, decide di fare un Master sulla Finanza personale in Svizzera. «L'ho fatto perché volevo acquisire delle conoscenze per non dover dipendere da un consulente finanziario. In realtà, scopro che mi piace davvero». E infatti, tempo un mese dalla fine del Master, Francesco si iscrive all’esame per entrare all’albo dei consulenti finanziari indipendenti. E inizia a pratica l’attività come secondo lavoro. «A dicembre ho fatturato 5.300 euro, a gennaio 200. Quindi, è tutto molto variabile. Ma sto iniziando a farmi strada».
Nonostante ciò, forte della sua entrata fissa, Francesco non ha dubbi: vuole diventare libero economicamente a 45 anni. E per farlo, ha già la sua strategia. «Mettendo da parte 500 euro al mese con costanza per 20 anni, si arriva a un capitale di circa 400.000 euro. E ciò, non significa semplicemente avere una somma da spendere, ma possedere un patrimonio investito in un portafoglio diversificato tra azioni e obbligazioni, che mediamente può rendere il 7% annuo. Questo si traduce in circa 28.000 euro l’anno solo di rendimenti e dividendi. Ovviamente, tra vent’anni il costo della vita sarà più alto, ma resta comunque una base solida per costruire la propria libertà finanziaria».
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Carmela Massaro ha 38 anni ed è nata in un paese in provincia di Taranto. «Il tema dei soldi ha sempre fatto parte della mia vita: i miei genitori si sono trasferiti a Reggio Emilia in cerca di un lavoro stabile, per mantenersi senza dover chiedere aiuto ai loro familiari». A Reggio Emilia, Carmela vive un’infanzia di rinunce: «Quando dovevamo partecipare a una festa o a un compleanno, molte volte dovevamo rinunciare, perché non c’erano soldi né per la serata, se si teneva in un locale, né per comprare il regalo». Alle medie, gli insegnanti le consigliano di andare in un Istituto professionale, ma Carmela sceglie di iscriversi al liceo, convinta che lo studio avrebbe rappresentato il suo riscatto. Dopo la maturità si iscrive a Scienze Motorie, una facoltà che le avrebbe garantito di lavorare già durante gli studi e di coltivare la sua passione per lo sport.
Ma quando entra nel mondo del lavoro, l'aspetta una doccia fredda: lavorare con lo sport è poco remunerativo. «Nonostante avessi una laurea e una specialistica con il massimo dei voti, trovare un lavoro soddisfacente e ben retribuito nel mondo dello sport è stato sempre molto complicato. In palestra ci lavorano tutti, chi per hobby e chi per professione, e questi ultimi devono accettare condizioni che non sono giuste».
A peggiorare le cose, quando la figlia ha tre anni si separa dal compagno: «Mi sentivo come una pallina impazzita, dovevo trovare una nuova casa, cercare di guadagnare abbastanza per pagarmi l'affitto, e, visto che ero sola, avevo tutte le spese da gestire». Dopo un periodo di grandi incertezze e grazie all’aiuto di alcuni amici, Carmela si risolleva. Lavora in palestra e come insegnante di sostegno a scuola. Ha un’ottima gestione delle sue finanze, tiene i conti alla perfezione e non sperpera nulla. Però non è felice. È dentro un meccanismo di sopravvivenza che non è quello per cui ha studiato e fatto così tanti sacrifici.
Nel frattempo, si lega a nuovo compagno. Lui è un artigiano che ha una piccola azienda che opera nel settore alberghiero. Nei buchi tra figlia, scuola e palestra, Carmela lo accompagna nei suoi giri col furgone, a riparare strumenti dei vari clienti. Scopre così un mondo del lavoro che la affascina, in cui si può guadagnare, in un giorno, ciò che lei faticosamente guadagna in un mese. Quando nell’azienda del suo compagno si apre una posizione da contabile, capisce che è arrivato il momento per lei di fare ciò che ha rimandato a lungo. Cambiare completamente ambito lavorativo.
E così, Carmela, una ragazza dinamica, che vive bene all’aria aperta, scova la felicità chiusa in un ufficio. E i soldi, che sono sempre stati uno spauracchio nella sua vita, diventano il suo mestiere. «È stato il primo lavoro che mi ha dato un contratto a tempo indeterminato, quella sicurezza di non dover più correre come una pallina impazzita, riprogrammando la mia vita ogni tre mesi». Carmela si appassiona così tanto alla contabilità che intraprende un nuovo percorso di studi in economia aziendale e management. Un percorso che un giorno, forse, le permetterà di tornare a occuparsi di sport, ma traendone una soddisfazione maggiore.
«In futuro, non nascondo che mi piacerebbe moltissimo poter unire queste due anime. Vorrei essere io quella manager, quella responsabile di un team all'interno di un bel movimento sportivo».
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Elena Valzania ha 57 anni, vive a Ravenna dove è nata, ed è una naturopata. Cresce in una famiglia che non ha problemi economici, ma è poco avvezza a godere della ricchezza. «Sia io che mia sorella abbiamo beneficiato di una situazione in cui i nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano. Infatti, la casa in cui abito l'ho ereditata da loro».
A un certo punto, la malattia entra nella storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. La nonna "imprenditrice" muore a 56 anni e il papà di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando Elena ha 20 anni. «A volte si pensa che l’eredità sia solo una fortuna, ma in realtà va gestita sotto molti aspetti, anche da un punto di vista emotivo». Assieme ai soldi, infatti, Elena eredita anche il modo in cui i soldi sono considerati nella sua famiglia. «La pesantezza della gestione, l'equazione lavoro = fatica..., ma all'epoca non riuscivamo a vederlo. È stato più chiaro solo dopo».
Elena fin da piccola si interroga sulle malattie che sembrano accanirsi sulla sua famiglia, sul perché colpiscono alcuni e non altri. Così da grande studia Farmacia, e una volta laureata, si appassiona al mondo dell'omeopatia. Quando inizia a lavorare, le sembra facilissimo rispetto allo studio. Ma il fatto di non provare quella fatica di cui sentiva parlare in famiglia, le fa dubitare del valore da attribuire al suo lavoro. E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.
A un certo punto, mentre è alla sua prima maternità, l’azienda viene acquisita da una più grande e si avvia il processo di fusione. Al suo rientro, Elena capisce di essere finita dentro un gioco finalizzato a spingerla alle dimissioni. Nel frattempo, scopre di essere incinta della sua seconda bambina, così decide di non avviare una battaglia legale ma di patteggiare. Chiude la sua carriera aziendale con un licenziamento e un po’ di soldi da parte dell’azienda.
Elena non rientrerà più nel mondo ufficiale del lavoro: «Ho continuato a fare molta formazione per me e ho trasformato in vari modi queste conoscenze». I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Io e mio marito abbiamo sempre avuto questa mentalità di investire su di noi: se avevamo mille euro in più, ci facevamo un viaggio. Diciamo che finora è andata bene, però siamo consapevoli che è importante avere un po' più di progettualità. Forse adesso diventeremo più saggi… ci stiamo dando una regola».
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l gratuito patrocinio è un istituto previsto dalla legge italiana che, dal 2001, consente alle persone con un reddito basso di essere assistite da un avvocato senza dover pagare le sue parcelle, poiché queste sono a carico dello Stato. Dal 2011, questa legge è stata estesa a tutte le donne vittime di violenza, senza alcuna distinzione di reddito. Dietro questa legge, però, ci sono avvocati e avvocatesse che, non solo rinunciano a stipendi stellari, ma a volte aspettano anni per essere pagati dallo stato. Alessia Sorgato è una di loro.
Ha 57 anni e abita a Milano. Figlia di un notaio e di una casalinga, viene spinta verso gli studi in Legge, che odia, fino all'incontro col diritto penale. È amore a prima vista e, non appena laureata, inizia subito a lavorare in uno studio molto importante, dove fa una gavetta incredibile. Per dieci anni, si occupa di maxi processi: omicidi, Mani Pulite... A 30 anni è capo del dipartimento e ha una solida esperienza come difensora dei criminali.Quando cambia studio di avvocati, le cose non vanno come sperato. Conscia delle sue possibilità economiche e di uno stipendio fisso, aveva appena acquistato la sua prima casa, quando, dopo un anno, viene licenziata. Indebitata fino al collo e con la pressione di un mutuo da pagare, Alessia prende in affitto un soppalco sopra uno studio di architettura e inizia a esercitare la libera professione. Qui comincia il secondo tempo della sua vita. Per fare cassa inizia a scrivere per alcune riviste del Sole 24Ore: pian piano gli articoli si trasformano in libri. E un giorno, durante la presentazione di un suo libro sullo stalking, la psicologa fondatrice di “Soccorso Rosa”, un centro antiviolenza intraospedaliero di Milano, le chiede di collaborare con lei. Alessia accetta e per la prima volta, si ritrova a difendere le vittime. In dieci anni, assistono più di 400 donne. Alessia si prende l’impegno di informare le donne del loro diritto a essere difese in gratuito patrocinio. «Non tutte le mie colleghe fanno lo stesso. Recentemente, mi hanno raccontato di avvocate che difendono le vittime, ma sconsigliano loro di chiedere il gratuito patrocinio, dicendo che il giudice potrebbe vederle di cattivo occhio.».
Eppure, nonostante la grande dedizione e impegno verso la causa, i tempi per ricevere il pagamento dallo Stato sono lunghissimi, con l'attesa che può protrarsi per anni prima che venga riconosciuta una retribuzione per ogni singolo processo. Ma che cosa spinge Alessia ad andare avanti nonostante tutto?
«La soddisfazione più grande che ho è che molte donne le salviamo fisicamente, anche se non lo faccio da sola, perché il percorso di presa in carico di una vittima di violenza coinvolge sempre almeno tre o quattro persone: la penalista, la civilista che la fa separare, la psicologa e le volontarie. In alcuni casi, le ho letteralmente afferrate per i capelli e le abbiamo fatte uscire da situazioni pericolosissime, con uomini che le tenevano con le mani al collo. Questo tipo di risultati mi ripaga enormemente».
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Flavia Carlini è un’autrice e divulgatrice italiana, seguitissima sui social. Per anni, ha condotto l’estenuante ricerca di una diagnosi per i suoi dolori lancinanti, tra consulti medici e terapie inefficaci, arrivando a spendere decine di migliaia di euro senza avere risposte. Ma anche quando è riuscita a ottenere una diagnosi, le difficoltà non si sono affievolite. Il trattamento dell’endometriosi, infatti, rimane interamente a suo carico poiché questa malattia, che colpisce una donna su sette, non è ufficialmente riconosciuta dal sistema sanitario nazionale. «Io spendo mediamente 800 euro al mese per trattare tutte le mie malattie. È quasi uno stipendio. Io ho i miei genitori che mi aiutano a pagare tutto e questo è un privilegio gigantesco perché se loro non avessero avuto la possibilità di pagarmi le medicine o quello che il mio stipendio non mi dava, io sarei finita in mezzo a una strada e questo è un prezzo altissimo che io sto pagando in quanto donna».
A questa battaglia per il diritto alla salute si intreccia un ulteriore peso: il costo economico e psicologico del dover aderire alle aspettative sociali imposte alle donne. Conformarsi agli standard di bellezza e comportamento richiesti dall’ambiente lavorativo non è mai stata per lei una scelta, ma una necessità che si traduceva in spese significative per abbigliamento, trucco e cure estetiche: «Troppo corto, troppo lungo, troppo aderente, troppo vistoso, troppo colorato, troppo scollato, troppo sottile, troppo spesso. Questo, ogni mattina. La mia premura era di vestirmi in modo tale da non essere molestata».
Nonostante il successo sui social e la scelta di vivere di scrittura, Flavia ammette di non aver raggiunto l’indipendenza economica, rinunciando a collaborazioni pubblicitarie per mantenere la sua integrità. «Nella storia della letteratura, la cultura è sempre venuta dai margini. E voi direte: perché se è sempre venuta dai margini non può ancora venire dai margini? Perché oggi c'è il capitalismo, e se non produco, non mangio. E quindi la cultura rimarrà sempre un privilegio di una classe già privilegiata».
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Clara Tourres ha 33 anni ed è nata e cresciuta in Francia, in una famiglia di origine spagnola. Da sette anni vive a Napoli, dove lavora come giurista in un’azienda. Fin da quando è adolescente, impara che i soldi si guadagnano con il sacrificio, e così, appena 16enne, inizia a lavorare e non smette più: fa la babysitter, l’hostess, la barista. Mette assieme 1000 euro al mese e nel frattempo, studia Legge. Da sacrificio, i soldi iniziano a significare possibilità, e Clara matura un’importante fiducia sulla sua possibilità di guadagnare e stare al mondo.
All’ultimo anno di università, parte per l’Erasmus a Roma. E qui ha una sorta di epifania circa il luogo in cui vivere: dopo la laurea, infatti, le piacerebbe restare in Italia. Tuttavia, le difficoltà italiane nell’inserimento lavorativo, la costringono a ritornare in Francia, a Parigi, dove inizia a lavorare come giornalista. Un volta terminato il contratto a tempo determinato, gliene propongono uno a tempo indeterminato. Ma nel frattempo, una sua amica francese che lavora a Napoli, le offre il suo posto in un’associazione che opera nel terzo settore. Lei accetta senza pensarci troppo. Lì guadagna 715 euro al mese e pensa di non aver bisogno di molto di più: «Ero convinta che non avevo bisogno di soldi perché ero una persona che viveva di esperienze, non di cose fisiche».
Tre anni dopo, però, Clara la pensa molto diversamente. Si è ormai resa conto che in quell’associazione non avrebbe avuto un aumento ed è andata a lavorare in un’altra, più piccola, dove le cose vanno ancora peggio e per sette mesi non riceve stipendio. Ad aiutarla nel navigare questi mesi difficili c’è il gruzzoletto che aveva messo da parte negli anni. Ma c’è anche un percorso di yoga e meditazione, che sarà fondamentale nella sua storia, perché la aiuterà a darsi il giusto valore.
E infatti, a gennaio 2020, con la pandemia alle porte, Clara riceve un’offerta di lavoro da un’azienda come giurista. E, complice il lavoro fatto sui suoi pensieri, fa una cosa totalmente inaspettata: affronta la sua prima richiesta di aumento salariale. Dai 1.250 euro che le offrono, Clara riesce ad arrivare a 1.600. Arrivata a questo punto del suo percorso, si rende conto di quanto il suo “disinteresse” per i soldi l’avesse portata a doversene preoccupare ancora di più. «Non è detto che, semplicemente perché stai facendo, ce la farai per forza, perché ci sono circostanze esterne che possono essere molto sfidanti e difficili».
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Antonello Schiavo nasce a Sulmona, in Abruzzo, in una famiglia molto semplice. I soldi, per lui, sono ciò che lo separa dal suo obiettivo di breve termine: vestire alla moda, come tutti i suoi amici. «Mia madre sceglieva i vestiti al posto mio e questa esperienza ha avuto grandi ripercussioni quando ho iniziato a guadagnare, perché son finito a spendere un po’ troppo in abbigliamento. Però era ciò che mi mancava». Quando Antonello inizia a fare i primi lavoretti, sperimenta il sentimento di indipendenza legato al denaro, ma non riesce ancora a sviluppare una visione a lungo termine per ciò che guadagna. Neanche gli studi di Economia aziendale lo aiutano in questo: impara a gestire il conto economico di un'azienda ma non il suo personale.
Dopo un Erasmus in Polonia, decide di trasferirsi a vivere lì e trova lavoro per Google. Continua a spendere tutto il suo stipendio in viaggi e in abbigliamento. Della prima voce non si è mai pentito, ma la seconda viene profondamente messa in discussione da un incontro che fa a Danzica: quella che poi diventerà sua moglie gli fa scoprire che si può vivere bene con molte meno cose, magari di maggiore qualità. E così, Antonello inizia a disfarsi del di più, dandolo spesso in beneficienza.
Un secondo cambiamento cruciale nella sua relazione con i soldi, avviene quando riceve il primo aumento: «Fino a quel momento ero abituato a risparmiare sempre per obiettivi a breve termine, ma nel momento in cui mi sono ritrovato con un surplus, mi sono chiesto: "che cosa ci faccio?"». Questa domanda apre per Antonello una sorta di vaso di Pandora. Inizia a leggere libri di crescita personale e a studiare i temi di educazione finanziaria. Scopre che il risparmio è un'azione finalizzata a obiettivi di lungo termine e non è ciò che avanza ogni mese, ma una cifra messa da parte intenzionalmente all'arrivo dello stipendio. Dopo innumerevoli riflessioni arriva a darsi l'obiettivo di diventare finanziariamente libero entro i 45-50 anni: «Per me, l'indipendenza finanziaria non significa smettere di lavorare e trascorrere la giornata in spiaggia a sorseggiare cocktail, ma piuttosto avere la libertà di scegliere come impiegare il mio tempo».
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Chiara Fassino abita in provincia di Cuneo ed è la direttrice degli asili nella sua città. Nella mail in cui ci contatta si descrive così: «Io sono il posto fisso statale, quello che per molti è un sogno proibito, per me è diventato una gabbia. Io sono il posto fisso perché mio padre nel '74 ha esperito il grande rifiuto di una posizione alle poste. Ho bevuto col latte le recriminazioni di mia madre e crescendo ho saputo fare una sola cosa: vincere concorsi pubblici».
Quel lavoro alle Poste, rifiutato dal padre nel 1974, influenza profondamente la visione che Chiara ha dei soldi. Per lungo tempo, crede che essi possano arrivare soltanto da un posto fisso. E mossa da questa convinzione, vince il primo concorso pubblico quando ancora sta frequentando l’università, e trova lavoro nell’amministrazione dei Comuni della sua Provincia, dove resta per dieci anni.
Nel frattempo, mossa dalla sua passione per la natura, Chiara apre un’associazione e una cooperativa nel settore turistico. Senza mai trovare il coraggio di farne un lavoro vero. Nel frattempo riprende a studiare, si specializza sulla formazione all'infanzia, vince un nuovo concorso pubblico e diventa direttrice degli asili della sua città. Negli anni, però, matura dentro di lei una profonda delusione: «Per me la penna non cade quando finisce l'orario. Il problema, però, è che nel pubblico questa cosa non è valorizzata per niente, perché che io rimanga lì, che faccia progetti, che faccia arrivare centinaia di euro al mio ente, la mia situazione economica resta immutata. E questo mi ha generato molta frustrazione». Chiara infatti, nonostante la doppia laurea e l’impegno nel suo lavoro, percepisce uno stipendio di 1.600 euro al mese. Non solo non riesce a mettere nulla da parte, ma a volte deve intaccare il tesoretto che ha messo da parte e investito prima ancora di iniziare il suo lavoro nel settore pubblico.
Questa frustrazione inizia a manifestarsi anche fisicamente, tanto che, a un certo punto, Chiara decide di prendersi un'aspettativa di due mesi per riflettere su quale direzione prendere. «Io rimarrei nel pubblico, perché mi appassiono e ci metto tutta me stessa, ma il prezzo che pago è troppo alto. Perciò, un'idea potrebbe essere quella di optare per un part-time, mentre tento una nuova strada da libera professionista. Fare un salto nel buio è troppo per me. Sto cercando di costruire un puzzle, sperando di comporlo il prima possibile».
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Elisa Pistis ha 38 anni ed è un’attrice. Nasce in Sardegna da un papà ferroviere e una mamma impiegata, che si sono emancipati da contesti molto umili e che le trasmettono l’importanza del risparmio. Elisa capisce subito che ogni desiderio esaudito racchiude il costo di ciò a cui si è dovuto rinunciare per realizzarlo. «Un'educazione di questo tipo ha creato in me una costante ansia che i soldi non bastassero mai e che quindi tutte le spese “superflue” potevano o essere tagliate oppure accuratamente ponderate».
A dispetto di questa relazione con il denaro, Elisa sceglie di intraprendere una carriera intrinsecamente instabile, e cioè, quella teatrale. Finita l’università in Beni Culturali, si iscrive all’Accademia d’arte drammatica a Udine e, una volta diplomata, si dedica con passione al suo sogno di diventare attrice, affrontando sacrifici e precariato. «Sono stati dieci anni complessi. Un mese avevo cinque spettacoli, ma il mese successivo non sapevo cosa aspettarmi».
Quando la pandemia cancella improvvisamente la tournée in cui era impegnata, Elisa prende consapevolezza della necessità di avere un piano B, e di diversificare le sue fonti di reddito. «Vivo da sola e posso contare solo sulla mia capacità di lavorare come attrice. Se mi tolgono questa possibilità, io non ho paracadute». Così, inizia a cercare un secondo lavoro, conciliabile con i suoi impegni sul palcoscenico. Dopo un po’ di ricerche, trova un impiego in un altro ambito che l’appassiona: quello del benessere, nel campo del network marketing.
Grazie al nuovo lavoro, Elisa guadagna circa 700 euro al mese. Combinando queste entrate con quelle derivanti dal teatro, riesce finalmente a concedersi a regalarsi il lusso di qualche spesa superflua. «Se voglio andare al ristorante una volta in più, ora posso farlo senza troppi pensieri. Tuttavia, trovare un equilibrio non è sempre immediato: dopo una vita passata a risparmiare, liberarsi dall’idea che ciò che è superfluo si debba necessariamente evitare non è semplice. Cambiare mentalità richiede tempo e consapevolezza».
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Michele Dalla Tezza ha 49 anni ed è sia imprenditore sia dipendente di una multinazionale nel settore marketing. Nato e cresciuto in provincia di Varese, uno dei quadretti familiari impressi nella sua memoria ritrae il padre artigiano e la mamma impiegata intenti a parlare di soldi. «Mia mamma teneva la contabilità della ditta di mio papà, e gli chiedeva i prezzi per poter fare le fatture ai clienti». Michele, nel suo piccolo, replica la stessa ritualità della madre, e con la paghetta mensile che riceve, compila un quaderno delle entrate e delle uscite. Abitudine che perde una volta adulto, quando si accomoda dentro il lavoro dipendente
Michele approda in una grande multinazionale, dove costruisce una solida carriera e raggiunge una posizione di rilievo. Un giorno però, a causa di una ristrutturazione, gli viene chiesto o di accettare un nuovo ruolo, o di andarsene con una buona uscita. Nonostante la forte responsabilità che sente nei confronti del mantenimento della famiglia, e nonostante i calcoli economici gli suggeriscano di mantenere il posto dipendente, Michele decide di fare il salto nel vuoto, e di accettare la buonuscita: «La proposta che avevo ricevuto metteva in luce il fatto che, evidentemente, non ero più indispensabile». A quel punto, la prima domanda che si fa è: «Ma quanto posso vivere e mantenere la famiglia senza trovare un lavoro?».
Questa domanda lo spinge a riprendere l’abitudine che aveva ai tempi dell’oratorio: fare un’analisi dettagliata delle sue entrate e uscite, e grazie a questo piccolo rituale riscopre il valore di avere il pieno controllo delle proprie finanze, al punto da concedersi più piaceri di prima. In quel periodo di piacevole scoperta, Michele si avventura nel mondo degli investimenti, appassionandosi ai temi delle entrate passive e del cash flow. Ed è proprio girando intorno a questi due concetti che decide di lanciarsi nelle locazioni del settore immobiliare e con un socio fonda una società immobiliare per gestirle. Nel frattempo, trova un altro lavoro in un’azienda, che però prende con tutt'altra mentalità rispetto al passato: «Devo dire che dà molta sicurezza avere il piano B, ti dà più leggerezza. Non investi tutto nel lavoro dipendente che può finire da un momento all'altro».
Michele oggi ha trovato l’equilibrio tra attività imprenditoriale e attività dipendente e, anche grazie al percorso di Rame, ha dato risposta a una domanda che non si era mai posto, e cioè, quali sono i suoi obiettivi finanziari.
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Nastasia Felici è una libera professionista che si occupa di comunicazione digitale per artisti e influencer. Nasce a Bergamo in una famiglia in cui, padre insegnante e madre contabile, di soldi si parla solo tra adulti. Cresce dunque senza una chiara percezione della situazione economica familiare. Così, quando inizia a guadagnare, adotta un approccio spensierato: «Tutto quello che ottenevo spendevo. Mia madre si lamentava molto, ma a me il risparmio non interessava».
Quando arriva il momento di scegliere l’università, i genitori accettano di investire in una privata, chiedendole però di laurearsi in tre anni. «Il costo era veramente proibitivo. Per i miei, all’epoca, fu una seconda rata del mutuo da pagare». A 21 anni, appena discussa la laurea, Nastasia ottiene un contratto di apprendistato in un’agenzia di comunicazione a Milano. E lì scopre per la prima volta il potere del risparmio: con un gruzzoletto che la madre aveva messo da parte per lei sin da quando era piccola, riesce a comprare un monolocale a Milano. «Spendevo 600 euro di mutuo a fronte di 900 euro di stipendio. Sono stati anni davvero difficili».
Dopo cinque anni, frustrata dalla mancanza di opportunità di crescita riservate spesso ai colleghi uomini, cambia lavoro, ma anche nel nuovo impiego resta insoddisfatta. Decide quindi di mettersi in proprio, aprendo una partita IVA. Con il tempo il suo nome si afferma, i guadagni crescono, ma la sua gestione delle finanze non cambia. Continua a spendere tutto quello che guadagna. Nel frattempo, sceglie di vendere il suo monolocale in favore di un bilocale nuovo. La scelta si rivela salvifica perché la nuova casa le permette notevoli risparmi energetici. Oltre a un benefit ancora più importante in termini fiscali: «Non pagavo praticamente tasse perché ero sempre a credito con lo Stato. Anche se mi entrava il lordo di 4.000 euro io ne spendevo 4.500: la questione tasse non mi allarmava minimamente».
Proprio mentre è incinta, però, questa visione spensierata del denaro le presenta il conto: «A un certo punto arrivarono 29.000 euro di tasse da pagare, e ricordo che in quel momento io e mio marito avevamo sul nostro conto 15.000 euro, pensando che fossero risparmi. Da lì, sono partite mail e telefonate alla mia commercialista piangendo, e io ho avuto un attacco di panico tale per cui sono finita in pronto soccorso».
Questo evento le fa rivalutare l’importanza del risparmio, che per un periodo considera solo uno strumento per far fronte alle tasse. Sarà la nascita della figlia a trasformare ulteriormente la sua visione, aprendola a una gestione più consapevole e strategica delle sue risorse economiche.
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La pubblicità, specchio e motore della società, si evolve per riflettere i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici. Dalle affissioni pubblicitarie del primo Novecento ai post sponsorizzati sui social media, il settore ha dimostrato un’enorme capacità di adattamento. In questa puntata di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj esplorano l’evoluzione della pubblicità, mettendo in luce opportunità e sfide, sia sul fronte etico che su quello economico. In particolare, si discute dell’impatto della digitalizzazione, che oggi rappresenta il 60% del mercato pubblicitario globale, e dell’importanza per le aziende di affrontare temi come la sostenibilità e la responsabilità sociale.
Un caso esemplare è quello dell’agenzia pubblicitaria Armando Testa, pioniere della creatività in Italia. Fondata nel 1946, è nota per icone storiche come Caballero e Carmencita e per una visione che ha saputo unire arte e marketing. Negli anni, Armando Testa ha continuato a innovare, adattandosi all’era digitale con strategie multicanale e una forte identità visiva. Tra le sue campagne recenti, il Calendario Lavazza e l’iniziativa #PomellatoForWomen sono esempi di come un brand possa promuovere valori etici attraverso la comunicazione.
Ospite dell’episodio è Domingo Iudice, co-fondatore di Pescaria e proprietario dell’agenzia Brainpull. Iudice racconta come il successo del fast fish food nato a Polignano sia stato costruito grazie al digital marketing. Dai social media come Facebook e Instagram al passaparola, Pescaria ha combinato una strategia di comunicazione vincente con un prodotto di qualità, diventando un esempio di come la pubblicità digitale possa valorizzare il territorio e creare occupazione.
L’episodio invita a riflettere su come il marketing possa essere una leva per il cambiamento culturale e sociale, promuovendo modelli di business etici e sostenibili. Un messaggio chiaro per piccole e medie imprese: innovazione, creatività e attenzione ai valori sono i veri motori del successo.
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Irma Testa, classe 1997, è la pugile che ha scritto la storia del pugilato femminile italiano, diventando la prima donna a conquistare una medaglia olimpica. Cresciuta in un quartiere difficile di Torre Annunziata, in Campania, vede la madre lavorare da mattina a sera per mantener lei e i suoi tre fratelli, e respira il senso di comunità del vicinato, che li porta ad aiutarsi a vicenda: «Nel momento in cui non avevamo da mangiare, abbiamo sempre ricevuto aiuto da persone esterne, e allo stesso modo faceva mia madre con gli altri».
A 12 anni inizia a frequentare la palestra di pugilato del quartiere, e dopo 2 anni le chiedono di trasferirsi ad Assisi, dove si trova il ritiro della Nazionale. «In una situazione diversa forse mia madre ci avrebbe pensato un pochino. Ma per come stavamo noi, ha colto subito l'opportunità, e mi ha detto di scappare via, di salvarmi, almeno io».
A supportarla in quegli anni è la sorella maggiore, che a soli 16 anni inizia a lavorare per permettere ad Irma di inseguire il suo sogno: «Ho vissuto tantissimi anni con il pensiero di voler ripagare in qualche modo mia sorella per l’enorme sacrificio che stava facendo». E ci riesce, perché con i primi successi iniziano ad arrivare anche i primi guadagni. «Erano dei bei soldi per una persona che viene dal nulla, nonostante sia uno degli sport meno pagati al mondo. A noi arrivano le briciole, ma quelle briciole per me erano tantissimo».
Inizialmente Irma non ha una vera e propria gestione delle sue spese: compra una casa più grande per la sua famiglia e restituisce il debito simbolico alla sorella per i sacrifici fatti, ma si toglie anche ogni tipologia di sfizio. Tuttavia, con il tempo, si rende conto di come il denaro stia influenzando la sua carriera, portandola a gareggiare solo con l’obiettivo di guadagnare. «Per anni ho combattuto soltanto per soldi. Ed è una cosa bruttissima, perché stai trasformando la tua passione in un’ossessione per il danaro».
Oggi, Irma ha trasformato quell’ambizione in un sogno più grande, trovando un nuovo equilibrio. Pianifica il futuro con la sua compagna, risparmiando per il figlio che desiderano avere, e si impegna per la parità salariale nella Federazione pugilistica italiana, sostenendo una giusta retribuzione per uomini e donne.
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Se andiamo nella "preistoria degli investimenti", scopriamo che il famoso tesoro del tempio di cui parlano le tavolette di argilla dei sumeri può essere considerato una sorta di investimento etico, con un valore comunitario, in quanto "scorta" per le carestie. Puntare il faro sul mondo pre-monetario, e sulla sua maniera comunitaria di gestire il risparmio, ci apre lo sguardo a una possibilità che poi, con l’avvento dell’economia di mercato, sparisce dai nostri radar. Nel senso che oggi, «se guardiamo le motivazioni dell'investitore contemporaneo, ne scoviamo fondamentale una sola: fare profitto» spiega Edoardo Lozza, professore ordinario di psicologia economica all’università Cattolica di Milano e ospite di questa terza puntata de La nuova veste. Investire eticamente, secondo il prototipo di homo oeconomicus che troviamo in tutti i libri di economia, è una sorta di ossimoro. Ma le cose iniziano a cambiare. «Negli ultimi 15 anni, la crisi economica e finanziaria che si è avviata nel 2008, insieme alla crisi ambientale, che è una conseguenza anche di un modello di sviluppo volto alla crescita costante, non sostenibile in un pianeta finito, hanno innescato una nuova sensibilità per il consumo sostenibile, che indubbiamente apre delle opportunità anche nel mondo degli investimenti», continua Lozza.
A complicare le cose, quando si parla di investire in modo etico, c’è anche la scarsa conoscenza in materia. «Perché quando chiedi che cos'è un fondo Esg, non dico che ci sia il vuoto però le persone ne sanno pochissimo», conclude Lozza.
E allora se uno degli elementi che può fare la differenza è la conoscenza, in questa puntata abbiamo provato a spiegare con chiarezza cosa sono questi investimenti etici assieme a Francesca Colombo, responsabile Area Analisi e Ricerca di Etica Sgr.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Etica Sgr, società di gestione del Gruppo Banca Etica, specializzata in investimenti etici e responsabili.
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Dalla pandemia in poi, l'EdTech ha conosciuto una crescita esponenziale, trasformando il modo di fare istruzione. Secondo l'UNESCO, però, la digitalizzazione ha aumentato le disuguaglianze, lasciando indietro chi non ha accesso alle tecnologie. Tuttavia, il settore è in espansione: il mercato globale valeva 254 miliardi di dollari nel 2022, con stime che lo portano a oltre 600 miliardi entro il 2027. Cina e India guidano questa rivoluzione, ma anche Europa e Italia stanno crescendo rapidamente.
In questa undicesima puntata di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj esplorano il mondo dell'EdTech, evidenziando il suo potenziale per personalizzare l'apprendimento, grazie anche all'intelligenza artificiale e a strumenti come la Realtà Virtuale e Aumentata, capaci di rendere l'istruzione più immersiva e accessibile. Un esempio emblematico è quello di Apple Education, pioniera nel settore fin dagli anni '80, che continua a innovare con dispositivi e piattaforme per studenti e docenti, rendendo la tecnologia un alleato fondamentale per stimolare creatività e apprendimento inclusivo.
Ospite dell’episodio è Aleksandra Maravic, cofondatrice di Beyond the Box, startup italiana che promuove la formazione continua nelle PMI con un approccio innovativo basato su intelligenza artificiale e modelli in abbonamento. Maravic sottolinea l'importanza di ascoltare i bisogni specifici di dipendenti e team, adattando le soluzioni formative a sfide quotidiane e a competenze sempre più trasversali, come le soft skills.
L’episodio invita a riflettere sulle opportunità dell’EdTech per colmare il divario educativo, supportare la riqualificazione della forza lavoro e costruire un’istruzione più accessibile, pur considerando i rischi economici e di disuguaglianza digitale. Un futuro in cui innovazione e sostenibilità dovranno camminare di pari passo.
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Giovanna ha 40 anni ed è una psicoterapeuta. Proviene da un piccolo paese nelle Basse Madonie, in Sicilia, dove vive una infanzia da favola, ma che inizia a starle stretto dopo il liceo. Si trasferisce così a Palermo, per studiare Psicologia. Dopo la laurea, inizia a lavorare per pagarsi la specializzazione. «Ho fatto di tutto: dalla babysitter, alle lezioni private, alla cameriera. Diventare psicoterapeuta è stata un'impresa veramente dura». Che però viene coronata quando Save the children l'assume come psychosocial officer a Lampedusa, con uno stipendio di 2200 euro al mese. «E io ricordo la mia grande felicità. Nell'arco di due giorni ho smontato la casa, ho fatto le valigie e sono partita. Da lì ho intrapreso quello che era il mio grande sogno». In quel momento, però, qualcosa cambia, senza che faccia in tempo a rendersene conto. Un musicista che lei ammirava, e che aveva conosciuto anni prima, va a trovarla a Lampedusa e si piazza stabilmente nella sua vita. Nasce così una storia d'amore e di manipolazione, che la porta a compiere scelte apparentemente incomprensibili. «Io ho mollato il lavoro della mia vita per seguirlo a Lecce. Quando l'ho fatto, per un mese non ho dormito la notte. Avevo gli incubi perché sognavo il dissenso di mio padre». Una volta a Lecce, lui le chiede di contribuire economicamente al bilancio familiare, tornando a fare la cameriera. «Ma come? Io avevo fatto la cameriera per arrivare dove ero arrivata, e ora dovevo ricominciare?». Inizia così per Giovanna un percorso segnato da violenza economica e manipolazione emotiva, che la porta al totale annullamento della propria indipendenza professionale, personale ed economica, prima di consentirle una rinascita.
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In questo secondo episodio, Annalisa Monfreda esplora il concetto di bias cognitivi, ovvero i pregiudizi impliciti radicati nei nostri processi mentali, che influenzano scelte finanziarie cruciali. Affiancata da Massimo Bustreo, esperto di psicologia dei consumi, e Davide Mascheroni, responsabile area partner commerciali di Etica Sgr, il podcast affronta il legame tra le distorsioni cognitive e la gestione del denaro, cercando di capire come compiere decisioni più consapevoli.
Uno dei bias principali è la difficoltà di proiettarsi nel futuro, spesso visto come oscuro e minaccioso, che ostacola una pianificazione efficace. Un altro celebre bias è la “fallacia della mano calda,” che porta a generalizzazioni fuorvianti basate su esperienze passate. C'è poi l’hyperbolic discounting, il bias che ci spinge a preferire gratificazioni immediate rispetto a benefici futuri.
Massimo Bustreo sottolinea l’importanza del debiasing: sviluppare consapevolezza delle distorsioni e imparare a gestirle per migliorare la qualità delle decisioni finanziarie. La conversazione esplora anche come riconoscere i veri valori e bisogni personali, spesso offuscati da una “dismorfia del valore” che altera le priorità e le strategie di consumo.
Davide Mascheroni offre spunti pratici su come superare la paura di investire, evidenziando l’efficacia di strumenti come i piani di accumulo e l’approccio diversificato a lungo termine.
L’episodio invita gli ascoltatori a vedere l’investimento non solo come un mezzo per generare guadagno, ma come un’opportunità per influenzare positivamente l’economia reale, conciliando scelte finanziarie etiche e consapevolezza personale. La nuova veste continua così il suo viaggio tra neuroscienze e cultura, aprendo nuove prospettive sulla gestione del denaro.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Etica Sgr, società di gestione del Gruppo Banca Etica, specializzata in investimenti etici e responsabili.
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Negli ultimi decenni, il digitale ha rivoluzionato molti settori, ma cosa significa per il mondo della consulenza? In questo episodio di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj analizzano la transizione della consulenza da approcci analogici a digitali e come ciò abbia trasformato non solo i metodi di lavoro, ma anche i modelli di business. Con il contributo dell’esperienza di Anisa presso PwC, esploriamo il caso esemplare di una delle Big Four, che ha saputo trasformarsi con innovazioni radicali come la piattaforma digitale PwC's Digital Lab e collaborazioni con colossi tech come Microsoft e Google.
Oggi i consulenti sono chiamati a padroneggiare nuovi strumenti digitali, inclusa l’intelligenza artificiale e il cloud computing, per mantenere alta la qualità del servizio e rispondere alla crescente richiesta di competenze tecnologiche. Tra le tendenze emergenti si evidenziano la sostenibilità e l’adozione di modelli di lavoro ibridi, che alternano consulenza in presenza e da remoto, garantendo una maggiore flessibilità. La sfida però non è solo tecnica: la cultura aziendale deve evolvere insieme alla tecnologia, e le piccole e medie imprese italiane, spesso radicate in metodi tradizionali, affrontano resistenze che possono rallentare il cambiamento.
Ospite dell’episodio è Gianluca Diegoli, esperto di marketing digitale, che condivide le sue osservazioni sull’evoluzione della consulenza digitale e sull’importanza per le aziende di acquisire competenze interne che permettano loro di sfruttare al meglio i servizi esterni. Secondo Diegoli, l’approccio ai dati è cruciale per una strategia efficace, soprattutto per le piccole realtà che vogliono competere con le grandi piattaforme.
L'episodio si conclude con uno sguardo al futuro della consulenza, dove il valore risiede nella capacità di fondere il digitale con il contatto umano e la personalizzazione. L’esempio di PwC ci insegna che, se ben gestita, la trasformazione digitale non significa perdere le radici tradizionali, ma creare un ponte verso un futuro in continua evoluzione.
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