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Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchipreziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro miglioreesibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra ipalchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno datovita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
Siamo arrivati all’ultimo episodio del nostro podcast. In questa serie abbiamo conosciuto il teatro Cagnoni attraverso la voce dei suoi palchettisti ed insieme a loro, un po’ della storia di Vigevano. L’abbiamo visitato durante la sua inaugurazione, nella scorsa puntata. Oggi, daremo uno sguardo al teatro non più da fuori, né dai suoi palchi… ma da dietro le quinte! Infatti incontreremo Italia Giorgio: soprano e interprete del personaggio principale di una delle più belle opere messe in scena sul palco del Teatro Cagnoni, la Carmen di Georges Bizet…
Italia Giorgio: Oh, scusate! Non mi ero accorta che foste già qui! Mi sto preparando per il mio debutto. Non il primo in assoluto, ma quando devo esibirmi in un nuovo teatro, è quasi come fosse ancora la mia prima volta. Chissà che pubblico incontrerò, se la critica verrà in mio favore o dirà male della mia voce. Sapete, essere attrice - seppur di repertorio di tutto rispetto - non è facile al giorno d’oggi - o meglio, ai giorni miei! Non è da molto che noi donne prendiamo parte alle rappresentazioni teatrali, quanto sarà…duecento anni? Be’, insomma, abbiamo cominciato a prendere parte in modo significativo in teatro solo nel XVII secolo. E non è che a fine Ottocento le cose vadano tanto meglio: di donne sul palco ne è pieno il mondo, ma guai a chiamarle “attrici”. Nossignori, meglio farci chiamare benestanti; dicono che la parola attrice sia…come dire… che non stia bene, ecco.
Narratore: La Carmen suonò per la prima volta assoluta al Cagnoni nel 1892, quando ancora prendeva il nome di Teatro Municipale. La prima Italiana dell’opera era stata nel 1879, al San Carlo di Napoli, e la sua rappresentazione tornerà al Cagnoni ancora molte volte, fino all’ultima del 2014, sotto forma di balletto.
I: Notevole! Peccato che non sarò sempre io ad impersonare Carmen e ad intonare le note di Georges Bizet, ma che volete farci, il tempo scorreva veloce anche ai miei giorni… e a proposito di tempo, non manca molto all'ouverture, sentite l'orchestra? Sta già accordando gli strumenti, tra poco entro in scena. Non so se possiate vederli anche voi, ma se siete davanti la buca dell’orchestra, vi prego di prestare attenzione alla conta delle poltrone degli orchestrali… quante sono lo sapete? Ve lo dico io: c’è spazio per 36 professori d’orchestra - vale a dire i musicisti - 25 coristi uomini, 12 coriste donne e 12 paggi cantori. Di là, nel retroscena, dietro al sipario, trovano posto 40 comparse, 9 attori e persino due cavalli di scena… cavalli in carne ed ossa, eh!
Niente male, vero? E non è finita qui. Sono moltissimi i mestieri e le maestranze che lavorano insieme per dare vita allo spettacolo: levatori di sipario, maschere - che non stanno sul palco, ma vegliano tra di voi in platea quando tutto intorno si fa buio - e poi ci sono i vestiaristi, i bigliettai, gli attrezzisti, i calzolai e naturalmente, macchinisti, impresari, registi e direttori d’orchest… forse questo non avrei dovuto dirlo, ma già che ci sono… parliamone un po’. Si dice che il teatro sia la mimesi della vita, il principio secondo cui l’arte riflette la realtà. E così, come nella vita vera, capita che non fili sempre tutto liscio, e che qualche intoppo accada anche poco prima di una messa in scena importante.
N: In occasione della Carmen, fu presentata una dichiarazione dall’orchestra perché indignata dal fatto che non venisse diretta, come di consueto, dal Maestro Domenico Cagnoni - il fratello di Antonio Cagnoni, il compositore a cui più avanti venne intitolato il teatro. Al suo posto era stato scelto il maestro Vincenzo Maria Pintorno. Questi vantava un curriculum di tutto rispetto: amico di Mascagni e Puccini, aveva diretto opere nei più importanti teatri d’Italia. Ma le cronache dell’epoca non lasciano dubbi sul gusto dei vigevanesi per la gente del luogo. E tuttavia, nonostante le proteste, nulla impedì quella sera a Pintorno di dirigere una delle più belle rappresentazioni della Carmen.
I: Nella mia lunga carriera mi è successo altre volte di vedere certe rimostranze, accadono in tutti i teatri; capita quando c’è da mettere d’accordo un centinaio di persone. Nel corso della sua storia il Teatro Cagnoni ha ospitato più di 400 rappresentazioni.
Antiche e moderne, di teatro classico, lirico e contemporaneo. Da qui sono passati alcuni dei nomi più noti della drammaturgia, del mio e del vostro tempo.
N: Oltre alla nostra Italia Giorgi, tra opera e prosa al Teatro Cagnoni sono passati molti volti dello spettacolo tra cui le soprano Renata Tebaldi e Margherita Carosio, le attrici Anna Proclemer, Emma ed Irma Grammatica e gli attori Renzo Ricci, Ugo Tognazzi e Walter Chiari.
I: A proposito di grandi nomi, vorrei citarne uno che, seppur non abbia mai calcato la scena del Cagnoni, è comunque legato a Vigevano e, perciò, mi piacerebbe ricordarlo.Sono certa che non abbia bisogno di presentazioni: Eleonora Giulia Amalia Duse, nota a tutti “semplicemente” come la Divina. Figlia di due attori, è stata una delle più importanti attrici di teatro della mia epoca, e so per certo che la sua fama sia ancora viva. Quello che forse non tutti sanno è che sia nata proprio qui, a Vigevano. Di lei si dirà: “la sua recitazione era ridotta alla più pura e limpida essenzialità, assolutamente scevra dei tanti barocchismi e capricci vocali cari alle attrici sue contemporanee.” Un’ispirazione per tutte noi.
Sono felice di essere stata in vostra compagnia, le sentite? Sono le note de La Habanera, la prima aria di Carmen, il mio personaggio! Mi attendono sul palco. Ma vi dico un’ultima cosa: questo brano in principio era un ballo di origine cubana. Con il suo ritmo coinvolgente e le atmosfere ammalianti, grazie all’estro geniale di Bizet è diventato una delle arie più famose di tutti i tempi. Violini, viole, violoncelli, contrabbassi e quelle irresistibili note che preparano l'entrata della voce con il celebre motivo "L'amour est un oiseau rebelle". Significa che l’amore sfugge a tutte le regole, come l’arte, anche quella del teatro dove tutto è possibile, basta solo crederci!
Fatemi gli auguri, vado…
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano. Questo podcast è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, grazie ai fondi messi a disposizione da Fondazione Cariplo. -
Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
Narratore: Vestitevi a festa, in questa puntata speciale siamo invitati a partecipare all’inaugurazione del Teatro Cagnoni di Vigevano! Pronti con le stole e i papillon?
Per l’occasione, per questa puntata lascio i miei panni di Narratore, per unirmi agli altri giornalisti invitati per il grande evento!
Giornalista 1: Eravamo tutti in fibrillazione. Eravamo i giornalisti scelti per raccontare cosa sarebbe accaduto a Vigevano il giorno dell’inaugurazione del Teatro Cagnoni, al tempo, Teatro Municipale. Alcuni di noi si trovavano in città già da un paio di giorni. Temevamo che non ci fosse posto sulle carrozze dei treni, e di fatti, fu istituito appositamente un treno notturno speciale che avrebbe portato le genti dentro e fuori Vigevano, fino alla mezzanotte e mezza del giorno del primo spettacolo. Nulla di tutto questo era mai accaduto, e mai più accadde, neppure per i giorni dell’annuale fiera di Vigevano che si tennero proprio all'indomani dell’inaugurazione del Cagnoni! In città non si parlava d’altro e quando finalmente arrivò il giorno, l’11 ottobre 1873, noi giornalisti fummo felici di esserci portati dietro fogli su fogli per scrivere ciò che accadde quella sera. L’apertura era prevista per le 20.00, ma la fila al botteghino era già cominciata un’ora prima. L'impazienza era tanta che per fare largo la gente fu costretta ad aspettare in piedi nelle piccole traverse adiacenti al Teatro, davanti al portone ancora chiuso, non c’era più neppure un gradino vuoto in cui sostare.
Brutto segno per la concorrenza… per l’altro teatro, dico, il Teatro Galimberti. Nonostante un evento di questa portata, ha voluto comunque tenere la sua rappresentazione quella medesima sera. E certi suoi fedelissimi palchettisti - che magari erano pure contrari all’apertura di un nuovo teatro a Vigevano - ci sono anche andati. Credo più per una questione di principio che altro… Contenti loro!
Giornalista 2: Io, invece, ero tra quelli sul treno delle 19 in partenza da Milano, avevamo solo un'ora per giungere a Vigevano in tempo, e ci riuscimmo. Sedevo insieme a ottime firme come Dobelli della Gazzetta, Sonzogno e Romussi del Secolo, e qualche cultore d’arte e notabile impresario teatrale di cui non ricordo il nome. Non eravamo i soli diretti all’inaugurazione. Da qualche parte, seppi più avanti, che sedevano in treno anche Giulio Bellinzaghi, sindaco di Milano, accompagnato dagli assessori Lubus e Finzi. C’erano anche quelli delle ferrovie, Ingegner… Ingegnere…
Ingegner Bontempelli. E ora che ci penso, c’era pure il Cavalier Lazzati, il presidente dell’amministrazione Ferroviaria. Chi avrebbe mai fatto arrivare il treno in ritardo con lui sopra?
G1: Nei pochi attimi di silenzio, si potevano scorgere in lontananza le note dell'orchestra che accordava gli strumenti. Un violino, un fagotto o una viola al ripasso sui passaggi più incerti dei brani del Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi. Dirigeva i musici il maestro Cagnoni, bisognava stare attenti però a non confondere i due fratelli: uno, Domenico, il direttore per questa serata, molto amato anche lui, a dire il vero, da orchestrali e cittadini; e l’altro, Antonio, anche lui musicista e compositore che appena un giorno dopo la sua morte nel 1896, diede il proprio nome al teatro. Fu una decisione del consiglio comunale, degli stessi, o forse solo alcuni, che poterono assistere all’inaugurazione.
G2: S’erano vestiti tutti a gran festa, sfoggiando lusso, ricchezza ed eleganza. In particolare la signora Costa, moglie del deputato, aveva fatto vestire a festa anche le due figlie che vestite di bianco sembravano due sposine. Era una poesia di veli, gemme, orli in organza, seta, faille e ricami. Erano presenti tutte le nobil donne delle città: la contessa dalla Croce, la signora Campari, Comelli, Silva, Vandone, Fusi, Gusberti, Rigoni e Zanetti…
G1: Che riempirono pian piano tutti i palchetti d’onore del Teatro. Le fecero accomodare, insieme ai di lor mariti, tra cui il sindaco Bretti e il Cav. Ing. Andrea Scala, ideatore del teatro. Come fosse una maschera e non il più specializzato dei progettisti di teatri, Scala fece a tutti, indistintamente dal rango, da guida per il teatro. E quando di colpo la sala si illuminò con le fiammelle a gas, Scala spiegò loro il prodigio di quella bellissima illuminazione interna.
Alcuni cronachisti dicono che presenti in sala v’erano pure l’architetto bolognese Gaetano Canedi, che aveva disegnato gli interni del teatro. Il teatro, decoratissimo, raccoglieva le opere di numerosissimi autori del tempo, comprese le pitture di un artista vigevanese, tale Schenone. Un gran medaglione al centro del velario rappresenta il Trionfo delle Muse, dipinto da uno dei mastri pittori più fidati di Scala, un tal Federico Andreotti, fatto venire apposta dalla Toscana, così come l'ornatore e lo stuccatore.
G2: La pittura del sipario e del comodino, invece, vennero affidate al Garberini, un artista vigevanese. Il sipario raffigura la cacciata degli Sforza da Vigevano, mentre il comodino un agape campestre sulle amene rive del nostro Ticino. Cos’è un comodino? No, non intendo il tavolino accanto al letto. Si tratta… di un velario in tela, posto all'interno del palcoscenico, un sipario dietro il sipario. Viene calato tra i vari atti dello spettacolo per nascondere al pubblico i lavori di preparazione della scena successiva… Come quando un mago mette il telo davanti al suo banco prima di svelare la sua magia dicendo…et voilà!
Ma torniamo a noi… le decorazioni insomma erano assai belle! Degne dello spettacolo che a momenti avrebbe preso inizio. Questo era stato commissionato dagli impresari Scalaris e Signoris, e sebbene non fosse certo una prima assoluta, fu scelto perché il risultato fosse degno di tale circostanza.
G1: Dopo le bellissime interpretazione di ottimi soprani e tenori, la serata si concluse con un terzetto danzante, ma non corriamo troppo. Torniamo un momento a quella sera, l’orchestra ha finito di accordare gli strumenti, sta per iniziare Un Ballo in Maschera, del maestro Giuseppe Verdi. Ecco che con le note di questa Ouverture si aprono insieme l’opera… e la storia del nostro amato teatro!
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano. Questo podcast è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, grazie ai fondi messi a disposizione da Fondazione Cariplo. -
Saknas det avsnitt?
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Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
In questa puntata non saremo in compagnia dei soliti notabili conti, industriali e cavalieri vigevanesi, ma incontreremo uno dei volti più noti della beneficenza di Vigevano e palchettista del Teatro Cagnoni... Adele Fleissner.
Adele Fleissner: Cosa credevano loro, nobili signori? Che una volta rimasta vedova avrei rinunciato per sempre al mio posto a teatro? Che senza un marito di fianco non sarei stata più capace di badare a me stessa? Mio padre, che fu un buon pittore - si chiamava Andrea Fleissner - ritrasse decine di uomini e donne della media e alta borghesia. Nei loro occhi, anche dipinti, potevi già leggere tutta la durezza delle regole del loro mondo. “Adele, orsù cara, stai a casa, non dire sciocchezze, le donne non votano, non viaggiano da sole, non dirigono le fabbriche. Non dirci ancora frottole…”Così. Noi donne tutto il giorno a sentir parlare in codesta maniera gli uomini di rango e anche le loro mogli… ma ci pensate?
Narratore: Adele Fleissner era la moglie di Vincenzo Rigone, un fabbricante di seta vigevanese scomparso prematuramente. Per lui, al tempo, vennero pronunciate parole care. Di lui fu detto che era stato un uomo buono, cortese con gli operai che lavoravano per lui. Tanto che le cronache dell’epoca dicevano della fabbrica che somigliava “all’interno di un’operosa famiglia". Aveva istituito per gli operai dell’opificio una cassa di mutuo soccorso, a cui in seguito contribuì anche Adele. In principio, era stato chiesto a ciascun lavoratore di cedere una piccola parte del proprio salario diurno, a beneficio di tutti, e la parte restante sarebbe stata versata dai proprietari della fabbrica. Ma l’idea non piacque, eppure al mutuo soccorso non si poteva rinunciare. Così, i coniugi si fecero interamente carico della spesa. La fabbrica ora era anche il luogo dove a ciascun dipendente era garantito aiuto in caso di malattia o di un cattivo incidente. Alla cassa di previdenza volle partecipare anche il signor Giovannella, socio di Vincenzo, e venne deciso di versare un centesimo al giorno per ciascun operaio.
A: Be’, in certe situazioni, io arrivai a stanziare anche 100 Lire, e non centesimi come quegli altri. Lo feci quando ce n'era di bisogno, ad esempio per gli operai del cotonificio Crespi colpito da un incendio nel 1881. La cifra più alta, insieme a quella di Crespi stesso. E non fu l’unica opera di bene: feci il mio dovere quando ci fu il terremoto a Casamicciola, e ogni volta che Vigevano ne ebbe di bisogno. Non vorrei farmene vanto, vi prego per questo di non travisare le mie parole, e - per carità - neppure le mie intenzioni. Vi dico quanto vi ho detto, solo perché vorrei tenervi al corrente che al tempo anche le donne erano ottime benefattrici. Ma quanti mezzi busti avete visto in giro per le vostre città mantenere viva la memoria di una donna? E i nomi delle scuole? A quante poetesse? La storia delle volte ha la memoria corta, e non si sa perché, i nomi coperti da strati di indifferenza e dimenticanza sono sempre i nostri. E a proposito di nomi. Ve ne dico uno: Emma Tettoni… Vi dice qualcosa?Niente? Non mi stupisce.
Il suo è proprio uno di quei nomi persi qui e lì nella storia. Era mia nipote, e fu allieva di Giosuè Carducci. Emma era più che una ragazza colta. Emma aveva idee, era una visionaria capace di vedere avanti più di cento anni di progresso, ed è per donne come lei che oggi molte delle cose date per scontate possono esserlo. Era una mente brillante, appassionata. Con la sua attività di conferenziera ha saputo scardinare le regole di un modello di donna insostenibile: ci volevano sempre taciturne, accomodanti, composte, amorevoli, premurose, e soprattutto, silenziose.Nel tempo che rimase con me a Vigevano, andavamo spesso al Teatro Cagnoni dove, dal mio palchetto, assistemmo alle più belle note e messe in scena di tutte le rappresentazioni del nostro tempo.
Sedavamo nel palco numero 7 di destra. Il palco era intestato a mio marito Vincenzo, e mio cognato Cesare, suo fratello. Ma sul finire del secolo me lo feci intestare, diventando una delle prime palchettiste donne del teatro. Un passaggio per eredità… in quegli anni era difficile per una donna acquistarne uno tutto per sé, e quindi era più facile vedere nomi di donna titolari di palchi solo per passaggio da padre in figlia o da marito a moglie. Alla mia epoca, tuttavia, il Cagnoni contò in tutto 16 donne titolari, su 68 palchi presenti. Poco sì, ma già molto per il tempo.
N: Assieme ad altri palchettisti, Adele Fleissner fu anche promotrice di spettacoli di beneficenza, alcuni dei quali furono organizzati con la conduzione del maestro Domenico Cagnoni, fratello di Antonio Cagnoni a cui verrà poi intitolato il teatro nel 1896. Al tempo le donne non avevano molte occasioni di ricoprire ruoli attivi nella società, ma potevano ottenere ruoli di rappresentanza legati al circuito della carità e delle opere di bene. La beneficenza quindi era per una donna anche un metodo per ottenere il dovuto prestigio nella società.
Di Adele si dice, ad esempio, che quando scoppiò l’incendio al cotonificio dei Crespi - ce lo ha appena ricordato -, versò alla cassa degli operai una cifra alta tanto quella di Crespi stesso, o ancora, che donò una cifra di 100 Lire al Comitato di Soccorso per i Danneggiati delle Inondazioni. Il comitato era stato fondato a seguito dell’inondazione delle province di Rovigo, Venezia e Verona, e Adele, nonostante la lontananza, fu colei che si adoperò con la cifra più alta… Non abbiamo certezze su questo fatto, ma forse in quest’ultimo caso la sua opera di beneficenza fu di tale entità perché all’epoca sua nipote Emma Tettoni si trovava già a Rovigo, dove era stata nominata insegnante di pedagogia e direttrice della scuola normale femminile . A: Partecipai anche al comitato di costruzione della Chiesa di San Francesco, oggi nell’omonima piazza di Vigevano. Ne avete già sentito parlare nell’episodio dedicato al caro Carlo Scotti, vi ricordate? Penso vi ci avesse condotto lui stesso in quell’occasione… be’, potreste farci ancora un salto nell’attesa che cominci il nuovo spettacolo al Teatro Cagnoni, sono pressappoco 200 metri a piedi, e sono sicura che sia ancora lì!
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano. Questo podcast è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, grazie ai fondi messi a disposizione da Fondazione Cariplo. -
Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
Narratore: In questo episodio incontreremo Cesare Bonacossa, commendatore e Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, nominato Conte da Sua Maestà il Re, e industriale di Vigevano.
Cesare Bonacossa: Chissà quante volte, passandovi uno scampolo di seta tra le mani, vi è capitato di pensare al tempo che c’è voluto per realizzarlo. Qualcuno tra di voi dirà 10 ore, 20, 50. Io vi dico, che per realizzare la seta migliore, ci vogliono anni. Forse centinaia. E non perché un baco impiega così a lungo per fare il proprio dovere, e la colpa non è neppure delle mie macchine da filanda… Per realizzare la seta migliore serve conoscenza, esperienza, e per quello ci vogliono anni. Perciò, ogni volta che vi passate un pezzo di seta liscia tra le mani, pensateci. Pensate alla sapienza tramandata della lavorazione della seta, e al viaggio lungo che ha compiuto, dall’Oriente fino a noi, per arrivare anche qui a Vigevano.
N: Quella della seta vigevanese è una storia antica, che si intreccia ai ricordi di un'epoca lontana fino al tempo di Ludovico Sforza, tra tutti forse il vigevanese più noto. Allora, quando le spedizioni tornavano cariche di novità e meraviglia, cominciò a fare la prima comparsa un tessuto di una consistenza fina e incantevole. Ludovico ne rimase così affascinato da ordinare che venissero piantati alberi di Gelso nelle sue terre, di cui i bachi da seta sono ghiotti. Il “murôn”, gelso in lombardo, divenne un tratto distintivo di Ludovico che tutti conosciamo come il Moro forse proprio per questo motivo.
C: In alcune delle nostre filande scorrevano fili di seta dei bachi cresciuti mangiando le foglie dei gelsi discendenti di quelli del Moro.
N: Il Duca inaugurò una tradizione che sarebbe durata secoli, e che, in un certo senso avrebbe fatto la fortuna della famiglia Bonacossa. Della filatura della seta loro ne fecero una vera industria, aprendo diverse filande da centinaia di lavoratori, di cui una a Vigevano. Della storia degli imprenditori vigevanesi, si possono vedere le tracce in un museo speciale, quello dell’imprenditoria, in cui potrete ammirare anche una bella pianta di quella che era la Cascami seta, una fabbrica fondata anch’essa da Cesare Bonacossa a Vigevano. Il museo è accolto all’interno dell’ex orfanotrofio Merula, nell’attuale via Merula al numero 40.
CB: Ma torniamo alla mia filanda. Tutto andò bene fino al 7 gennaio del 1877. Avevamo fatto costruire la fabbrica più grande di Vigevano, al cui interno correvano giorno e notte le avanguardistiche macchine a vapore da filatura. Non immaginavamo che sarebbero bastate tre ore per mandare in fumo l’attività di una vita per noi e per i nostri operai.
N: Fu un incendio come non se n’erano mai visti a Vigevano. Lo stabilimento sorgeva lungo via Rocca Vecchia, all’angolo con Corso Carlo Alberto, l’attuale via Buozzi. “Suonavano le due della notte passata e dal campanile della chiesa del Carmine gli allarmanti rintocchi che segnalavano il fuoco facevano trepidare tutti i vigevanesi non immersi in sonni profondi". La filanda sorgeva a 50 metri dal vescovado, “perfino monsignor Gaudenzi uscì con un domestico per osservare l'incendio". Tutti corsero in strada per vedere cosa fosse quella nube arancione che aveva illuminato la notte ovunque in città. Insieme ai pompieri arrivarono i soldati del presidio che si diedero subito da fare "troncando la comunicazione del gas e lasciando libero il vapore della motrice". L’incendio fu testimoniato da un quadro di Giovan Battista Garberini, pittore locale, anche autore dei velari del teatro Cagnoni.
CB: Accorremmo anche noi, fummo tra i primi ad arrivare. La fabbrica che io e mio fratello Giuseppe avevamo voluto per Vigevano era immersa tra fiamme e scintille che divoravano ogni cosa: le macchine da filanda, i decori della facciata... non risparmiarono nulla. Di un edificio di ben cinque piani in cotto - portabandiera della nostra industria manifatturiera - non era rimasto che uno scheletro di travi e pilastri. Ci vollero tre ore per domare le fiamme alte più di venti metri.
Al mattino, tra quel poco che fu risparmiato, con la gola secca per l’odore pungente, dovemmo ricostruire dalla cenere tutta la nostra fiducia nel futuro.
N: Qualcuno disse che fu colpa del gas, altri ancora della legna o delle candele lasciate accese. Cosa accadde con certezza i Bonacossa non lo seppero mai. Più sicuro, invece, fu il grave problema sociale che ne seguì.
CB: Come per noi, anche per i nostri lavoranti divampò l’incertezza. È vero che la mia famiglia poté contare su altri fondi: soldi, titoli azionari, proprietà e crediti che ci permisero di ricominciare. Ma le centinaia di famiglie di operai impiegati nella fabbrica avevano bisogno di qualcosa di più certo che promesse di occupazioni future. Già una settimana dopo il Ministero dell’Interno destinò 4000 mila lire per provvedere al loro sostegno. Cifra poi triplicata grazie alla generosità di altri notabili e benestanti di Vigevano. Un bagliore di speranza che riaccese la fiducia in città, e ci diede la giusta tregua per capire cosa fare.
N: La soluzione arrivò presto e aveva tutta la forma di una nuova filanda. A questa si aggiunse la fondazione della Cascami seta, di cui accennavamo prima, dedicata all’impiego dei residui derivati dalla lavorazione dei bozzoli dei bachi, chiamati appunto “cascami”. Il Conte Bonacossa fece costruire tutto intorno alla fabbrica un quartiere che fu servito da dormitori, asili, astanterie e tutto ciò di cui avevano bisogno gli operai che vi lavoravano e le loro famiglie. Ancora oggi è conosciuto come quartiere Cascame di Vigevano.
CB: Tornò il buonumore, e potei dedicarmi alle altre attività come le opere di bene per Vigevano, prima tra tutte, un nuovo ospedale: l’Ospedale Civile di Vigevano. Poi, mi dedicai al mecenatismo d’arte, e alla mia grande passione, il teatro. In famiglia possedevamo un palco alla Scala di Milano e uno al teatro Galimberti. Quando seppi del Teatro Cagnoni, decisi di acquistare lì un palco uno tutto mio. Un teatro bellissimo che, per certe occasioni speciali volli illuminare con l’elettricità. Una di queste me la ricordo bene: fu una grande festa da ballo nel Cagnoni, tutto ornato di fiori provenienti dalle ricche serre del marchese Saporiti, era il 1898. Dell’illuminazione me ne interessai personalmente, feci portare la corrente elettrica fin lì e in un istante ogni cosa fu illuminata di nuova bellezza. Come si dice in questi casi: fiat lux!
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
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Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
In questo episodio incontreremo il Cavalier Giuseppe Crespi, palchettista del Teatro Cagnoni e spettatore di uno dei passaggi più significativi della storia dei diritti dei lavoratori…
Narratore: Con contratti stipulati in Torino il 12 settembre venne accordata alla Ditta Crespi la facoltà di poter impiantare numero 2 linee telefoniche a uso privato, di cui una dalla propria Abitazione in Vigevano fino alla filatura di Cotone della Sezione di Predolato e l’altra dalla suddetta abitazione alla fabbrica di Cassolnuovo.
Giuseppe Crespi: Sono le parole deI Bullettino Telegrafico del Regno d’Italia, era il 1883, lo ricordo bene. Fu l’anno in cui persi mio padre ma ereditai le sue fabbriche nelle quali, appunto, installai una linea telefonica collegata direttamente con casa mia. Producevamo ottimi filati di cotone. Se non erro, dovreste aver sentito già qualche voce sul cotonificio Crespi, appartenuto prima ai Corsiglia, una nipote dei quali sposò Giovanni Battista Mollo, di cui so che avete fatto la conoscenza. È possibile che abbiate sentito circolare però anche altre voci su di me e sulle mie fabbriche, che magari possono sembrare poco edificanti, a proposito di una certa pratica… lavorativa.
Vedete, ai miei tempi accadevano delle cose, come dire, spiacevoli senz’altro, che però in quel periodo apparivano più che normali.
N: La rivoluzione industriale portò in Europa innovazione e cambiamenti. Come ricchezza e riorganizzazione degli agglomerati urbani. Molti di quelli che avevano abitato a lungo nei luoghi di campagna preferirono trasferirsi nelle città per cogliere l’occasione di cambiare vita, abbandonare il duro lavoro nei campi e assicurarsi un posto tra gli ingranaggi delle fabbriche.
Un momento di crescita economica e sociale non privo certo di lati foschi.
C: Nell’Impero Britannico di sua Maestà la Regina Vittoria, battezzarono queste città con il nome bizzarro di Mushrooms Town, nient'altro che città-fungo tradotto nella nostra lingua. Città e villaggi che spuntavano in fretta, come funghi, costruiti tutt’intorno a un centro d’interesse non più sociale come una piazza o una chiesa, ma economico, come una fabbrica.
Ora, non è che Vigevano fosse proprio spuntata dal nulla come un fungo, ma di sicuro crebbe parecchio con l’industrializzazione. Se ai tempi di Napoleone eravamo appena 12.000 abitanti, quando ereditai il cotonificio eravamo praticamente raddoppiati e nei primi del Novecento diventammo quasi il triplo. Un aumento di 20.000 abitanti in appena un secolo!
Erano appunto i contadini che raggiungevano le fabbriche della città, come i miei cotonifici. Perché ne avevo più d’uno.
N: L’industria, in particolare quella dei cotonifici, era una vocazione di famiglia per i Crespi. Oltre al padre, anche il fratello di Giuseppe, Cristoforo Benigno Crespi, fondò nel 1878 lo stabilimento di Crespi d'Adda, famoso ancora oggi per il villaggio operaio costruito intorno ad esso, divenuto patrimonio dell’UNESCO.
Giuseppe Crespi partecipò alla fondazione di diversi stabilimenti, sempre adibiti a cotonificio, nel circondario di Vigevano. Tra questi uno a Cassolnovo, già citato nel Bullettino, ed uno in zona Mora Bassa.
C: In quest’ultimo pensai anche alla costruzione delle case per le famiglie degli operai. Infatti al lavoro in fabbrica partecipavano spesso tutti i membri della famiglia. E con tutti, be’, intendo proprio tutti. Ed ecco le dolenti note cui accennavo all’inizio. Al tempo, come vi dicevo, non era disdicevole che i fanciulli indossassero tute da operai e lavorassero alla catena di produzione. Non fui certo l’unico, né il primo, ma sicuramente, uno degli ultimi a permettere tale consuetudine. Il nuovo Regno d’Italia stava prendendo provvedimenti…
N: Quando il Cavalier Crespi parla di "fanciulli" ahimé, miei cari ascoltatori, fa proprio riferimento a dei bambini. L’abolizione del lavoro minorile non fu repentina. Gli industriali temevano di rallentare la produzione, ma anche, come Crespi, che il licenziamento dei piccoli operai causasse improvvisi malumori gettando intere famiglie vigevanesi in stato di indigenza economica.
C: Dapprima limitammo il più possibile le ore di lavoro notturno dei fanciulli, e successivamente istituimmo l’ora di riposo per il turno di notte. L’abbandono del lavoro minorile fu un passo avanti, ma se fosse stato troppo repentino avrebbe causato diversi problemi: vedete, non erano poche le famiglie che potevano mantenersi anche grazie all’assegno portato a casa da questi ragazzini. Siete fortunati adesso a vivere in un’epoca in cui problemi come questi sono superati… almeno in Italia.Poi, nel 1894, grazie anche all’interessamento di mia moglie Virginia, arrivammo persino ad aprire un asilo infantile per lo stabilimento di Cassolnovo, proprio di fianco alla fabbrica.
N: All’interno degli stridori dello sviluppo industriale, la famiglia Crespi si impegnò in diversi gesti di benevolenza per gli abitanti di Vigevano. Solo un anno prima, nel 1893, Virginia Longhi vestì “a nuovo” ottanta tra fanciulli e fanciulle, figli degli operai del cotonificio di Cassolnovo, in occasione della Cresima. I coniugi Crespi furono poi tra i più importanti benefattori dell’opera caritatevole per il nuovo ospedale. A testimonianza di ciò, si trova ancora oggi un busto di Giuseppe Crespi nell’atrio dell’Ospedale di Vigevano.
C: Non lo feci per quello, ma per amore della mia città e dei suoi abitanti. Mi presi cura anche della passione che tiene in vita l’uomo come una medicina, l’arte. Mi appassionai, e collezionai opere pittoriche e scultoree che successivamente entrarono a far parte della pinacoteca. Volli sprovincializzare le opere d’arte figurativa che riempivano le collezioni dei vigevanesi, e acquistai opere di importanti artisti, come Pompeo Mariani, con cui arredai casa mia in via Cesarea. A proposito, oggi la strada si chiama via Cavour e quello che un tempo era il mio palazzo, adesso lo conoscete come la biblioteca comunale… ma un tempo quelle erano le stanze private della mia dimora. Quindi, se vi capita, passate dalla biblioteca di Vigevano… Fate come se foste a casa mia! Ah-ah…!
N: Come tutti i personaggi del nostro podcast, anche Giuseppe Crespi fu palchettista al Teatro Cagnoni, ma anche al Teatro Alla Scala di Milano. Tuttavia, tra lui e i palchettisti del Cagnoni doveva essersi instaurato un legame particolare… Lo si vide ad esempio in occasione di un incendio che colpì uno dei suoi cotonifici.
C: Fui davvero grato ai palchettisti di Vigevano. In quel frangente, con premura, raccolsero per me i fondi per una donazione agli operai dello stabilimento, per aiutarli in questa tragedia. Così, quando mi capita di andare a teatro, non applaudo soltanto agli artisti, ma anche un po’ a loro, ai miei compagni di palco al Cagnoni!
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano. Questo podcast è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, grazie ai fondi messi a disposizione da Fondazione Cariplo. -
Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
In questo episodio incontreremo il Cavaliere Nobile Carlo Scotti che, oltre ad essere uno dei nostri palchettisti, ha lasciato la sua traccia in molti luoghi qui a Vigevano. Eccolo, sta uscendo di casa… Magari, saprà indicarceli direttamente lui.
Carlo Scotti: Sono qui, sono qui! Ben arrivati! Che dite? Ci facciamo due passi fino al Teatro Cagnoni? Stasera niente spettacoli per me: a casa mia si terrà una festa - come da consuetudine - ma fatemi prendere qualche minuto d’aria prima di cominciare… mi accompagnate?
Vorrei portarvi a vedere un posto qui vicino, in Piazza San Francesco. Perdonatemi la fretta, non abbiamo molto tempo prima della festa e non posso certo mancare.
N: Quelle di casa Scotti sono state feste sontuose, degne del migliore racconto della belle epoque, in cui i vigevanesi più…
C: Ehm ehm, dicevamo, alle feste torneremo dopo… ma intanto, sapete cos’è questa? Be’, certo, è una chiesa, ma sapreste dirmi qualcosa di più, diciamo, interessante? Oh, va bene, allora comincio io! È la chiesa intitolata al santo dei poverelli e dei miracoli: Francesco d’Assisi. A dire il vero questa magnifica chiesa ha richiesto più di qualche semplice sforzo, e se non fosse che non aver timore di Dio sia un grave peccato, vi direi che il miracolo l’abbiamo fatto anche noi. Noi chi? Quelli del “Comitato per la chiesa di S. Francesco”. È un edificio, pensate, risalente alla fine del 1300 e restaurato, da noi, nel 1903, per mano dell’Architetto Gaetano Moretti. Fu sua l’idea di ripristinare l’antico aspetto della facciata in stile gotico-lombardo. Feci appena in tempo a vederla finita che me ne andai da questo mondo a distanza di pochi mesi, ma sazio del nostro buon lavoro.
N: La chiesa di S. Francesco, costruita in principio come cappella del convento dei Frati Minori di Vigevano, subì profonde trasformazioni lunghe sei secoli, che la portarono al suo aspetto attuale a seguito del restauro della facciata citato da Carlo Scotti.
S: E non fu l’unica opera finanziata coi fondi della mia famiglia… ma andiamo avanti.Noi Scotti, fummo imparentati con le più importanti famiglie di Vigevano, come i Morselli e i Merula. Proseguiamo di qui, proprio per via del Teatro, oggi, appunto, via Merula: c’è una cosa al numero 40 che vorrei farvi vedere…
Voi oggi lo conoscete come l’archivio storico, ma sapevate che al mio tempo era l’orfanotrofio? Una volta non era così raro che anche dei bimbi un po’ cresciutelli fossero affidati a questi istituti. Ogni città ne aveva uno, e quello di Vigevano, del quale noi Scotti fummo i patroni, ebbe qui sede fino al secondo dopoguerra.
N: Non è difficile immaginare ancora oggi i piccoli correre avanti e indietro sotto al portico quadrangolare del chiostro. Faceva parte di un complesso più grande: il Monastero seicentesco di Santa Maria Assunta, soppresso poi nel 1805 e venduto, chiesa compresa, per undicimila lire. Buona parte degli edifici vennero distrutti, ma nell'ex chiesa, nel 1810, sorse il teatro Galimberti - vi ricordate? È quel teatro che fece concorrenza al nostro teatro Cagnoni fin dal giorno dell’inaugurazione di quest’ultimo! Ai locali del chiostro, invece, toccò ospitare prima l’orfanotrofio, poi l’attuale sede dell'archivio storico vigevanese.
S: Il chiostro è davvero un luogo di pace e contemplazione. Come del resto, potrebbe esserlo la sala di una pinacoteca. Vi ho mai detto che qui a Vigevano ve n’è una? È cominciato tutto così: “Museo delle Antichità vigevanesi, massime di bellissimi affreschi qua e la’ sparsi”.
N: Sono le parole di Stefano Boldrini, notaio vigevanese e grande appassionato di storia che tentò con queste parole di convincere la città ad istituire il primo Museo Pubblico di Vigevano. Sono gli anni dello sviluppo economico dell’Europa, dell’amore per le antichità e dell’apertura dei grandi musei, dove quasi in tutte le grandi città del vecchio continente aprono sale da mostra e luoghi d’esposizione…
S: Se è vero che Boldrini fu il primo a Vigevano a redigere l’Inventario dei Monumenti e degli Oggetti di Antichità e Belle Arti Vigevanesi, fu per intervento di mio figlio Geppe che l’attuale Pinacoteca si arricchì della prima vera raccolta d’arte: fu lui a fare da intermediario per l’acquisizione del primo nucleo di dipinti, tra cui quelli dell’artista vigevanese Ambrogio Raffele.
N: A Giuseppe, o “Geppe”, Scotti - il figlio di Carlo - si devono anche altre opere pubbliche realizzate tra gli anni ’20 e ‘30 del secolo scorso; come le attuali scuole Vidari, il lavatoio pubblico, le vie in porfido al centro, il monumento ai caduti, il nuovo stadio… ma di questo, magari, ne parleremo un’altra volta.
S: E dall’archivio storico arriviamo al Cagnoni, sono proprio pochi metri. Ma, come vi anticipavo, stasera il mio palco resterà vuoto. Anzi, torniamo a casa, prima che si noti la mia assenza!
Ah, eccoci arrivati alla mia dimora, in quella che oggi chiamate via Caduti per la Liberazione. Appena in tempo per parlarvi di Donna Luisa Gautieri, mia moglie. È lei la fautrice di queste feste sfarzose, note in tutta Vigevano, donna di grande inventiva. In occasione del Giovedì Grasso, in queste splendide sale, danzavano centinaia di invitati con signore e signorine eleganti e graziose, accompagnate da brillanti ufficiali in marsina. Il fiore della società. Sulle note armoniose dei valzer, le danze si protraevano animate sino alle prime ore del mattino.
N: Dalle fonti, non ci è dato sapere se Scotti amasse trascorrere i suoi momenti in compagnia di amici danzanti, o se, alle ore piccole, preferisse quelle trascorse a sedere sulle poltrone del Teatro Cagnoni.
S: Be’, di sicuro a quel palco ci tenevo, a differenza di mio padre Pio che all’epoca si era opposto alla decisione del Comune di aumentare le spese per finire la costruzione del Cagnoni… Chissà, forse perché aveva già pagato un palco all’altro teatro, il Galimberti… Io, invece, il mio posto me lo ero accaparrato: il palco numero 9 del secondo ordine per la precisione… così, se mi cercate, sapete dove trovarmi. Adesso vado, vogliate scusarmi, mi attendono alla festa…
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano. Questo podcast è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, grazie ai fondi messi a disposizione da Fondazione Cariplo. -
Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
Narratore: In questo episodio incontreremo Giovanni Battista Mollo, testimone della trasformazione di Vigevano di fine ‘800…
Giovanni Battista Mollo: Ho vissuto in un tempo strano, sono cresciuto in un mondo antico e l’ho lasciato già moderno. No, la mia vita non è durata 5 secoli, se è ciò che vi state domandando, ma solo 70 anni. A cavallo però di un tempo straordinario, ricco di innovazioni. Sono nato a Vigevano naturalmente, nel 1824. In pochi anni ho visto l'Italia cambiare sotto il dominio austriaco e poi unificarsi nel 1861. Ma la vera rivoluzione, per me, era a casa: mio padre mi avviò al mestiere di chincagliere, e con impegno e dedizione, ho costruito la mia fortuna. Da umile venditore di ninnoli e cianfrusaglie, conquistai a poco a poco una certa posizione - se capite cosa intendo - e feci parte di quella nuova borghesia tanto in vista nella città. Non nobile di nascita quindi, ma con il lavoro duro e qualche buon affare ho conquistato il mio posto di rilievo qui a Vigevano. La borghesia stava emergendo, e io facevo parte di quel cambiamento.
N: E non è l’unico cambiamento in atto. Anche il tessuto urbano di Vigevano cambia. In città arrivano grandi innovazioni, tra cui, la ferrovia…
G: Fui tra i primi a credere che la locomotiva a vapore potesse portare a Vigevano il lustro e gli affari che, infatti, poi portò. A proposito di ferrovie c’è una cosa che vorrei dire di me, vi prego di non prenderlo come un vanto. Infatti, fui tra i membri del Consiglio di Direzione dell’Assemblea Azionisti per la Strada Ferrata, vale a dire la ferrovia, che avrebbe collegato Vigevano alla vicina Mortara. Bei tempi, belli davvero. Chi l’avrebbe mai detto che Giovanni Mollo, mastro chincagliere, un giorno avrebbe inaugurato una ferrovia era il 1854. Come un treno che corre veloce alla stazione, la mia ambizione mi portò dritto fin dove desideravo andare, finanche su un ponte! Il Ponte sul Ticino, che abbiamo realizzato per poter ampliare la tratta ferroviaria e che ci permise di collegare finalmente Vigevano a Milano!
Su uno di questi treni… vediamo se ricordo bene…mi pare fosse ottobre 1858… viaggiarono il signor e la signora Duse, ignari che la loro bimba sarebbe venuta alla luce poche ore dopo proprio a Vigevano. Erano i genitori di una diva nota, ne sono certo, anche ai tempi vostri, la Divina, Eleonora Giulia Amalia Duse! La più grande attrice di teatro di tutti i tempi…
N: Della tratta ferroviaria Vigevano-Milano, ne troviamo oggi una testimonianza anche al teatro Cagnoni. Potremmo invitarvi a una caccia al tesoro, e lasciare a voi il compito di scovarne la raffigurazione. Vi diamo solo un indizio…non cercate un affresco. Date piuttosto un’occhiata ai sipari…
G: Ai miei tempi li avremmo chiamati velari.
N: A voler essere proprio precisi, velari è una parola ancora più antica, arriva addirittura dall’impero romano. In antichità indicava il tendaggio che veniva steso sui teatri e gli anfiteatri per riparare dal sole gli spettatori. Ma basta così, non una parola di più, altrimenti rischiamo di spifferare un altro indizio.
G: Dove eravamo rimasti? Ah già, alla ferrovia. La crescita industriale di Vigevano andava ben oltre. Cominciarono a sorgere i primi grandi calzaturifici, industrie manifatturiere d’eccellenza che resero Vigevano famosa in tutto il mondo. Non chiedetemi come ho fatto, ma sono riuscito a sapere che oggi dentro al Castello Sforzesco in piazza Ducale è sorta una di quelle sale da mostra…un museo, dove le scarpe vigevanesi sono esposte come vere opere d’arte. Dicono che lì si aggiri la voce di Beatrice D’Este pronta a guidarvi tra le teche del castello e scarpe che ai miei tempi non avremmo mai neppure potuto immaginare. Pare che oggi voi la chiamate… audio-guida?!
N: Si riferisce al Museo Internazionale della Calzatura Pietro Bertolini. Oltre ai calzaturifici, Vigevano era dotata di molte botteghe, e anche di un grande cotonificio. Apparteneva a Benedetto Corsiglia - nonno della moglie di Mollo, Angiola - che un giorno lo vendette a una certa famiglia Crespi…ma di questo parleremo più avanti, in un altro episodio…
G: La mia povera Angiola… mi chiede di rimembrare una storia molto triste per me… Scomparsa in età assai giovane, non facemmo neppure in tempo a sedere insieme nel palchetto del Teatro Cagnoni, perché morì appena un anno prima dell'inaugurazione. Ma finché Angiola fu in vita mi diede il dono più grande che potesse farmi: tre adorabili fanciulle, Armide, Palmira ed Eugenia. Mia figlia Armide, a cui certamente devo aver trasmesso tutta la mia ambizione, è stata capace di ottenere persino un titolo nobiliare: la Contessa Rangone Terzi di Reggio Emilia.
N: Il vantaggio economico portato dalle industrie accrebbe anche la vita culturale di Vigevano. Il teatro Cagnoni era pronto per essere inaugurato, e successivamente la piazza e le strade si vestirono di nuovo splendore. Nei primi anni del ‘900 quella che allora aveva il nome di Piazza del Duomo, oggi conosciuta con il nome di Piazza Ducale, fu interamente dipinta da capo a piede, a basamento. Non fu eseguito un restauro completamente fedele: gli artisti seguirono il gusto dell’epoca, ispirato al Rinascimento, prendendo però spunto da ciò che ancora restava degli affreschi originali di fine ‘400, quando la piazza venne realizzata per ordine di Ludovico il Moro.
La piazza del mercato diventò un caratteristico crocevia, bello tanto da finire nelle tele dei pittori più abili della zona.
G: Sì, è vero, è vero, e vi dirò di più. Uno dei maggiori fautori di questa operazione, tramite il suo lascito testamentario, fu Giorgio Silva, mio vicino di casa. Vivevamo entrambi sull'allora piazza del Duomo. Dalla piazza al Teatro Cagnoni erano davvero poche centinaia di metri a piedi. Negli anni in cui la attraversavo era ancora un luogo di mercato, animato dalle bancarelle di fruttivendoli, polentai, salumieri… e sotto le logge c’erano le botteghe - quelle ci sono ancora -. Come ogni buon uomo del mio tempo, desideravo ardentemente sedere anche io in uno di quegli splendidi palchetti del nuovo teatro. Arrivai a possederne 4! Per me, i miei ospiti, qualche buon amico d’affari, e chiaramente la mia famiglia. La mia vita è stata intrecciata con il tessuto della storia di Vigevano. Il duro lavoro mi ha portato in alto e la ferrovia mi ha aperto nuovi orizzonti, ma è col teatro che ho goduto delle più belle opere di cui è capace l’uomo. E questa è tutta la mia storia, un capitolo di un'epoca di cambiamenti e aspirazioni.
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano. Questo podcast è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, grazie ai fondi messi a disposizione da Fondazione Cariplo. -
Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.
Narratore: In questo episodio incontreremo Luigi Costa, uno degli uomini più noti della Vigevano di fine ‘800. Benefattore, politico e mecenate, si accorse un giorno che alla sua città mancava qualcosa…
Luigi Costa: Accadde una delle molte volte in cui facevo ritorno da Roma, dove spesso mi recavo come deputato dopo che l’Italia si riunì sotto un unico regno. La carrozza andava piano e vidi, come se fosse già lì, la bellissima facciata di un teatro, nascosta tra le luci della sera. Ma prima di dirvi oltre, lasciate che mi presenti. Mi chiamo Luigi Costa. Sono nato a Vigevano una mattina di novembre del 1826, e qui ho trascorso tutti e 48 gli anni della mia vita… Forse vi sembreranno pochi e vi starete già rammaricando per la mia prematura dipartita, ma sappiate una cosa: il tempo che mi è stato concesso su questo mondo è stato sufficiente per dare vita a un sogno, il mio. Si tratta di una scuola di musica e di un teatro! E non uno angusto e lurido, come quello che sorgeva in città prima che mi occupassi io della faccenda, ma uno splendido e regale, degno del prestigio di Vigevano.
N: Siamo negli anni successivi alle guerre d’indipendenza italiane, in pieno Risorgimento, e Vigevano entra a far parte del nascente Regno D’Italia.
L: Agli inizi della nuova Italia unita, anni prima che l’idea del teatro mi balzasse in testa, fui tra i primi deputati di questo nuovo Regno, e venni eletto dal collegio della mia città. Fui fatto deputato per ben tre legislature di fila, dal 1865 fino al 1874 anno della mia dipartita.
Nell’ultima elezione, in particolare, la Gazzetta del Popolo D’Italia fece il tifo per me, perché ero finito al ballottaggio contro un certo Carlo Negroni…avvocato molto vicino al partito clericale! Quando vinsi, lui - forse per la sconfitta, o per affar suo - preferì subito trasferirsi a Novara e lì, almeno, divenne sindaco.
N: Per l’esattezza, ecco cosa riportò il giornale dopo l’esito del voto: Facciamo plauso agli elettori di [...] Vigevano! il cav. Luigi Costa è conosciuto per persona proba di carattere indipendente e di principii liberali: e non dovendo per sua favorevole posizione sociale occuparsi del proprio benessere, avrà maggior tempo e volontà di prendersi a cuore il bene altrui.
L: E così, fu. Riguardo, poi, alla mia favorevole posizione sappiate che di denari non ne avevo sempre avuti così tanti. Ereditai tutte le fortune di mio padre, il Costa Giuseppe, da Andrea Costa mio zio, e perfino da un prozio, Camillo, che siano in gloria a Dio. Mi lasciarono un intero patrimonio e un titolo nobiliare, e… anche due righe di referenze.
N: Due righe di referenze che suonano più o meno così: Signore dell’intero patrimonio di 1.000.000 nel pieno della gioventù in cui tutto è lecito, di bell’aspetto e sano, sicuro di sé può rendere felice una donzella gentile.
L: Divenni perciò di colpo ricco e cavaliere. Ma cosa farne dei miei denari? Mi misi perciò a pensare, finché, come vi dissi già, non mi venne l’idea della Scuola d’Istrumenti d’Arco… e del nostro teatro. Lo immaginate un conte cavaliere a dirigere i lavori? Eppure, permettetemi di dirvi una cosa: non c’è mai stato teatro più bello a Vigevano. Diventai capo della commissione che studiò la creazione di un nuovo progetto di Teatro Comunale. Ebbi un ruolo fondamentale, anzi, più di uno. Lasciate che ve ne dica un paio: cassiere della commissione esecutiva che approvò il progetto; capo dell’incarico per la nomina dell'architetto; decisore dell’acquisto del terreno, e per finire, membro della commissione che studiò il regolamento dell'attività del Teatro. Ah, quasi me ne dimenticavo: naturalmente, fui anche membro della società dei palchettisti.
N: Non è più così comune sentire al giorno d’oggi il termine palchettista, che al tempo di Costa andava, invece, molto in voga. Il termine descrive tutte quelle persone che frequentano abitualmente i palchi a teatro, scegliendo una piccola loggia tutta per sé da dove assistere agli spettacoli.
L: Grande musica, ma anche operette, recital e teatro di figura. Al mio tempo avreste potuto prendere un palco in affitto, o comprarlo a 3.600 lire e assicurarlo per sempre al vostro nome con la cifra annuale di 20 Lire: immaginatelo come un balconcino che si affaccia sul panorama artistico più brillante del momento, un salottino simile a una scatola di velluto, arredato con mobilio e stoffe preziose. Un posto tranquillo dove fare conversazione prima dello spettacolo, ideale per riunioni di circostanza o per incontrare affaristi dell’ultima ora. Facemmo costruire le migliori file al secondo ordine, dove, modestamente, ero proprietario di due palchi: il 9, e il 10. Qualcuno di voi potrebbe dubitare della bontà delle mie intenzioni, ma dovete sapere che avevo davvero a cuore il teatro della mia città e la sua futura orchestra.
Il nostro teatro comunale sorse a due passi da quel laid… volevo dire, dal Galimberti, l’altro teatro che encomiavo all’inizio, che si mise a fare concorrenza persino la sera della nostra inaugurazione. Ah, che faccenda tremenda.
N: I giornali del tempo diffusero la notizia della rivalità tra i due teatri. Raccontarono dell’antipatia di alcuni cittadini per il nuovo teatro comunale, definito una pazza e vana costruzione. In realtà, la maggior parte degli abitanti della città vide di buon occhio la costruzione del nuovo teatro, tanto che - così è riportato - bastarono solo due ore per raccogliere tutte le firme per procedere alla costruzione.
L: Ci impiegammo due anni prima che il teatro aprisse i battenti: l’ottobre del 1873 era già pronto per accogliere i passi delle ballerine, e quelli delle dame di città che prendevano posto tra le file. Fatto il teatro non restava che aggiustare la faccenda della scuola di musica: un vivaio di talenti per nutrire le fila della nostra splendida orchestra. Si decise che il Teatro Comunale avrebbe ospitato la Scuola d’Istrumenti d’Arco, ma sin da subito i problemi di denari convinsero il direttore, il maestro Gaetano Pasculli, ad andare via. La scuola rischiava di chiudere… Intanto, la mia malattia giunse veloce, e con lei la decisione di impugnare il mio testamento. Lasciai parte del mio patrimonio alla scuola, denari a sufficienza che permisero la costituzione di una sede degna delle arti e dello studio della musica. Mi spensi così, in pace, nel 1874, quattro anni prima che la scuola di archi, oggi Istituto Luigi Costa, regalasse al mondo i suoi primi custodi del segreto di Euterpe, la musa del bel canto e della musica.
N: In ogni tempo del mondo, donne e uomini sono stati capaci di distinguersi per audacia e lungimiranza. Qualcuno di loro, come il nostro cavalier Luigi Costa, si distinse creando una casa per le arti che ancora oggi ci aiuta ad allenare la fantasia… e a metterla in scena!
“Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano” è un podcast realizzato dall’Associazione Amici del Teatro Cagnoni di Vigevano. Curatela scientifica dei contenuti di Valeria Silvia Francese.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio e postproduzione a cura di eArs.
Si ringrazia il personale dell’Archivio Storico del Comune di Vigevano per il prezioso supporto nella ricerca dei contenuti.Il brano Ouverture dell’opera Il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi riprodotto nell’episodio è stato eseguito dall’ Orchestra Città di Vigevano.
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