Era il 1971, una data ben lontana dai miei anni ’80, eppure il fascino dello sceneggiato “Il Segno del Comando” ha saputo bucare i lustri arrivando a me con lo stesso misterioso potere che lo ha caratterizzato fin dai primi fotogrammi impressi su pellicola.Erano altri tempi quelli, quando la RAI si preoccupava di intrattenere e basta mettendoci però il cuore. Non come oggi dove la maggior parte delle storie che vanno in onda sono costrette a snaturarsi facendo “marchette” sociali o piegandosi all’assurdo “politicamente corretto”. Quelli erano gli anni in cui la RAI non aveva paura di portare nelle case degli italiani delle storie complesse, originali e ben lontane dalla quotidianità paesana.Con la sua messa in onda “Il segno del comando” avrebbe poi aperto la strada ad altri sceneggiati coraggiosi come il “Ritratto di donna velata” di Bollini o il fantascientifico “Gamma” scritto dal compianto professor Trecca. Ma, in quel 1971, niente di simile era ancora stato prodotto il Italia.Lo scrittore bolognese Giuseppe D’Agata, ancora fresco dall’aver scritto l’immortale “Il medico della Mutua” da cui fu poi tratto il memorabile film con Alberto Sordi, venne contattato dalla Rai la quale era intenzionata a concepire uno sceneggiato a puntante, che altro non è che il bisnonno colto delle nostre insulse serie tv dozzinali. Bene, D’Agata si mise a scrivere e, probabilmente senza neppure rendersene conto da subito, riuscì a creare una storia così magnetica da incastonarsi autonomamente nel firmamento del piccolo schermo Italiano.Il romanzo, del quale offro la lettura, Giuseppe D’Agata la scrisse anni dopo, riadattando la sceneggiatura originale ma, malgrado lo si possa definire un’opera derivata, sono certo che tra le sue pagine sia facile ritrovare l’aura di mistero che ha reso immortale l’immagine di Ugo Pagliai in giro per Roma, con un candelabro in mano, alla ricerca della sua Lucia.Mi piacerebbe portarvi tra quelle pagine, vi andrebbe di venire? Se sì, candelabri alla mano e pronti al brivido. Buon ascolto!