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A livello globale, il 2024 verrà ricordato come l’anno elettorale: 40 paesi alle elezioni, il 20% del mondo, 3,2 miliardi di popolazione, per un PIL di oltre 44 mila miliardi di dollari, pari al 42% del totale. Ad attirare il grosso dell’attenzione saranno però le Elezioni Presidenziali americane, il cui esito, da sempre, influenza l’andamento dei mercati. In generale, questi tendono a rimanere volatili prima dell’evento, per poi normalizzarsi una volta che il risultato è ufficializzato. L'esito delle elezioni può portare benefici ad alcuni settori piuttosto che ad altri e, storicamente, i mercati hanno sempre salutato con un rally una vittoria repubblicana. Se analizziamo i dati e prendiamo le performance azionarie degli ultimi 90 anni, il listino statunitense tende a mettere a segno guadagni più corposi negli anni elettorali rispetto agli anni senza voto, mentre sembra fare poca differenza che a essere eletto sia un repubblicano piuttosto che un democratico. Allo stesso tempo, non c’è alcuna evidenza di un’influenza significativa a lungo termine dei risultati elettorali sul potenziale di guadagno del mercato azionario in generale. Anzi, i dati dal 1928 a oggi ci dicono che, ad eccezione del 2008, anno della grande crisi economica, l’azionario USA è sempre salito alla fine di un mandato presidenziale rispetto al punto in cui si trovava al momento dell’elezione. Per quanto le elezioni presidenziali americane possano essere l’evento dell’anno, nessuna elezione politica è però in grado di arrestare i Megatrend secolari che stanno modificando il mondo: l’avanzamento della digitalizzazione e dell’Intelligenza Artificiale, l’evoluzione demografica e la transizione verso la neutralità climatica, insomma, non hanno colore politico.
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La vita esiste sulla Terra da miliardi di anni, ma negli ultimi decenni ha subito un rapido impoverimento, dovuto alla scomparsa delle specie. In poco meno di cinquant’anni il mondo ha perso oltre due terzi del numero di vertebrati selvatici a causa dell'estrazione di materie prime e della lavorazione delle risorse naturali, attività che modificano il bioequilibrio naturale, portando a conseguenze drastiche per fauna e flora. Le cause principali della perdita di biodiversità a livello globale sono lo sfruttamento intensivo del territorio e del mare, l’esaurimento delle risorse naturali, il cambiamento climatico e l’innalzamento dei livelli di inquinamento. La perdita di biodiversità minaccia le economie globali e le loro popolazioni, in quanto oltre il 50% del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi a essa correlati. Secondo le Nazioni Unite, nonostante sia trascorso un trentennio dalla Convenzione sulla Diversità Biologica, firmata a Rio de Janeiro nel 1992, gli obiettivi non sono stati centrati e per questo motivo, la stessa ONU ha inserito la protezione della biodiversità tra i suoi “obiettivi sostenibili”, da raggiungere entro il 2030. La continua riduzione delle aree selvatiche comporta anche il sovraffollamento di specie diverse in spazi sempre più ridotti con importanti effetti sulla salute degli animali e dell’uomo, poiché favorisce i processi di zoonosi, ossia la propagazione delle malattie da animale a essere umano. In un’ottica di tutela della biodiversità, la finanza può diventare un motore importante del cambiamento, andando a premiare quelle aziende che si contraddistinguono per l’attenzione alla dimensione ambientale e che includono tra i propri obiettivi quelli di salvaguardia della natura e delle specie.
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Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’evoluzione delle tendenze di consumo, che hanno impattato il modo di fare business delle aziende. A monte di questo cambiamento troviamo fattori demografici e sociali, l’enorme sviluppo tecnologico che stiamo attraversando e, infine, un tema molto importante legato al concetto di Experience Economy. Quest’ultimo, particolarmente sentito nel mondo del lusso, ha spinto le aziende a cercare il modo per agganciare i clienti puntando sugli aspetti immateriali che coinvolgono la sfera dell’emotività. Infine, si è notato che sempre più persone prestano attenzione all'impatto dei prodotti che acquistano e alla qualità delle aziende che li producono, ma non solo: a crescere è anche l’attenzione verso l’attività relativa alla sfera del well-being, vale a dire salute personale, stile di vita attivo, abitudini alimentari più sane, ma anche un migliore equilibrio dal punto di vista psicologico. Per rispondere al cambio dei bisogni delle persone, è opportuno sviluppare nuove soluzioni. Investire in beni e servizi che si adattano al cambiamento delle abitudini di consumo è fondamentale per soddisfare le esigenze individuali. Le aziende che vogliono rimanere competitive devono fare propri questi cambiamenti e sviluppare strategie che tengano conto delle esigenze e dei desideri dei nuovi consumatori, investendo in sviluppo tecnologico, personalizzazione, esperienze, sostenibilità e comunicazione.
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Le crisi economiche esistono da sempre, ma è con lo sviluppo dell’economia industriale che le criticità di mercato iniziano ad assumere un andamento ciclico, diventando parte integrante dell’attualità economica. La parola "crisi" deriva dal greco Krisis e significa decisione, giudizio, scelta. Nel contesto economico, una crisi rappresenta un momento di turbolenza, in cui si verificano cambiamenti negativi e bruschi delle condizioni economiche di uno o più Paesi. Nel mondo finanziario, questa situazione genera di solito tre reazioni: la fuga, l’immobilismo o l’azione. Una crisi economica può essere caratterizzata da una serie di fenomeni negativi e uscirne richiede solitamente una combinazione di interventi mirati da parte di governi, istituzioni finanziarie e settore privato, che possono aiutare la ripresa economica attraverso stimoli fiscali, politiche accomodanti, riforme strutturali mirate e attività di cooperazione internazionale. Affrontare una crisi richiede la giusta preparazione e il giusto approccio, fondamentali per non cadere vittime degli scherzi che possono giocare paura ed emotività.
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Le startup sono giovani aziende caratterizzate da un modello di business innovativo e scalabile, con l'obiettivo di diventare delle imprese consolidate nel tempo. Frutto dell’idea di imprenditori ambiziosi, si propongono di risolvere in maniera innovativa un problema esistente o di soddisfare un bisogno di mercato. Il loro sviluppo si può suddividere in quattro momenti: una prima fase, definita “pre-seed”, a cui seguono la fasi “seed”, “growth stage” e la fase conclusiva definita “exit”, che vede la startup entrare in Borsa, attraverso una IPO, oppure unirsi a un’altra società tramite un’acquisizione strategica. Le startup più conosciute sono probabilmente quelle tecnologiche, a cui fanno seguito quelle attive nel campo della biotecnologia, e quelle legate ai mondi della fintech, edTech e dell’e-commerce. Indipendentemente dall’ambito in cui operano, rappresentano una forza trainante nel panorama economico globale e sono fondamentali per affrontare sfide complesse e cavalcare nuove opportunità.
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Da sempre la finanza comportamentale studia il fenomeno della paura sui mercati finanziari e la sua capacità di influenzare le decisioni di investimento e la pianificazione finanziaria di lungo termine. Ma come si misura la paura?
La prima cosa a cui pensa l’investitore sono i possibili rischi a cui sono esposti i suoi risparmi, sia quelli sistemici che quelli specifici riferiti ad un singolo settore o a un’azienda. Negli anni, ci si è chiesto se fosse possibile raggruppare in un unico indice tutti questi rischi, quantificando la paura del mercato in un determinato momento. Sono nati così il Fear and Greed Index, costituito dalla CNN nel 2012 e il VIX, ovvero il CBOE Volatility Index.
Entrambi gli indici sono una metrica importante di valutazione, ma allo stesso tempo non possono prevedere con precisione la volatilità dei mercati. Per questo motivo, per capire meglio il mood del mercato, tutte le metriche quantitative e qualitative devono essere prese con cautela ed essere integrate ad ulteriori analisi al fine di capire meglio la complessità e l’umore del mercati.
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L'emergenza climatica ha sollevato la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e di adottare fonti energetiche sostenibili per mitigare gli impatti del cambiamento climatico. Fondamentali in questo scenario sono le energie pulite, o rinnovabili, che si articolano in diverse forme, ognuna delle quali si avvale delle risorse naturali in modo innovativo ed efficiente. La più nota e diffusa è l'energia solare, seguita da quelle eolica, idroelettrica, dalla biomassa, ovvero l'utilizzo di materiali organici, come legno, residui agricoli e rifiuti organici, per produrre calore, elettricità o biocarburanti e dall’energia geotermica.
La transizione verso un sistema energetico completamente sostenibile presenta però alcune sfide. In primo luogo, la complessità di sviluppare tecnologie più efficienti e di ridurre i costi di produzione, la necessità di mobilitare nuovi investimenti in ricerca e sviluppo per migliorare l'efficienza e l’accessibilità a livello globale, la gestione delle risorse naturali, che devono essere impiegate in modo sostenibile per evitare impatti negativi sulla biodiversità e sulla sicurezza alimentare, tenendo sempre a mente l’importanza dell'integrazione armoniosa delle tecnologie nelle comunità e la gestione degli impatti paesaggistici. Il cambiamento di paradigma richiesto nel settore energetico comporta anche sfide di natura politica e normativa, come la necessità di adottare politiche energetiche incentrate sulla riduzione delle emissioni e di creare un quadro normativo favorevole.
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Private asset è un termine generico che indica una serie di strumenti finanziari non quotati in borsa, che consentono di cogliere opportunità di investimento nell’economia reale altrimenti inaccessibili attraverso i canali pubblici. Gli strumenti più comunemente usati per investire nei mercati privati sono il private equity, il debito privato e il real estate. Il potenziale di questa classe di attivi è enorme: se si prende il totale delle aziende americane con ricavi superiori a 100 miliardi di dollari, solo il 13% appartiene al mercato quotato, mentre l’87% è privato.
Investire nei private asset offre indubbiamente numerosi vantaggi, ma data la loro complessità sono storicamente appannaggio dei soli investitori professionali. Tuttavia, visto l’enorme potenziale delle imprese di piccole e medie dimensioni in paesi come l’Italia, la regolamentazione si sta muovendo nella direzione di aprire il mercato anche gli investitori al dettaglio: ne è esempio la normativa Eltif 2.0 del 2024. In una fase storica di grandi trasformazioni che sta mettendo in discussione la solidità dei modelli di business tradizionali, è fondamentale saper individuare i leader del domani, vale a dire aziende solide e innovative capaci di cavalcare i trend del momento e di sfruttare a proprio vantaggio le grandi sfide che stiamo affrontando.
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La Blue Economy è un modello economico che mira a utilizzare in modo sostenibile le risorse marine per promuovere lo sviluppo economico e sociale attraverso l'innovazione tecnologica, adottando strategie che riducono l'inquinamento, proteggono gli ecosistemi marini e preservano le risorse ittiche. Promuove, inoltre, l'innovazione e l'uso di tecnologie avanzate per sfruttare in modo elificiente le risorse marine. Tra i principi fondamentali della Blue Economy si trova anche lo sviluppo socio-economico, in quanto questo modello cerca di migliorare le condizioni di vita delle comunità costiere attraverso lo sviluppo di settori economici legati al mare e la collaborazione tra istituzioni e comunità locali. La Blue Economy comprende una vasta gamma di settori economici legati al mare, quali la pesca sostenibile, la pratica dell'acquacoltura, le attività nell'ambito del turismo costiero, e l'utilizzo di energia rinnovabile proveniente da fonti "blu" come maree, onde e oceani. Nonostante i benefici siano indubbi, restano comunque due importanti sfide da affrontare: la prima è la minaccia per la sostenibilità economica e ambientale sottomarina provocata, ad esempio, dal sovrasfruttamento delle risorse, dall'inquinamento marino e dai cambiamenti climatici. La seconda è rappresentata dai costi elevati, che comportano la necessità di maggiori investimenti in ricerca e sviluppo.
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Il termine “commodity” deriva dal francese “commodité” e indica una categoria di beni standardizzati che possono essere scambiati con altri beni simili senza perdita di valore. Tali beni sono spesso negoziati su mercati specializzati, sia come asset class in sé sia come sottostante di altri prodotti finanziari, e giocano un ruolo cruciale nel sistema economico. Le commodity possono essere suddivise in due categorie principali: hard e soft. Le hard commodity sono beni fisici, spesso estratti dal suolo, come metalli o fonti di energia. Il prezzo di questi beni, di conseguenza, è spesso influenzato da fattori geopolitici e industriali, oltre all’interazione tra domanda e offerta. Le soft commodities, al contrario, sono prodotti agricoli o forestali, la cui produzione è influenzata da fattori climatici e agricoli, rendendoli soggetti a maggiore volatilità dei prezzi. Esistono diversi modi per investire nelle commodity e diversi mercati nel mondo specializzati, in cui vengono siglati ogni anno decine di miliardi di contratti futures, che consentono alle aziende di bloccare i prezzi e garantiscono una corretta pianificazione finanziaria.
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Investire in oro significa acquistare oro o strumenti finanziari legati al suo prezzo con l'obiettivo di trarne profitto nel tempo. Grazie al suo valore intrinseco e alla sua quantità limitata in natura, l’oro fisico si è guadagnato la nomea di bene rifugio, poiché capace di preservare il suo potere d’acquisto nel tempo, senza essere soggetto all’effetto inflazione. L’acquisto di oro fisico conferisce all’investitore o la proprietà dell'oro, ma può implicare spese aggiuntive di custodia.
Esistono però strumenti finanziari che permettono di acquistare oro non fisico, abbattendo così i costi di custodia, sebbene con rischi potenzialmente più elevati. Il prezzo dell'oro è influenzato da diversi fattori, tra cui le dinamiche di domanda e offerta, la forza del dollaro statunitense e i tassi di interesse, a cui si aggiungono la domanda orafa e dell’elettronica, poiché, grazie alla sua eccezionale conduttività, resistenza alla corrosione e al calore, risulta un materiale ideale per la produzione di fili, cavi e connettori.
Come ogni investimento, anche quello in oro comporta dei rischi, che si legano principalmente alle possibili fluttuazioni e alla volatilità del suo prezzo.
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Il termine eSport, abbreviazione di Electronic sport, viene usato per indicare l’attività competitiva di gaming alla presenza di spettatori, un crescente fenomeno globale con un seguito sempre più numeroso, caratterizzato da un’altissima qualità della user experience. Gli eSport fanno la loro comparsa negli anni '70, con la prima competizione all’Università di Stanford. Una ventina di studenti partecipano alle Olimpiadi Intergalattiche di Spacewar, per vincere un abbonamento annuale alla rivista Rolling Stone. La loro popolarità cresce velocemente e negli anni 2000 nascono le prime organizzazioni e leghe eSports. Il settore vive però un boom durante la pandemia di COVID-19, quando vengono inclusi in importanti eventi sportivi e si apre la discussione sulla loro possibile inclusione alle Olimpiadi. Guardando alle fonti di profitto, i ricavi degli eSport possono provenire da sponsorizzazione del marchio, diritti dei media, licenze, emissione di biglietti o merchandising, un mercato in continua evoluzione che si prevede crescerà fino a 205,7 miliardi di dollari entro il 2026, ragione per cui molti Paesi stanno già investendo in questo segmento. L’Arabia Saudita, ad esempio, prevede di investire $38 miliardi dei fondi sovrani per trasformare il Regno in un hub di eSport entro il 2030. Gli eSport hanno quindi aperto un nuovo campo di gioco, ridefinendo i contorni della competizione sportiva e offrendo opportunità di business innovative per giocatori, sviluppatori e aziende.
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I fondi a cedola sono veicoli d'investimento progettati per offrire agli investitori un reddito periodico, mantenendo i vantaggi dei fondi tradizionali.La rendita periodica è garantita dalle cedole, che possono essere fisse o variabili. Se quelle variabili potrebbero rappresentare un elemento di incertezza per l’investitore, il rischio con quelle fisse è che siano superiori rispetto al reddito generato dagli investimenti sottostanti, portando il gestore a integrare la differenza con un rimborso anticipato del capitale e risultando così meno vantaggiosi sul piano fiscale rispetto ai più comuni fondi ad accumulazione.
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Famosi ai più come “fondi speculativi”, gli Hedge Fund sono nati nel 1949 su intuizione del giornalista finanziario Alfred Winslow Jones. Hedge in inglese significa “coprirsi dai rischi” ed era proprio questo l’obiettivo iniziale degli hedge fund: affinare strategie di copertura per proteggere gli investimenti dalla volatilità dei mercati. Con il passare degli anni, tuttavia, si sono guadagnati la reputazione di “fondi speculativi”, adottando strategie sempre più complesse e rischiose, ma con un elevato potenziale di rendimento guidato da meccanismi di trading complessi, come short selling e leva finanziaria. Gli hedge fund sono divisi in diverse categorie, sulle base delle strategie che implementano per ottenere rendimenti, tra le quali le più ricorrenti sono le strategie long/short equity, quelle event-driven e quelle global macro. Data la loro complessità e l’elevata soglia minima di investimento, gli Hedge Fund si rivolgono generalmente ai clienti istituzionali.
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Con il termine “Venture Capital” si fa riferimento a una forma di investimento (e di finanziamento) altamente rischiosa, ma potenzialmente molto redditizia. Nello specifico, si tratta di un vero e proprio fondo di investimento, specializzato in aziende che mostrano un elevato potenziale di crescita, ma che non hanno le fondamenta economiche per supportare il proprio business. Provando a semplificare, i Venture Capitalist costituiscono il fondo, raccolgono capitale da investitori esterni interessati a finanziare progetti con un alto profilo di rischio/rendimento e li investono nelle aziende individuate in cambio di quote societarie. Dopo un periodo di tempo fisso, solitamente sufficiente per permettere alle aziende di raggiungere una certa solidità, iniziano la fase di disinvestimento, in cui le azioni vengono rivendute al mercato e il fondo monetizza i sui investimenti. In Italia il settore del Venture Capital è ancora poco sviluppato, sebbene nel 2022 abbia registrato una crescita eccezionale del 48% su base annua. Il cammino da percorrere per diventare un ecosistema maturo, insomma, è ancora lungo, ma ricco di potenziale.
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Il termine geopolitica indica lo studio delle relazioni tra la geografia fisica, la geografia umana e l'azione politica. Sebbene si tratti di un termine molto popolare, non esiste ancora una definizione univoca capace di esprimerne la capillarità. A partire dal 2018, quando è iniziata l’escalation di guerre commerciali e non, protezionismo, pandemia e deglobalizzazione, gli investitori hanno imparato la necessità di integrare i rischi geopolitici nelle decisioni di investimento. Le prospettive socio-economiche nel medio-lungo termine sono oggi difficili da prevedere, il mondo è infatti sempre più interconnesso, al punto che gli eventi politici di una parte del mondo possono rapidamente avere effetti a catena in altre parti del pianeta. Questo è osservabile, soprattutto, sui mercati finanziari, dove l’effetto contagio è tra le incognite più temute. Oggi è possibile misurare i rischi attraverso una serie di strumenti, ma per tutelarsi da questi rischi lo strumento più adatto rimane sempre un’adeguata diversificazione degli investimenti, sia in termini geografici che di asset class.
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Il Machine Learning (ML) è un sottoinsieme dell'Intelligenza Artificiale (AI) che si occupa di creare sistemi di apprendimento automatico, in grado di migliorarsi e aggiornarsi senza l’intervento dell'uomo. Sfruttando gli algoritmi di Machine Learning, il computer è infatti in grado di “imparare” da un insieme di dati raccolti in precedenza e, sulla base di alcuni input, produrre una stima su un modello. Dietro a questa tecnologia troviamo una lunga serie di sistemi di calcolo, i famosi “algoritmi”, ognuno dei quali si muove tra i dati in modo diverso. Il machine learning può essere utilizzato con successo anche in ambito finanziario, ad esempio per aiutare ad analizzare e trasformare la grande quantità di dati presenti nel mercato finanziario al fine di ricavare informazioni aggiuntive, difficili da ottenere con altre tipologie di analisi. Può, inoltre, rappresentare un grande aiuto in tutte quelle attività prevenibili o migliorabili grazie alla lettura, allo studio e all’ottimizzazione dei dati esistenti. Le potenzialità di questa tecnologia sono enormi, ma non sono trascurabili nemmeno i suoi limiti, legati principalmente alla bontà dei dati impiegati, che sono stati creati dall’essere umano.
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Il petrolio è tra le principali risorse del pianeta, ma è anche una materia prima dagli usi molteplici: quasi tutto ciò che ci circonda contiene derivati del petrolio. Nonostante l’economia globale stia cercando di ridurre la propria dipendenza dall’oro nero per affrontare le sfide ambientali, i consumi stanno per sfiorare la soglia dei cento milioni di barili al giorno. L'uso del "barile" come unità di misura affonda le proprie radici negli Stati Uniti del 19esimo secolo, quando in Pennsylvania venne inaugurato il primo pozzo petrolifero del mondo. All’epoca, il petrolio veniva estratto dai pozzi e trasportato in botti di legno aventi una capacità di 42 galloni americani. Con la rapida crescita del commercio di petrolio divenne indispensabile stabilire una misura standard dei barili, che venne fissata proprio a 42 galloni. L'uso del barile come unità di misura si è mantenuto nel tempo, anche quando la maggior parte del mondo è passata al sistema metrico. Oggi non esiste più un barile fisico standard, in quanto le aziende petrolifere utilizzano container di dimensioni variabili, ma il petrolio continua a essere "prezzato" al barile. In sintesi, il barile è diventato una convenzione internazionale e rappresenta un perfetto esempio di come la storia influenzi ancora il presente.
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Un portafoglio bilanciato è un portafoglio composto da una parte azionaria, più rischiosa, e una parte obbligazionaria, meno volatile. Le percentuali delle componenti azionarie e obbligazionarie dipendono da diversi fattori legati al singolo investitore, tra cui la propensione al rischio, l’orizzonte temporale e l’obiettivo dell’investimento. Un portafoglio bilanciato a basso rischio conterrà una componente azionaria più bassa, solitamente tra il 25% e il 35%, mentre un portafoglio bilanciato aggressivo sarà investito in azioni anche per più del 60%. I due capisaldi dei portafogli bilanciati sono diversificazione e de-correlazione. Diversificare significa non concentrare i propri investimenti in un’unica attività finanziaria al fine di ridurre il rischio complessivo del portafoglio, scegliendo in particolare asset class de-correlate, ovvero che presentano dinamiche indipendenti le une dalle altre. Dal 1929 ad oggi si sono registrati solo 5 anni in cui le correlazioni tra azioni e obbligazioni sono state positive, con ricadute negative sui fondi bilanciati. La performance di un portafoglio bilanciato dipende dal contesto di mercato, ovvero ai livelli di inflazione e crescita registrati. Guarda il video e scopri di più sulla composizione di un portafoglio bilanciato e sul suo comportamento nelle diverse fasi di mercato.
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È passato quasi un quarto di secolo dall’inizio del nuovo millennio e lo sviluppo tecnologico a cui abbiamo assistito è, indubbiamente, senza precedenti. I primi vent’anni del millennio sono stati ricchi di innovazioni, ma cinque di queste hanno cambiato la nostra vita in maniera più radicale. Al primo posto si trova naturalmente lo smartphone, che ci permette di compiere un numero infinito di attività più o meno complesse, semplicemente scorrendo il dito sullo schermo. Al secondo posto troviamo Facebook, il più celebre dei social network, che ha cambiato per sempre il nostro modo di comunicare e creare relazioni. Medaglia di bronzo per Wikipedia, la più grande enciclopedia digitale nata a inizio 2001, che mette a disposizione degli utenti una quantità enorme di contenuti liberi e gratuiti. Il quarto posto lo conquista la blockchain, che ha permesso la nascita delle criptovalute e del celebre bitcoin. Chiude la classifica l’Intelligenza Artificiale, termine con cui si indica la capacità autonoma delle macchine di raccogliere, analizzare e interpretare enormi quantità di dati e utilizzare le informazioni apprese per simulare le capacità umane quali il ragionamento e l’apprendimento. Non possiamo sapere cosa ci riserverà la tecnologia in futuro, ma guardando il ritmo con cui si è evoluta da inizio millennio, possiamo presumere che continuerà a cambiare nel profondo le nostre vite.
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