Avsnitt
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ep. 67 st. 1
Tra le opere più celebri di Stefano Protonotaro vi è il componimento "Pir meu cori alligrari", che ha il pregio di essere giunto fino a noi in siciliano originale; è sopravvissuto infatti alla toscanizzazione; i copisti toscani tradussero infatti i testi adattandoli al loro dialetto.
Protonotaro è quindi particolarmente importante per comprendere il volgare siciliano del XIII secolo.
In "Pir meu cori alligrari", Protonotaro esplora temi tipici della poesia cortese, come l'amore idealizzato e la bellezza della donna amata, con un linguaggio elegante e melodico.
Canzone di 5 strofe di 12 versi, endecasillabi e settenari.
Pir meu cori allegrari,
chi multu longiamenti
senza alligranza e joi d'amuri è statu,
mi ritornu in cantari,
ca forsi levimenti
da dimuranza turniria in usatu
di lu troppu taciri;
e quandu l'omu à rasuni di diri,
ben di' cantari e mustrari alligranza,
ca senza dimustranza
joi siria sempri di pocu valuri;
dunca ben di' cantari onni amaduri.
E si per ben amari
cantau juiusamenti
homo chi avissi in alcun tempu amatu,
ben lu diviria fari
plui dilittusamenti
eu, chi su di tal donna inamuratu,
dundi è dulci placiri,
preiu e valenza e juiusu pariri
e di billizi cuta[n]t' abondanza,
chi illu m'è pir simblanza
quandu eu la guardu, sintir la dulzuri
chi fa la tigra in illu miraturi;
chi si vidi livari
multu crudilimenti
sua nuritura, chi illa à nutricatu,
e si bonu li pari
mirarsi dulcimenti
dintru unu speclu chi li esti amustratu,
chi l'ublia siguiri.
Cusì m'è dulci mia donna vidiri:
chi 'n lei guardandu met[t]u in ublianza
tutta'altra mia intindanza,
sì chi instanti mi feri sou amuri
d'un culpu chi inavanza tutisuri.
Di chi eu putia sanar;
multu legeramenti,
sulu chi fussi a la mia donna a gratu
meu sirviri e pinari
m'eu duitu fortimenti
chi quandu si rimembra di sou statu
nu lli dia displaciri.
Ma si quistu putissi adiviniri,
ch'Amori la ferissi de la lanza
chi mi fer' e mi lanza,
ben crederia guarir de mei doluri,
ca sintiramu equalimenti arduri.
Purriami laudari
d'Amori bonamenti,
com'omu da lui beni ammiritatu;
ma beni è da blasmari
Amur virasementi,
quandu illu dà favur da l'unu latu,
chi si l'amanti nun sa suffiriri,
disia d'amari e perdi sua speranza.
Ma eu suf[f]ru in usanza,
chi ò vistu adessa bon sufrituri
vinciri prova et aquistari hunuri.
E si pir suffiriri,
ni per amar lialmenti e timiri,
homo aquistau d'Amur gran beninanza,
digu avir confurtanza
eu, chi amu e timu e servi[i] a tutt'uri
cilatamenti plu chi altru amaduri. -
Questo è un sonetto particolare perché il poeta unisce, in un unico tratto ideologico, due tradizioni, quella provenzale dell'omaggio alla donna e quella religiosa del servizio di Dio.
Io m’ag[g]io posto in core a Dio servire,
com’io potesse gire in paradiso,
al santo loco, c’ag[g]io audito dire,
o’ si mantien sollazo, gioco e riso.
Sanza mia donna non vi voria gire,
quella c’à blonda testa e claro viso,
che sanza lei non poteria gaudere,
estando da la mia donna diviso.
Ma non lo dico a tale intendimento,
perch’io pecato ci volesse fare;
se non veder lo suo bel portamento,
e lo bel viso e ’l morbido sguardare:
che·l mi teria in gran consolamento,
veggendo la mia donna in ghiora stare. -
Saknas det avsnitt?
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Il sonetto fa parte di una tenzone poetica con Pier delle Vigne e Jacopo Mostacci sulla natura dell'amore... Giacomo da Lentini si oppone ad un amore mentale e distante, come quello dell'amor de lonh proposto dai trobadorici. Il vero amore, per generarsi, ha bisogno di una sollecitazione concreta: la vista della dama in tutta la sua bellezza.
Amore è uno desi[o] che ven da’ core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore
e lo core li dà nutricamento.
Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nas[ci]mento:
ché li occhi rapresenta[n] a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio
com’è formata natural[e]mente;
e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e [li] piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente. -
Commento al testo più popolare di Jacopo Notaro.
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn’ora.
Com’om che pone mente
in altro exemplo pinge
la simile pintura,
così, bella, facc’eo,
che ’nfra lo core meo
porto la tua figura.
In cor par ch’eo vi porti,
pinta como parete,
e non pare di fore.
O deo, co’ mi par forte.
Non so se lo sapete,
con’ v’amo di bon core:
ch’eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
dipinsi una pintura,
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio,
guardo ’n quella figura,
e par ch’eo v’aggia avante:
come quello che crede
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.
Al cor m’arde una doglia,
com’om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso,
e quando più lo ’nvoglia
allora arde più loco
e non pò stare incluso:
similemente eo ardo
quando pass’e non guardo
a voi, vis’amoroso.
S’eo guardo, quando passo,
inver’ voi, no mi giro,
bella, per risguardare.
Andando, ad ogni passo
getto uno gran sospiro
che facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c’a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.
Assai v’aggio laudato,
madonna, in tutte le parti
di bellezze ch’avete.
Non so se v’è contato
ch’eo lo faccia per arti,
che voi pur v’ascondete.
Sacciatelo per singa,
zo ch’eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.
Canzonetta novella,
va’ canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogni amorosa,
bionda più c’auro fino:
«Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino.» -
Giacomo da Lentini, noto anche come Jacopo Notaro, è una figura centrale della Scuola Siciliana, un movimento letterario del XIII secolo che ha gettato le basi della poesia lirica italiana. Operando sotto la corte di Federico II di Svevia, Giacomo ha contribuito in modo significativo allo sviluppo del sonetto, una forma poetica che avrebbe avuto un impatto duraturo sulla letteratura europea. I suoi versi, spesso caratterizzati da un raffinato uso del volgare siciliano, esplorano temi di amore cortese con una sensibilità che unisce l'eredità trobadorica alla nascente cultura italiana. La sua maestria nel bilanciare innovazione formale e profondità emotiva ha reso la sua poesia un modello per i successivi poeti italiani, tra cui Dante Alighieri e Petrarca. Giacomo da Lentini viene celebrato non solo come un abile artigiano del verso, ma anche come un pioniere che ha contribuito a elevare il volgare come lingua letteraria di prestigio.
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Quello dei poeti della Magna Curia è un volgare illustre ed è interregionale. Un primo strato linguistico, di base, è costituito dal volgare siciliano, ma su di esso agiscono e si sedimentano gli influssi e i contributi di altre lingue: il latino, il provenzale e i dialetti italiani che i giuristi portano con sé per i più svariati motivi [...]
Spiegazione della toscanizzazione della lingua della Scuola siciliana ed elenco dei poeti degni di nota. -
Caratteri e peculiarità della Scuola siciliana. La poesia siciliana è tutta dedicata all'anima e allo spirito amoroso; la fenomenologia dell'innamoramento è il perno attorno al quale ruotano le nuove composizioni dei poeti-giuristi.
Rinnovamento della forma canzone, invenzione del sonetto e abbandono dell'accompagnamento musicale. -
Nella prima metà del Duecento si forma e si sviluppa un fenomeno assai unico ed importante. Ne è protagonista il regno di Sicilia, alla cui guida vi è Federico II di Svevia [...]
Formazione e nascita della Scuola siciliana. -
"Perché sia accaduto che ad una lingua unitaria, il latino, si siano sostituite più lingue neolatine è problema molto controverso e tutt'altro che facile da risolvere".
Condivisione di brani scelti dal saggio Origini romanze di Alberto Varvaro, contenuto in Storia della letteratura italiana diretta da Enrico Malato, Volume I, Salerno editrice, Roma 1995. -
L'impero doveva fare i conti con una figura che dominava la scena feudale: il re.
Il re è il cardine attorno al quale tutto ruota... anche i cavalieri, nostri eroi; nessuno escluso. Rolando, Lancillo e Parceval bastano come esempio.
Il re è l'apice e l'erede di quella stirpe che ha permesso alla comunità di aggregarsi al sicuro dai pericoli, di stabilizzarsi e di divenire poi un regno.
E' presente una lettura tratta da Il Basso Medioevo di J. Le Goff, trad. di E. Vaccari Spagnol, Feltrinelli, Milano 1967. -
Come si esce dalla terribile condizione di degrado nella quale l'intero mondo altomedievale era inevitabilmente caduto? Ripartendo da zero, dalla terra e dalla guerra.
Chi ha poi dato stabilità allo status delle cose, chi ha mantenuto l'equlibrio sociale, chi ha difeso la comunità che nel frattempo si stabilizzava e progrediva? E' stato il cavaliere. Non tanto il cavaliere in senso stretto, ma il guerriero in senso lato...
Lettura di un brano tratto da Lynn White Jr., Tecnica e società nel Medioevo, Il Saggiatore, Milano 1967. -
Secondo approfondimento per comprendere meglio tutto quello che è stato illustrato fino a questa 56esima puntata.
Rodolfo il Glabro racconta le terribili realtà sulla carestia del 1033 in Borgogna.
Lettura tratta da Cronache dell'anno Mille [Storie], a cura di G. Cavallo e G. orlandi, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, Milano 1989. -
Approfondimento di alcuni aspetti della società e della cultura medievale, utili per comprendere meglio tutto quello che è stato illustrato finora.
"La società feudale" di M. Bloch, Einaudi, Torino 1949. -
All’interno dei Comuni del nord-Italia, vi era un pubblico costituito soprattutto da mercanti e artigiani che apprezzava fortemente il poemetto narrativo e didattico. Mentre nel centro-Italia si diffonde enormemente la lauda, nell’area lombardo-veneta troviamo queste opere didascaliche che hanno, semplificando, come scopo principale, quello di indirizzare i cristiani sulla via del Bene. All’interno di queste opere si descrivono infatti visioni dell’al di là (dell’Inferno e del Paradiso), oppure si dibatte su temi anche di natura filosofica e teologica con argomentazioni inerenti al rapporto tra anima e corpo ad esempio. Si presentano argomenti che devono scuotere il lettore e farlo riflettere perché prenda posizione nella dicotomia tra Bene e Male. I due autori più importanti sono Giacomino da Verona e Bonvesin de la Riva.
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Un primato importante che si può attribuire a Jacopone da Todi è quello di essere stato il primo autore impegnato nella produzione di un corpus letterario dedicato alla lirica religiosa. Ricordiamo che S. Francesco d’Assisi è sì il primo, come abbiamo detto nelle puntate precedenti, ma a noi è noto un unico suo testo lirico in volgare (il “Cantico” appunto). Jacopone invece ha una buona produzione poetica a suo carico, ed è anche innovativa rispetto al passato. Prima di Jacopone, la lauda era destinata esclusivamente alla preghiera; era in funzione di essa. Con Jacopone, e poi in avvenire, la lauda assume una forma ed entra in una dimensione letteraria.
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Jacopone, pur essendo francescano, non mostra, come potremmo immaginare, di vivere un rapporto sereno con il mondo che lo circonda. Egli è una persona difficile, ricca di contraddizioni, di paradossi, a tratti violento e fortemente polemico verso il prossimo. I temi poetici da lui trattati sono però quelli dell’umiltà, della gioia mistica di incontro con Dio, la passione di Cristo. Jacopone è molto forte e dà però voce ad una disperazione molto umana, quella di essere consapevoli della propria infima piccolezza come essere umano gettato sulla Terra e di essere al contempo infinitamente lontano da Dio in termini esistenziali.
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Qualcuno ha fatto notare che nel Cantico emerge un aspetto ingenuo e semplicistico. Non è difficile pensare che questo sia stato appositamente voluto da Francesco; prevale un’ingenuità voluta perché semplice ed essenziale è l’approccio francescano all’esistenza. Ciò non non svilisce l’importanza e la grandezza di quel che stiamo trattando; anzi. Francesco è un autore raffinato e preciso. È riuscito a dare perfetta rispondenza tra forma e stile e significato culturale del testo.
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Il "Cantico delle Creature" è unanimemente riconosciuto come il primo testo poetico della letteratura italiana. San Francesco lo compone negli ultimi anni della sua vita (si pensa intorno al 1224).
Qui se ne dà lettura e se ne propone la parafrasi. -
Qual è la grande importanza letteraria (cioè culturale) di S. Francesco d’Assisi? Francesco si fa deciso promotore dell’idea evangelica di fratellanza umana. L’infima condizione sociale vissuta dal Santo non è subìta, ma è ricercata perché è intesa come una condizione naturale dell’essere umano. Le zavorre dell’economia, del buoncostume, del potere, del guadagno, del comando, ecc sono eliminate; nella povertà l’uomo assapora il vero valore dell’esistenza. E lo fa in un rapporto di armonia con tutto ciò che lo circonda, con il Creato e con il Creatore.
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Biografia di San Francesco d'Assisi, non solo patrono d'Italia, ma anche iniziatore della nostra tradizione letteraria, con il Cantico delle creature. La sua giovinezza è sicuramente dinamica e piena di risorse; piena di esperienze e di viaggi, anche in Francia, forse a seguito del padre; lo si è descritto come un giovane allegro e spensierato con il sogno, comune forse per l’epoca, di diventare un valoroso cavaliere e di prendere in sposa una nobile dama, proprio come vedeva accadere nei romanzi cortesi. A quattordici anni Francesco era già avviato alle attività mercantili di vendita di tessuti e stoffe in tutto il Ducato di Spoleto...
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