Avsnitt
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Quando torno, ma quando torno davvero, voglio prendere i miei figli per mano e portarli a salutare tutte le persone che vogliono. Gli dirò che ora è tutto pulito: la loro scuola dell'infanzia, i giardini, i giochi e anche la spiaggia che è da un po' che mi chiedono se hanno finito di pulire perché loro vogliono tornare a scuola.
Quando torneremo davvero e i miei figli mi chiederanno dove è andato il virus, io gli dirò che se ne è andato in vacanza sulla luna.
Quando torneremo davvero stampo quella foto di noi con la mascherina e la foto gliela metto nella scatola dei ricordi, perché spero che tutto questo sia solo un pezzo di storia che racconteranno ai loro nipoti -
Saknas det avsnitt?
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Appena torno vorrei aggiungere anche qualcosa di nuovo, così a rendere vera quella promessa retorica che ci facciamo di uscire migliori da tutto questo.
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Appena torno voglio vedere se la tamerice che era cresciuta tra le rocce di una caletta c’è ancora
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La prima cosa che farò sarà precipitarmi anche a piedi, non so se riuscirò a superare l’inquietudine dei mezzi pubblici, al mio bar di riferimento che non è sotto casa mia, ma è a Colli Aniene ed è di fronte alla mia scuola. Quello non è soltanto un bar per me: è un luogo dell’anima. Quando la mattina vado a scuola io ho bisogno di fare pit stop lì perché mi ricreo. Perché il Barnout è un posto dove fai due chiacchiere. Io credo che ognuno di noi abbia un bar del cuore. È una delle cose che mi è mancata di più. È un qualcosa che mi predispone bene per il resto della giornata che comunque è una bella giornata perché per chi ama insegnare e andare a scuola è una cosa bellissima. Però quel bar è una sorta di microcosmo in cui ti senti accolta, protetta, amata e accettata e conosciuta e è un punto di riferimento. Prima ancora del parrucchiere, voglio andare a rivedere di persona i miei amici del barnout federica e Peppe
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Appena torno voglio camminare, camminare e camminare. Respirerò meglio, avrò sana e robusta costituzione. Andrò avanti. Porterò a termine le cose in sospeso. Concluderò il passaggio. Mi godrò il paesaggio. Viaggiando a ritroso tornerò a casa. E poi appena dopo tornerò qui, a Roma, e ripartirò.
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Appena torno mi metto dentro a un treno qualunque, che mi porta da qualche parte, sperando di addormentarmi con la testa su un sedile senza farmi troppe domande su chi c’è stato prima di me. Quando il treno partirà spero che le molecole del mio corpo si sconvolgano per l’agitazione del transito. E sconvolgendosi comincino a pensare qualcosa di nuovo, esplodendo come l’acqua frizzante. Cento chilometri all’ora mi daranno alla testa dopo due mesi a mille passi al giorno. Forse mi fermerò in una stazione qualunque aspettando una coincidenza in ritardo. Mi piacerà ascoltare cose come: “Il treno XY delle ore Z partirà alle ore X invece che alle ore Y per ritardo riparazione treno”. Mi piacerà sentire cose come: “Il treno è in partenza dal binario 1000 invece che dal binario 1” anche se questo significa correre dall’altra parte della stazione. Mentre aspetto dietro alla linea gialla spero di non imbattermi in “Accertamenti dell’autorità giudiziaria in seguito all’investimento di una persona” visto che di questi tempi qualcuno ha perso il senso della vita oltre che il lavoro. Gli altoparlanti parleranno spesso di “Ritardi per operazioni straordinarie di pulizia del treno”, ma dovranno aspettare più di un’estate per sentire ancora “…la grande affluenza di viaggiatori nelle stazioni precedenti”. Appena torno forse i conti potrebbero non tornare e allora le stazioni annunceranno: “Occupazione dei binari da parte di manifestanti”. Appena torno mi metterò dentro a un treno, lì dove mi hanno concepita: in un vagone letto durante un viaggio di nozze. E rimettermi in un treno sarà come venire al mondo.
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Appena torno voglio prendermi un cappuccino scuro bollente al bar con gli occhietti ancora appiccicati di sonno e il barista che mi dice: “ciao stellì, buon weekend” pure se è lunedì.
E poi voglio comprarmi un paio di scarpe sontuose, magari anche più di un paio, andare al mare, fare tantissimo sesso (non necessariamente al mare).
E poi voglio fare una cosa che non faccio ormai da due mesi e cioè dare delle sòle. Perché sono praticamente due mesi che non sono costretta a inventare una scusa, o a fingermi morta all’ultimo minuto pur di non andare all’aperitivoallacenaalbrunchapertivoalparty. Ecco vorrei tornare ad applicare quel sano distanziamento sociale scelto e non imposto per cui quando ricomincerò a dare le sòle significherà che sarò davvero tornata -
Appena torno ho tantissime cose da fare. Così tanti desideri elaborati in questi mesi nel mio laboratorio casalingo di “vorrei” che non saprei neanche da dove iniziare.
Prima di tutto vorrei ritrovarmi in un grande spazio all’aperto, senza pareti, senza soffitti, e mi sdraierei per terra a guardare il cielo sopra di me.
Poi vorrei correre da mia sorella a Perugia che da pochi mesi ha scoperto essere in cinta. Vorrei accarezzarle la pancia e vedere quanto è cresciuta. Abbracciarla forte, ma con attenzione. E dirle guardandola fissa negli occhi quanto sia felice per lei, per loro.
Appena torno poi vorrei continuare a essere così in ascolto di me stessa e degli altri, come lo sono stata in questi giorni.
Appena torno vorrei dire ancora tanti altri vorrei. -
Io ho un unico desiderio che forse solo in pochi capiranno: mi piacerebbe andare a fare un giro in piazza del campo per toccare e vedere l’erbetta che è cresciuta in questo periodo: la verbena
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Appena riapriranno le gabbie la mia giornata comincerà presto: la mattina darò na mano al Sor Sergio a riaprì er bar e rifaremo colazione insieme. Leggermente corretti alla sambuca. No sbruffo come dice lui, alle cinque e mezzo, pe risentisse vivi. Poi me ne preparo una da fumà nel traffico, e tutto er giorno me vojo fa er giro dei posti miei, pure de quelli che avevo rimosso e in questi me so ricordato: la panchina sotto casa dei miei, i viali intorno alle case ndo ho abitato, il giardinetto del pub. Me vorei fa na vasca pe Centocelle, e poi na passeggiata alle case a San Basilio, e pe i lotti de Primavalle dove adesso girano solo guardie e droni. E poi ancora un giretto al mercato, addà corda alle vecchiette, a parlà e a ride con gli sconosciuti, a filamme la tipa del banco in fondo. Insomma, come dì? In definitiva ciò solo voja de caminà e salutà tutti come se fossi er sindaco. Er sindaco de na città che oggi pare morta e tutti la fotografano così, tutti se la guardano come se fosse un museo, ma in realtà sta città è gonfia, è tracotante, rumorosa, eccessiva, indisponente. E avoja addì: è bella solo se non è vòta, sinnò nun è lei.
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ho voglia di tornare a lavorare, di abbracciare tutti i miei cagnolini, di godermi il lavoro più bello del mondo e di godermi il mio negozietto che con tanta fatica ho aperto da pochissimo prima della quarantena, porca miseria.
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Quando torno voglio farmi almeno un’ora di traffico perché, sembrerà strano, però a me me manca. Cioè mi manca quell’ora per andare a lavorare, quel tragitto in macchina in cui alla fine stavo lì a pensare un sacco di cose, a elaborare... Però ho capito che mi serve: un’ora di traffico
- Visa fler