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  • «Il musulmano italiano è una persona che si riconosce nella sua italianità ma, allo stesso tempo, riconosce la sua diversità nella religione». Secondo una classificazione per culto, i musulmani sono più del 33 % degli stranieri presenti nel nostro Paese. Spesso sono di seconda generazione, legati alle tradizioni d’origine, ma si «riconoscono nelle istituzioni italiane e parlano italiano con i coetanei e alla società», dice Abderrazzak Lemkhannet, 31 anni, coordinatore della moschea di Piacenza e membro del direttivo dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia, individuato come leader di questa puntata.«Arriva sempre il velo prima di me», dice invece Marwa Mahmoud, consigliera comunale di Reggio Emilia, per rappresentare lo sforzo di dare un’immagine corretta della propria fede, la lotta ai pregiudizi e alle paure, e soprattutto la ricerca di un'intesa e di riconoscimenti da parte dello Stato italiano. Queste sono alcune delle sfide che giovani come lei e come Youness Warhou, tra i fondatori del movimento Italiani senza identità, hanno scelto di affrontare, costruendo ponti tra i precetti della fede e i valori della Costituzione.

  • Da dove vieni? È una domanda che inevitabilmente guarda al passato quella con cui si apre l'episodio dedicato ai giovani delle comunità ebraiche italiane, in un viaggio che parte dal Tempio Maggiore di Roma e arriva alla Sinagoga di Milano, passando per il ghetto di Venezia. La difficile rielaborazione di una Storia dolorosa è la costante di una galassia tutt’altro che monolitica.Miriam Camerini, scelta come figura leader per il valore della testimonianza che incarna, è cresciuta in una famiglia molto osservante e sta studiando per diventare la prima rabbina ortodossa d’Italia: «Più volte mi sono detta quanto sono felice di essere donna ed ebrea perché non vorrei mai essere parte di un establishment che esclude l’altro, preferisco essere esclusa e lottare per entrare che stare tra quelli che sono dentro e tengono gli altri fuori». Davide, 43 anni, musicista, viene invece da una famiglia non praticante (di cui faceva parte lo scrittore Carlo Levi) ma si è riavvicinato alle proprie origini religiose, attratto dalla «libertà che viene lasciata al pensiero» e dalla circostanza che l’Ebraismo «non si completa mai, è sempre un tendere verso qualcosa, un orizzonte dove però non arriverai mai, come le utopie».

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  • «Più incontro persone più mi vado convincendo che un bisogno di spiritualità da parte dei giovani esiste ed è forte», dice Ilenya Goss, pastora della chiesa valdese di Mantova. «Forse siamo noi a non riuscire a proporre i nostri contenuti con linguaggi e forme moderne e più immediate».Non sorprende che queste riflessioni critiche arrivino da una comunità che da sempre ha nell'indipendenza del pensiero e nell'impegno sociale due delle sue caratteristiche principali. Lo raccontiamo attraverso la testimonianza di Angelica, 24 anni, studentessa di Fisica, che proprio a Mantova frequenta una chiesa particolarmente animata da un gruppo di ghanesi metodisti. E quella di Daniele, 31 anni, che frequenta il Tempio di Milano fin da quando era piccolo e oggi dice: «Essere valdese è un modo di vivere e dispiegarsi nel mondo».

  • “Comunità” è la parola chiave della parrocchia ortodossa romena di Verona a cui fanno capo circa 6.000 persone. Il luogo, fisico e spirituale, animato da padre Gabor Codrea, in cui la religione accoglie, aggrega, ricompone, dà punti di riferimento a chi li ha cercati con molta fatica. Riprende da qui il viaggio tra le fedi in Italia, da una chiesa costruita con il sostegno dello Stato romeno ma anche con le donazioni dei fedeli, nuovi italiani che continuano a sentirsi divisi in due, fisicamente qui, ma con il cuore in Romania. «Vivendo la religione, torniamo a casa tutte le domeniche», dice Florin, medico anestesista, che all'interno della grande struttura alle porte della città ha aperto un piccolo ambulatorio di prima assistenza. Antonio, invece, lavora come elettricista ma appena può fa il volontario sulle ambulanze: è il suo modo di rendere anche solo una piccola parte della mano ricevuta quando, diciannove anni fa, è arrivato in Italia.

  • «So di dare un’immagine un po’ anziana della chiesa cattolica», dice Alessandra, «ma io la vedo come i miei nonni, che mi accompagnano e mi danno una direzione, a cui forse manca un po’ di intuito, di freschezza, di novità». Alessandra ha 31 anni, è laureata in Teologia e insegna religione in una scuola media: è una dei tre protagonisti di questo episodio dedicato ai cattolici con il quale inizia il nostro viaggio nella geografia delle fedi dei trenta-quarantenni in Italia. Si parte dal Seminario maggiore nel centro storico di Padova, dove una volta gli allievi “erano truppe”, mentre oggi sono poche decine. «C’è certamente un problema di riconoscimento in una comunità da parte di tanti giovani, il che porta a un pellegrinaggio “fai da te” per crearsi un’esperienza personale», conferma Paolo Rappellino, giornalista del mensile “Jesus”, che abbiamo individuato come personaggio di riferimento. «Anche se il mondo cattolico è molto vario al suo interno, oggi un trentenne credente fa parte di una minoranza».