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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8098
RINUNCE QUARESIMALI, ECCO VENTICINQUE ESEMPI di Redazione del Timone
La Quaresima è iniziata e va colta come fosse la prima della nostra vita. Nuova, ogni anno. Allora vi lasciamo di seguito 25 cose di cui possiamo fare a meno - o consigli - per cominciare questo tempo con consapevolezza e crescere in intimità con Dio. Esistono infatti ambiti specifici in cui le tentazioni del Divisore sono più sottili e ci è richiesta qualche accortezza per stare all'erta.
1. DOLCI
Magari si trattasse di frequenza settimanale. Accompagnano oramai quasi quotidianamente le nostre tavole e spesso ne siamo dipendenti senza esserne consapevoli.
2. RIORDINA IL TUO GUARDAROBA
La Quaresima è senz'altro una buona occasione per selezionare il nostro armadio - di sicuro traboccante di capi superflui -, così da poter regalare qualcosa. Purché ben conservato. In fondo il decluttering va tanto di moda, diamogli un tocco che sia anche spirituale.
3. RINUNCIA ALLA CARNE
Osiamo, invece di rinunciare alla carne solo il venerdì proviamo a farne a meno per tutti i 40 giorni del tempo quaresimale.
4. LAMENTARSI
Potrebbe non sembrare così, ma questa è tra le più toste. Cibiamo la nostra anima - e il nostro cervello - di mormorazioni quotidiane. Per i più coraggiosi: mettete un euro in un salvadanaio ogni volta che vi lamentate e date la somma in beneficienza alla fine della Quaresima.
5. I RIFIUTI
Cibo, spazzatura, luci perennemente accese... tutti tendiamo a sprecare le risorse. Concentriamoci sul consumo di ciò che ci è davvero necessario. Proviamo anche a spostarci, quando possibile, in bicicletta o a piedi. Farà anche bene alla nostra salute.
6. MUSICA
Ovunque veniamo bombardati di canzoni alienanti e che ci allontanano dalla fede. Cerchiamo di ascoltare consapevolmente brani che ci aiutino a concentrarci su Gesù Cristo e diano armonia ai nostri pensieri.
7. TROPPO SONNO
Cercate di alzarvi ogni giorno alla stessa ora durante questo periodo.
8. SPESE INUTILI
Evitate gli acquisti compulsivi e riflettere sul reale bisogno di quel determinato oggetto.
9. PARLARE TROPPO
Cercate di non parlare troppo. Brevità e concisione. In questo modo daremo all'altra persona la possibilità di spiegare i propri pensieri e le proprie posizioni. Invece di intervenire sempre e dare la nostra opinione, ascoltiamo.
10. TROPPE COMODITÀ
Facciamo attenzione a quando desideriamo di ottenere qualcosa in più, anche cose semplici come un secondo caffè pomeridiano o una pausa sul divano di cui non abbiamo realmente bisogno.
11. NEGATIVITÀ
Spesso abbiamo l'abitudine di vedere tutto in modo negativo, senza neanche accorgercene più. Proviamo piuttosto ad allenare la gratitudine.
12. GUARDARSI MENO ALLO SPECCHIO
Questo ci aiuterà a pensare meno al nostro aspetto esteriore e più allo stato della nostra anima.
13. PAURE
Molte volte ci preoccupiamo di come ci percepiscono gli altri, di cosa pensano di noi e se possiamo disattendere le loro aspettative in qualche modo. Questa Quaresima potrebbe essere un'opportunità per prendere coraggio e cercare autostima e sicurezza nella forza che Cristo ha il potere di donarci.
14. PROCRASTINARE
Facciamo tutto il possibile immediatamente. Evitiamo di rimandare i compiti che possiamo fare subito.
15. GELOSIA
Distogliamo l'attenzione dalle cose o dalle capacità che hanno gli altri.
16. RINUNCE PER NOI STESSI
Invece di un sacrificio fisico - cibo, comodità - impegniamoci in ambiti che non ci diano alcun tipo di gratificazione personale. Doniamo qualcosa o facciamo volontariato in una casa di riposo.
17. MANIE DI CONTROLLO
Lasciamo andare le cose come stanno e lasciamo alle persone il tempo di cui hanno bisogno. Preghiamo nei momenti in cui ci rendiamo conto di voler controllare di nuovo i fatti della nostra vita o le persone inutilmente.
18. CONVENIENZA
Eliminiamo tutto ciò che ci semplifica la vita. Facciamo a meno delle consegne a domicilio o dei robot tuttofare.
19. PIGRIZIA
Cerchiamo di rifare il letto ogni mattina e non premere il tasto "rimanda" della sveglia, ma alziamoci subito. Siamo generosi e non prepariamo il pranzo solo per no, invitiamo gli altri. Usciamo dalla nostra zona di comfort.
20. PARLARE MALE E CRITICARE
Se ci stuzzica criticare gli altri o siamo sempre pronti a giudicare le loro azioni, la Quaresima è il momento ideale per interrompere questa abitudine.
21. ASSENTEISMO E DISATTENZIONE
Ogni volta che i nostri pensieri vagano e diventiamo poco concentrati, senza così riuscire a portare a termine i nostri compiti, ricordiamoci di fare del nostro meglio in quel momento.
22. DIO NEL PROSSIMO
Dedichiamo del tempo a sorridere alle persone che incontriamo ogni giorno. Iniziamo una conversazione con qualcuno con cui non abbiamo mai parlato prima. Facciamo particolare attenzione a chi abbiamo trascurato finora.
23. FACCIAMO UNA DOCCIA FREDDA
Il modo migliore per iniziare la giornata è una doccia fredda. È il superamento definitivo. Si è immediatamente svegli e si salta la fase di risveglio lento e improduttivo.
24. INDECENZA
Può manifestarsi nel modo di vestire, ma anche nel modo di parlare con gli altri. Cerchiamo di vestirvi in modo adeguato alla nostra dignità. Usiamo parole ed espressioni rispettose, educate e amichevoli.
25. NON PRENDIAMO LE COSE SUL PERSONALE
Se qualcuno si comporta in modo ostile o scortese con noi, non ha nulla di personale. Tratteniamo il giudizio e cerchiamo di capire l'altra persona. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8100
LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA CATTOLICA SECONDO NEWMAN di Cristina Siccardi
La figura di san John Henry Newman (1801-1890) spicca sullo sfondo della pesante e drammatica crisi in cui versa la fede da sessant'anni a questa parte, tanto da far pronunciare a Paolo VI (1897-1978) - un Papa che volle a tutti i costi modernizzare-mondanizzare la Chiesa per andare incontro ai "lontani" a scapito della tradizione - quella fatidica e realistica frase pronunciata durante l'omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo, nel 1972: «Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio».
Dopo un estenuante percorso, anzi, una dura lotta di carattere sia intellettuale che spirituale, approdò alla Chiesa cattolica il 9 ottobre 1845. Tutto ebbe inizio studiando i Padri della Chiesa e in particolare quelli che difesero l'integrità della fede ai tempi dell'Arianesimo (IV secolo), pronti a presidiare dogmi e dottrina contro le eresie. Proprio grazie a loro il futuro cardinale vide finalmente chiaro, come descrisse sé stesso in quel capolavoro che è la sua autobiografia, Apologia pro vita sua: «Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita», il volto di un eretico anglicano e lo «scopersi quasi con terrore».
Profondamente preoccupato dal relativismo che aveva già minato il senso religioso degli inglesi, Newman combatté, sinceramente e lealmente, il liberalismo, tracciando, con metodo sistematico e analitico, uno dei profili più reali dell'Europa del XIX secolo in fase di corruzione, di abbandono della civiltà cristiana, di incalzante apostasia. Dal ponte della propria nave riuscì a identificare i connotati secolarizzanti e relativistici anche dei nostri giorni, richiamando il valore della sana tradizione in campo religioso, che non è immobilismo, bensì quella linea costituita dai principi della Rivelazione (da Gesù Cristo fino a san Giovanni evangelista con l'Apocalisse) e dunque dei principi eterni, che vengono declinati nella storia attraverso impreziosimenti e riforme (si pensi alle molteplici riforme di san Pio X).
Sul cardinale Newman, beatificato da Benedetto XVI nel 2010 e canonizzato da papa Francesco nel 2019, è uscito un interessante libro di padre Hermann Geissler, membro e formatore della Famiglia spirituale L'Opera (comunità di vita consacrata), direttore del Centro internazionale degli amici di Newman a Roma e docente di teologia in Italia e in Austria, dal titolo John Henry Newman. Un nuovo dottore della Chiesa? (Cantagalli).
LA TRAPPOLA MORTALE DELL'ETÀ CONTEMPORANEA
Leggendo l'agevole testo di padre Geissler, ci si avvede che il pensiero di Newman si dipana in maniera logica e lineare, con perfetta onestà intellettuale, avendo come unico obiettivo quello di giungere alla Verità portata da Gesù Cristo e trasmessa agli Apostoli e dagli Apostoli ai Padri della Chiesa e via di seguito nel tracciato della Chiesa fondata da Gesù Cristo, con i suoi dottori e santi, poi, facendo risaltare gli inganni delle teorie erronee, giunse a individuare nel liberalismo e, dunque, nel relativismo, dove ogni opinione differente, anche in materia di religione, ha lo stesso valore di tutte le altre, la «trappola mortale» dell'età contemporanea.
Di particolare rilievo e profondità risulta il capitolo inerente il saggio che Newman elaborò alla fine del 1844, alle porte della sua decisione definitiva di entrare nell'unico ovile, Lo sviluppo della dottrina cattolica, tema sul quale l'autore si soffermò molto, ma non con occhio liberale (come qualcuno potrebbe supporre con metro di giudizio soggettivo e relativista), lungi da lui, che fu paladino della coerenza della Chiesa attraverso la sua connaturata tradizione, bensì con occhio oggettivo. Domanda padre Hermann: «Perché intraprese questo studio? Allora aveva già compreso, da una parte, di non poter più rimanere nella Chiesa d'Inghilterra, ritenendo che questa, costituendo una Chiesa nazionale, non era realmente cattolica. D'altra parte, non era ancora in grado di associarsi alla Chiesa romano-cattolica, le cui dottrine sviluppatesi col tempo aveva rigettato per lungo tempo come non apostoliche. Molte domande lo assillarono: come valutare le "innovazioni" cattoliche, come, ad esempio, il culto mariano, la venerazione degli angeli e dei santi, la preghiera per i defunti, la dottrina circa il papato? Si chiese: queste dottrine e pratiche sono sintomi di infedeltà e di corruzione nei confronti della fede originaria? Sono aggiunte arbitrarie fatte per motivi puramente umani? O sono forse espressioni di uno sviluppo organico del deposito della fede, affidato alla Chiesa da Gesù Cristo e dai suoi apostoli? Un forte bisogno di coscienza spinse Newman nel chiarire tali questioni al fine di trovare luce per il proprio cammino» (pp. 42-43).
Ricerca appassionata, preghiera, riflessione intensa e un ritmo di vita profondamente monastica insieme ad alcuni amici nel College di Littlemore, lontano dal mondo universitario di Oxford che lo aveva estromesso e lontano da tutte quelle voci che dal mondo anglicano lo additavano già come traditore, egli era rimasto solo, solo davanti a Dio con la sua coscienza che ormai, però, si era formata alla scuola dei Padri della Chiesa e nelle chiese che aveva non solo visitato, ma vissuto in Italia con i suoi apparati iconografici e liturgici.
LA LUCE GENTILE
Lo sviluppo della dottrina cristiana fu il libro che lo condusse alla decisione ultima, ovvero abbracciare con slancio e amore, illuminato dalla «Luce gentile», la Chiesa cattolica, «ed è impossibile distaccarlo dalle circostanze in cui è nato, in quanto il saggio è lo studio di un anglicano che argomenta le ragioni per cui non può più continuare ad esserlo» (p. 44). Ecco perché Newman è provvidenziale per il nostro tempo, perché individua e chiarisce in maniera magistrale gli errori dai quali vuole liberarsi e per farlo offre sette criteri di discernimento per comprendere quali sono le differenze fra sviluppi veri-buoni e corruzioni-deformazioni.
1. PERMANENZA DEL TIPO
L'organismo Chiesa di esprime in diverse forme, ma la sua fisionomia generale permane, proprio come accade all'organismo umano: bambino, adolescente, adulto, anziano, ma è sempre lo stesso essere umano. Secondo Newman gli sviluppi genuini, a differenza di quelli falsi, si caratterizzano dal fatto che con essi il «tipo» Chiesa, con il suo carattere soprannaturale, cattolico e romano, rimane conservato.
2. LA CONTINUITÀ DEI PRINCIPI
Il «tipo» riguarda la fisionomia esteriore dell'organismo ecclesiastico, mentre i principi formano la sua vita e la sua dottrina dal di dentro, «se le dottrine sono avulse dai principi soggiacenti, possono essere interpretate in diverse maniere e condurre a conclusioni contrastanti. La continuità dei principi è quindi fondamentale» (p. 52). Newman individua quattro principi immutabili ed eterni: principio del dogma, principio della fede, principio della teologia (le verità accolte nella fede devono essere scrutate e approfondite dalla ragione), il principio sacramentale (vi sono segni visibili che esprimono e comunicano un dono invisibile e divino). Afferma Newman: «Mentre lo sviluppo della dottrina nella Chiesa è avvenuto in conformità ai principi immemorabili da cui tale dottrina discende, le varie eresie che sono nate in tempi diversi hanno in un modo o in un altro [...] violato questi principi [...]» (ibidem).
3. IL POTERE DI ASSIMILAZIONE
A causa del principio dogmatico il cristianesimo ha potuto incorporare nella sua dottrina vari ragionamenti teologici, pensieri filosofici ed espressioni linguistiche, respingendo però gli aspetti erronei e ciò, dichiara Newman, è avvenuto in complessi processi storici di scontro, di purificazione, di chiarificazione e di incorporazione.
4. LA COERENZA LOGICA
La Chiesa, nel corso della sua esistenza ha sempre operato e fatto le sue scelte dottrinali con la ragione e mai istintivamente o per emozioni, si pensi, per esempio, alla correlazione logica fra sacramento del battesimo, disciplina della penitenza e dottrina del Purgatorio.
5. ANTICIPAZIONE DEL FUTURO
Le diverse dottrine formano un corpo unitario e sono connesse fra loro in maniera coerente, perché si legano sempre e comunque alla forma originaria. Newman esemplifica questa affermazione attraverso l'anticipazione della dottrina della resurrezione dei morti: i cristiani hanno sempre trattato con rispetto, fin dall'inizio, i corpi dei defunti e la santità delle reliquie dei martiri in quanto tutto ciò nasce dalla glorificazione del corpo di Cristo nel mistero di Dio, che ha anticipato la resurrezione di coloro che saranno glorificati in Dio alla fine dei tempi.
6. AZIONE CONSERVATRICE DEL SUO PASSATO
Spiega padre Geissler: «Uno sviluppo è autentico quando conserva e tutela gli sviluppi precedenti. Se uno sviluppo contraddice l'idea centrale o le definizioni dogmatiche anteriori è una corruzione [...] le Comunità cristiane che venerano la santa Vergine continuano ad adorare Gesù Cristo, quelle invece che rifiutano tale devozione non di rado tendono ad abbandonare anche il culto del Signore» (p. 56).
7. IL VIGORE PERENNE
Tale criterio di discernimento è la cartina di tornasole: una corruzione è temporanea, inizia e finisce dopo un tot di tempo; ma se perdura conduce a un processo di decadenza e di disintegrazione; uno sviluppo fedele invece si distingue per la sua forza vitale che perdura, perciò si spiega come la Chiesa ha «prevalso con la sua dottrina malgrado tanti -
Saknas det avsnitt?
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8099
LA MALATTIA DEL PAPA E LA DEVOZIONE AL PAPATO di Roberto de Mattei
Il 22 febbraio, dopo qualche giorno di degenza al Policlinico Gemelli, Papa Francesco ha avuto un aggravamento delle condizioni di salute. Era il giorno della festa della Cattedra di San Pietro una tradizione molto antica, attestata a Roma fin dal secolo IV, con la quale si rende grazie a Dio per la missione affidata da Cristo all'apostolo Pietro e ai suoi successori di pascere, guidare e reggere il suo gregge universale.
Nell'abside della Basilica di San Pietro, Gian Lorenzo Bernini, ha realizzato un monumento alla Cattedra dell'Apostolo in forma di grande trono bronzeo, sorretto dalle statue di quattro Dottori della Chiesa, due d'occidente, sant'Agostino e sant'Ambrogio, e due d'oriente, san Giovanni Crisostomo e sant'Atanasio.
Un altro grande Dottore della Chiesa, san Girolamo, scrive: "Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa" (Le Lettere I, 15, 1-2).
In questo passo, che risale alla fine del IV secolo, san Girolamo non solo proclama la dottrina del Primato di Pietro, che sarà definita come regola di fede dal Concilio di Firenze, dal Concilio di Trento e soprattutto dal Concilio Vaticano I, con la costituzione Pastor aternus, ma afferma anche la necessità della devozione al Papa, come elemento fondamentale della spiritualità cattolica. La devozione al Papa, come quella alla Madonna è un pilastro della spiritualità cattolica. Questa devozione non si rivolge a un principio astratto, ma a un uomo che incarna un principio e che, nella sua precarietà umana, è anche il Vicario di Cristo.
Il Papa come uomo è debole e fallibile. La sua fragilità è fisica, psicologica, morale. Come persona privata il Papa può essere immorale, ambizioso, perfino eretico o sacrilego. Come persona pubblica il Papa, pur non essendo infallibile nel governare la Chiesa, può essere infallibile nel suo insegnamento. Per esserlo, deve rispettare determinate condizioni, che sono state chiarite dalla costituzione Pastor aeternus del 18 luglio 1870. Il Papa deve parlare come persona pubblica, ex cathedra, con l'intenzione di definire una verità di fede e di morale e di imporla come obbligatoria a credere a tutti i fedeli. Ciò purtroppo è avvenuto ben raramente nell'ultimo secolo.
LA MORTE DEL PAPA
La malattia del Papa, la morte del Papa, di ogni Papa ci ricorda l'esistenza di questo contrasto tra la persona privata del Papa, che può essere debole e vacillante, e quella pubblica, che esprime l'infallibilità della Chiesa.
C'è una differenza tra la morte di un Papa e la morte di un sovrano temporale. Il Re deriva la sua legittimità, dal sangue, ovvero dal legame biologico che lo lega ai suoi antenati. Quando muore egli sopravvive nel suo erede, a cui lo lega lo stesso sangue. Il Papa invece è completamente estraneo a questa fisicità biologica. Il Papa non sopravvive in altri uomini, perché il Papa non ha eredi biologici. E' morto il Re, viva il Re, si dice nel momento in cui il monarca esala l'ultimo respiro. Ciò non avviene per il Papa, perché l'elezione del suo successore non avviene un attimo dopo la sua morte, ma solo dopo un conclave, che può anche essere lungo e contrastato. Si potrà dire semmai, è morto il Papa, viva la Chiesa, perché prima del Papa c'è la Chiesa, che lo precede e che gli sopravvive, sempre viva e sempre vittoriosa.
Le monarchie e gli imperi terreni, come gli organismi umani, nascono e muoiono. Le civiltà sono mortali. La Chiesa, nata dal sangue del Calvario è invece immortale e indefettibile: durerà fino alla fine del mondo.
Il contrasto tra la caducità fisica della persona e l'immortalità della istituzione. era espresso un tempo da un rito che è stato celebrato fino al 1963. Il Papa, dopo la sua elezione, appariva nella basilica di San Pietro, in tutta la sua maestà, sulla sedia gestatoria, circondato dalle guardie svizzere, e dalle guardie nobili, mentre due camerieri segreti, in cappa rossa con ermellino bianco, reggevano i flabelli. A un certo punto del percorso un cerimoniere, genuflettendosi tre volte dinnanzi al Pontefice, accendeva dei batuffoli di stoppa infilati su un'asta di argento, e mentre la fiamma ardeva, cantava lentamente: "Pater Sancte, sic transit gloria mundi!" "Padre Santo, così passa la gloria umana".
SIC TRANSIT GLORIA MUNDI
All'uomo che quel giorno riceveva la corona destinata all'autorità più alta sulla terra, le parole Sic transit gloria mundi ammonivano: non ti vantare per la gloria che oggi ti avvolge, ricordati di essere un uomo fragile, destinato ad ammalarti e a morire.
Questa cerimonia avvenne per l'ultima volta sul sagrato di San Pietro il 30 giugno 1963 in occasione dell'incoronazione di Paolo VI. Quando il Papa, dopo la Messa Pontificale, depose la mitra e assunse la tiara, risuonò, per l'ultima volta dopo molti secoli, la formula solenne: "Ricevi la tiara adorna di tre corone, e sappi di essere il padre dei principi e dei re, il reggitore del mondo, il Vicario in terra del Salvatore Nostro Gesù Cristo, al quale sia onore e gloria nei secoli dei secoli".
Tra le prime decisioni del nuovo Pontefice fu proprio quella di abolire la cerimonia dell'incoronazione Pontificia, che era anteriore al IX secolo, come risulta dall'Ordo Romanus IX dell'epoca di Leone III.
A partire dal gesto di Paolo VI iniziava quella confusione tra l'uomo e l'istituzione, che era destinata a dissolvere l'autentica devozione al Papato: una devozione che non è il culto dell'uomo che occupa la Cattedra di Pietro, ma è l'amore e la venerazione per la missione pubblica che Gesù Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori. Questa missione può essere svolta da un uomo debole, inadeguato al suo compito, che resta però il legittimo successore di Pietro e che va amato e seguito anche nella sua fragilità, nella sua sofferenza e nella sua morte.
Per questo il prof. Plinio Corrêa de Oliveira ha scritto, molti anni fa, con parole straordinariamente attuali: "Nella gloriosa catena costituita dalla Santissima Trinità, dalla Madonna e dal Papato, quest'ultimo costituisce l'anello meno forte: perché più terreno, più umano e, in un certo senso, avvolto da aspetti che lo possono screditare. Si usa dire che il valore di una catena si misura esattamente dal suo anello più fragile. Così, il modo più eccellente di amare questa straordinaria catena è baciare il suo anello meno forte: il Papato. È consacrare alla Cattedra di Pietro, verso la quale vengono meno tante fedeltà, la nostra fedeltà intera!". -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8077
SE CRISTO NON AVESSE FATTO MIRACOLI, PERCHE' CREDERGLI? di Don Stefano Bimbi
Può capitare di ascoltare un'omelia in cui il sacerdote riduca o ignori un miracolo di Gesù, che pure era descritto realisticamente nel vangelo appena letto.
Ad esempio, la moltiplicazione dei pani, anziché essere il primo annuncio del dono dell'eucaristia, il corpo di Cristo dato come vero cibo, può essere letta come un semplice invito a impegnarsi per un mondo più giusto, in cui tutti abbiano accesso al cibo e alle risorse necessarie per vivere, magari con il solito invito ai cristiani a lottare contro la fame nel mondo. Oppure la trasformazione dell'acqua in vino alle nozze di Cana potrebbe essere commentata mostrando genericamente la capacità di Gesù di trasformare le situazioni negative in positive, di portare gioia e speranza dove c'è tristezza e disperazione.
Così si rischia di ridurre la fede a buonismo. Ma Se si esclude o si minimizza l'elemento soprannaturale, si rischia di trasformare la fede in un insieme di valori umani, perdendo di vista la dimensione trascendente che caratterizza il cristianesimo.
Infatti è innegabile che Gesù abbia compiuto i miracoli. E l'ha fatto per un motivo preciso: per attestare la propria divinità. Infatti dice Lui stesso nel vangelo: «se non credete a me, credete alle opere» (Gv 10,38).
Certo i miracoli, oltre a fatti storici inoppugnabili, hanno anche un valore simbolico. Infatti San Giovanni nel suo Vangelo non li chiama miracoli, ma segni. Il miracolo alle nozze di Cana è il primo segno, mentre la risurrezione di Lazzaro, è l'ultimo. Ma nonostante questo valore simbolico, i miracoli sono fatti reali e verificati da molti presenti:, come ad esempio i servi a Cana e la folla davanti alla tomba di Lazzaro.
Persino gli avversari di Gesù sono costretti a riconoscere i miracoli da lui compiuti. Ad esempio la risurrezione di Lazzaro non viene contestata nemmeno dai nemici di Gesù i quali sono costretti ad ammettere: «quest'uomo fa molti miracoli. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui» (Gv 11,47-48). Proprio per questo decidono di uccidere anche Lazzaro in modo da cancellare la prova vivente del miracolo effettivamente avvenuto.
Del resto, non è forse vero che la nostra fede cristiana si basa sul miracolo più importante di tutti, cioè la risurrezione di Gesù dalla morte? Come ricorda San Paolo, infatti, se Cristo non fosse risorto dai morti, vana sarebbe la nostra fede (Cf 1Cor 15,17). Chi minimizza i miracoli nel Vangelo dovrebbe coerentemente parlare di uova e coniglietti nell'omelia di Pasqua.
Il problema è che riducendo i miracoli alla dimensione umana e terrena, si rischia di cadere nel relativismo e considerare che tutte le religioni abbiano lo stesso valore e che non esista una verità assoluta. Ma allora perché dovrei credere a Gesù anziché ad altre divinità. Perché dovrei ubbidire ai comandamenti, ricorrere ai sacramenti ed andare perfino alla Messa?
In conclusione è bene ricordare che i miracoli veri e propri avvengono solo all'interno della Chiesa Cattolica, ma ciò nonostante essi non sono una cosa che riguarda solo i cristiani, i quali ci credono perché hanno la fede. I miracoli sono fatti, interrogano la ragione anche del non credente. Se invece egli non si lasciasse interrogare, dimostrerebbe di avere un pre-giudizio. Come ben riassumeva il grande Chesterton: «Chi crede ai miracoli lo fa in base a un fatto, chi non ci crede lo fa in base a un'idea». -
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L'INGIUSTO COMMISSARIAMENTO DELL'ISTITUTO DEL VERBO INCARNATO (IVE) di Giano Colli
La recente decisione di commissariare la Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato (IVE) ha suscitato non poche perplessità tra coloro che conoscono da vicino il lavoro e l'impegno di sacerdoti e suore di questa congregazione. Sebbene il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica abbia evidenziato difficoltà negli itinerari formativi e nella fase del discernimento vocazionale, la realtà vissuta da tanti fedeli laici e religiosi dell'IVE racconta una storia ben diversa.
Chi ha avuto l'opportunità di collaborare con l'IVE sa bene che i membri di questa famiglia religiosa si dedicano con passione alla formazione e all'educazione della gioventù, alla missione evangelizzatrice e a numerose opere di carità e assistenza sociale. Tra le iniziative più apprezzate ci sono i ritiri per famiglie e le attività culturali e spirituali che hanno contribuito alla crescita cristiana di molte persone.
Ridurre la storia e l'azione di questa comunità religiosa a mere problematiche interne significa ignorare un lavoro che da decenni porta frutti abbondanti.
UN PROVVEDIMENTO SPROPORZIONATO
La decisione di affidare entrambi i rami dell'IVE a delegati pontifici con pieni poteri di governo, inclusa la possibilità di modificare le Costituzioni e sospendere per tre anni le nuove vocazioni, appare eccessiva e penalizzante per una comunità che ha dimostrato un grande slancio missionario. Si rischia, infatti, di minare la fiducia di chi, con dedizione e spirito di sacrificio, ha abbracciato questa vocazione e opera quotidianamente per il bene delle anime.
Se è vero che ogni istituto religioso è chiamato a vigilare sulla qualità della formazione e sul discernimento vocazionale, è altrettanto vero che tale processo non può essere giudicato in modo generalizzato e sommario. Molti sacerdoti e suore dell'IVE sono esempi luminosi di dedizione e fedeltà alla Chiesa, e la loro formazione non può essere ridotta a una serie di "criticità" che giustifichino un commissariamento così drastico.
L'IMPORTANZA DEL DIALOGO CON LA CHIESA
La Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato ha sempre mostrato una profonda fedeltà alla Chiesa e al Papa. Il provvedimento di commissariamento dovrebbe essere accompagnato da un dialogo aperto e costruttivo che permetta alla congregazione di rispondere alle osservazioni mosse senza però azzerare la sua identità e il suo carisma. La Chiesa ha bisogno di comunità vive e dinamiche, capaci di affrontare le sfide del mondo contemporaneo con fede e speranza.
Sospendere le vocazioni e imporre una revisione drastica delle Costituzioni potrebbe avere conseguenze negative su un istituto che ha dato tanto alla Chiesa e ai fedeli. La speranza è che questa decisione non soffochi l'entusiasmo e l'opera evangelizzatrice dell'IVE, ma che invece si possa trovare una via di rinnovamento che valorizzi i suoi punti di forza senza penalizzarne l'identità.
Nota di BastaBugie: Stefano Chiappalone nell'articolo seguente dal titolo "Commissariata la Famiglia religiosa del Verbo Incarnato" spiega cosa è successo all'IVE e perché.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 gennaio 2025:
Recano la data dell'8 dicembre 2024 i decreti del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica relativi rispettivamente al ramo maschile e a quello femminile della Famiglia del Verbo Incarnato. Mons. José Antonio Satué Huerto, vescovo di Teruel y Albarracín, sarà delegato ad nutum Sanctae Sedis dell'Istituto del Verbo Incarnato (ovvero i sacerdoti e fratelli coadiutori), mentre suor Clara Echarte, F.I., lo sarà per le Servidoras del Señor y de la Virgen de Matará (il ramo femminile). L'obiettivo, stando ai decreti, è quello di una «conversione ecclesiale».
All'Istituto e alle Suore vengono ora contestate «gravi difficoltà negli itinerari formativi (...) e, in modo speciale, nella fase del discernimento vocazionale» - le criticità e i relativi provvedimenti si ripetono nei due decreti - e pertanto «pur evidenziando il grande slancio missionario dell'Istituto e un lodevole impegno personale di molti dei suoi membri» si dispone la sospensione di nuove vocazioni per tre anni e una «una profonda revisione del diritto proprio, che comporterà anche una decisa riduzione dei vari manuali e regolamenti attualmente in vigore». Entrambi i delegati pontifici guideranno i rispettivi rami «ad nutum Sanctae Sedis, con tutti i poteri di governo, a norma del diritto universale e delle sue Costituzioni, con pieno potere di abrogare queste ultime, se ritenuto opportuno e necessario. Successivamente verranno conferiti altri eventuali poteri che si rendessero necessari».
Si sottolinea, inoltre, la necessità di «mantenere i contatti con i Vescovi delle Diocesi in cui è presente l'Istituto e svolgerà il proprio apostolato, in particolare con i Vescovi di Velletri-Segni (Italia) e San Rafael (Argentina)» (cioè dove la congregazione fu eretta canonicamente e dove nacque). Apostolato che si svolge anche in Medio Oriente: a loro è affidata la cura della nuova chiesa del Battesimo di Gesù, consacrata ieri in Giordania dal cardinale Parolin, in presenza del patriarca Pizzaballa che nel suo indirizzo di saluto ha pubblicamente ringraziato «la Congregazione del Verbo Incarnato, che, con i suoi sacerdoti e suore, ci offrirà un servizio spirituale in questo luogo». -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8071
DANTE, BONIFACIO VIII E IL PRIMO GIUBILEO DEL 1300 di Roberto de Mattei
Al tramonto e poi fino alla mezzanotte del 1° gennaio dell'anno 1300 folle di romani si accalcarono nella basilica costantiniana di San Pietro. Si era sparsa la voce che la visita alla tomba di Pietro avesse fatto guadagnare la remissione delle pene dovute ai propri peccati. Il Papa Bonifacio VIII, Benedetto Caetani, che governava la Chiesa da cinque anni, ed era un grande esperto di diritto, fece cercare nell'Archivio e nella Biblioteca papale una conferma a questa credenza. Tra i più importanti atti di remissione delle pene da parte dei pontefici che lo avevano preceduto, trovò quello di Urbano II a Clermont (1095), che per eccitare i Cristiani alla prima Crociata, aveva dichiarato che la partecipazione ad essa equivaleva ad una completa remissione delle pene. Poi Bonifacio convocò il collegio dei cardinali in solenne Concistoro e decise di emanare una bolla denominata Antiquorum habet fida relatio ("Dagli anziani abbiamo notizie sicure") in cui confermò l'antica consuetudine, indicendo ufficialmente il primo Anno Santo dell'era cristiana. Alle copie dei documenti, spedite in tutti il mondo cattolico, furono aggiunti tre versi: «L'anno centenario a Roma è sempre giubilare/ Lue colpe sono cancellate, a chi si pente sono condonate. Questo dichiarò Bonifacio e confermò».
Perché ne rimanesse eterna memoria, Bonifacio volle che la bolla giubilare venisse incisa su una lastra di marmo che fu posta nell'atrio dell'antica basilica costantiniana. Con una successiva bolla Nuper per alias, il 22 febbraio 1300, giorno della festa della Cattedra di San Pietro, venne concessa ai pellegrini accorsi a Roma un'indulgenza plenissima, ovvero tanto ampia da estinguere ogni colpa e ogni pena dovuta ai peccati commessi. Poteva beneficiarne il pellegrino, pentito delle proprie colpe e confessato, che durante l'anno centenario si fosse recato a Roma per venerare i santi Pietro e Paolo facendo visita alle loro basiliche. Con questo atto il Papa affermava la sua plenitudo potestatis, il supremo potere di riversare sui fedeli i tesori della grazia di cui la Chiesa romana era detentrice.
TUTTI A ROMA PER LA TOMBA DI PIETRO
Conserviamo le dettagliate testimonianze sul primo Giubileo del Cardinale diacono di S. Giorgio in Velabro Jacopo Stefaneschi, autore di un'opera dal titolo De centesimo seu Jubileo anno liber, redatta all'inizio del XIV secolo, ma anche quelle del grande cronista fiorentino Giovanni Villani e di molti altri. Tutti riportano nei loro scritti che all'inizio dell'anno 1300 si riversarono per le strade di Roma vere e proprie folle, dapprima di provenienza cittadina e poi giunte da terre lontane d'Oriente e d'Occidente. Dante spiegò nel XVIII canto dell'Inferno (22-43) come sul ponte Sant'Angelo, che era il passaggio obbligato per recarsi a San Pietro, l'amministrazione cittadina avesse stabilito una sorte di senso unico alternato, per consentire un più ordinato flusso di viandanti, mentre gruppi di guardia vigilavano per far sì che il traffico si svolgesse senza incidenti o disordini. Secondo Villani, tolti i romani stabilmente residenti nell'Urbe, nel 1300 furono presenti quotidianamente in città duecentomila pellegrini, detti "Romei". La più parte di essi affrontava viaggi faticosi e spesso pericolosi.
Che cosa spingeva questi pellegrini che, arrivando in vista della Città eterna intonavano con entusiasmo l'inno O Roma nobilis? Il tribunale della penitenza aveva già perdonato i loro peccati, ma essi erano ben consapevoli di dovere espiare o in questa vita o nell'altra le pene che avevano meritato offendendo Dio. La Sacra Scrittura ricorda infatti che nulla d'impuro può entrare in Paradiso (Ap 21,27). Il luogo in cui avrebbero espiato le loro pene era il Purgatorio, che Dante, nella seconda cantica della Divina Commedia, descrive come la sommità di una montagna situata nell'emisfero australe, agli antipodi di Gerusalemme, ma che secondo l'opinione prevalente dei teologi, si trova nelle viscere della terra, vicino all'inferno. Il giubileo papale offriva loro la straordinaria occasione di abbreviare le pene temporali dovute a causa delle loro colpe. Da allora, con cadenza regolare, prima centenaria, infine venticinquennale, la Chiesa avrebbe esercitato il suo potere di rimettere i peccati, a beneficio dei fedeli.
DANTE E BONIFACIO VIII
Sappiamo che Dante detestava Bonifacio VIII, che considerava uno dei principali responsabili della decadenza morale e spirituale della Chiesa. Nel XIX canto dell'Inferno, riservato ai colpevoli di simonia, il poeta incontra il papa Niccolò III, Giovanni Gaetano Orsini, che profetizza il prossimo arrivo nella bolgia infernale di Bonifacio VIII, accusandolo di aver straziato con la sua corruzione la Chiesa di Cristo (Inferno, XIX, 52-57). Gli storici della Chiesa considerano ingiusto il giudizio di Dante, ma sottolineano che malgrado la radicale avversione a Bonifacio VIII, egli non contesta il suo potere di governare la Chiesa. Dante si pone così sulla scia di san Pier Damiani che, pur equiparandola simonia all'eresia, spiega che, malgrado la loro indegnità morale e le loro posizioni eretiche, i preti simoniaci esercitano però validamente i sacramenti e la giurisdizione (Liber qui dicitus gratissimus, PL, 145, 100-159).
Nel Purgatorio (II, 94-99), il musico Casella, famoso a Firenze ed amico di Dante, spiega che egli tardava a lasciare il purgatorio, a causa del numero delle anime ammassate alle porte del paradiso, grazie al giubileo di Bonifacio VIII. Il potere di accordare le indulgenze è infatti uno dei più alti che viene riservato al Vicario di Cristo, secondo le parole di Cristo a san Pietro: «Qualunque cosa avrai legata sopra la terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra, sarà sciolta anche nei cieli» (Mt XVI, 19). Queste parole così potenti, che designano l'autorità di governare la Chiesa, contengono il potere di rimettere i peccati non solo in quanto alla colpa, attraverso il sacramento della penitenza, ma anche in quanto alla pena temporale che è ad essi dovuta. Non possiamo dubitare del valore dei meriti di Gesù, di Maria SS.ma e dei santi, che ne formano il tesoro, né dell'autorità della Chiesa nel distribuirle. Perciò il Concilio di Trento, nel suo celebre decreto De indulgentiis, colpisce di anatema «quelli che definiscono inutile le indulgenze o negano alla Chiesa il potere di concederle». Però aggiunge che «bisogna accordarle con molta moderazione, per evitare che la troppa facilità nel concederle indebolisca la disciplina ecclesiastica» (Sess.XXV, cap. XXI).
LA PENITENZA
Non bisogna credere infatti che le indulgenze esimano i fedeli dalla penitenza. La Chiesa, accordando le indulgenze, ha in vista la remissione dei peccati in quanto ciò soddisfa la giustizia divina, ma non intende dispensarci dalle pene e dai patimenti che ci sono necessari per vincere le cattive abitudini e per condurre una vita cristiana. L'indulgenza, anche plenaria, non evita dunque quelle pene sulla terra che la Divina Provvidenza riserva agli uomini come una forma di correzione e di purificazione. Così il figlio di Davide morì quantunque il Re, dopo i peccati commessi, digiunasse e pregasse per la conservazione della vita del giovane (II Reg. XII, 16-18): Dio non volle accettare un'altra opera soddisfattoria invece della pena che, come dice sant'Agostino, era stata imposta a Davide come una prova e una correzione.
Le indulgenze, non ci assicurano dunque una vita senza croce, ma ci aiutano a portarla. D'altronde, per guadagnare integralmente l'indulgenza plenaria è necessario non avere la più piccola affezione al peccato ed essere dominati da un vero spirito di penitenza. Ciò non è facile, ma l'indulgenza plenaria del Giubileo è anche un potente incentivo per sviluppare quell'amore a Dio e quell'odio al peccato che è la condizione necessaria per ottenerla. -
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IL NATALE DEI REGALI LO HA INVENTATO DIO di Don Stefano Bimbi
L'arrivo del Natale è imminente e, come sempre, dobbiamo prepararci ad ascoltare le stesse critiche moralistiche contro il consumismo che inquinerebbe lo "spirito natalizio". È un cliché fastidioso che si può ascoltare nelle conversazioni tra amici come, purtroppo, anche nelle omelie dei sacerdoti. Sui giornali più diffusi si potranno leggere articoli che rimproverano l'aspetto "pagano" della frenesia dei regali a Natale, mentre paradossalmente questi stessi giornali dipendono dalla pubblicità e i loro editori traggono profitto dai consumi.
Per non parlare delle pressioni degli ecologisti e le loro periodiche campagne di sensibilizzazione per la riduzione del consumo di energia con iniziative ridicole come "M'illumino di meno" che coinvolge amministrazioni pubbliche per spengere l'illuminazione di monumenti ed edifici pubblici. Spegnere la luce diventerà quindi uno stile di vita sostenibile da imporre al popolo per salvare il pianeta?
Almeno noi cristiani a Natale dovremmo invece concentrarci su Gesù, il nostro Salvatore e la gioia della nostra vita, non certo adeguarci alle chiacchiere sui doni scambiati in questo periodo. Chi si lamenta del consumismo natalizio, dei negozi sempre aperti, dello sfarzo delle luci nelle strade, dei pranzi interminabili in famiglia, probabilmente non ha niente di significativo da dire su Gesù e sul fascino della sua venuta nel mondo. Questo accade a chi ha perso lo stupore dei fanciulli di fronte alle luci, ai regali e a Gesù bambino nella mangiatoia di Betlemme.
Molti cristiani di oggi somigliano a quei farisei i quali, di fronte a Gesù che guarisce l’uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6; Lc 6,6-11), iniziano a polemizzare perché lo ha fatto di sabato. Passa così in secondo piano quanto compiuto dal falegname di Nazareth. Essi non si lasciano stupire o interrogare nemmeno da un miracolo straordinario compiuto da una persona così umile.
LA NOTIZIA PIÙ GRANDE DI TUTTI I TEMPI
Noi cristiani abbiamo la responsabilità di condividere con i familiari, i parenti, gli amici e tutti quelli che incontriamo la notizia più grande di tutti i tempi, la più emozionante e consolante: Dio si è fatto uomo ed è venuto a vivere tra noi per guarirci e per salvarci. In questo periodo abbiamo la speciale opportunità di proclamare che niente sarà più triste e disperato come prima. Invece di criticare il consumismo, abbiamo l'obbligo di proclamare la gioia e l'amore che questo evento porta con sé.
In effetti, il primo Natale dei regali fu quello di duemila anni fa, quando i Re Magi portarono a Gesù dei doni. Il Vangelo sottolinea con favore questa spontanea generosità, poiché perfino l'oro era una risposta modesta a un dono immenso come il Bambino nato per noi. A pensarci bene, Dio stesso ha inaugurato il "Natale dei regali" già all'inizio dei tempi quando ci donò l'intero universo con tutte le sue meraviglie. Nessuno ha mai dato così con tanta abbondanza e generosità come Dio. Egli infatti non si è limitato a creare la terra, la luna e il sole, ma l'intero sistema solare. Non solo, ma ha creato anche molti pianeti e stelle, anzi galassie intere, in tal numero che che possiamo alzare lo sguardo verso il cielo e dire: "Che Dio sprecone, bastava anche meno!". Non scherziamo. Proprio questo "spreco" di aver creato mondi lontanissimi, che sono per noi solo delle piccole luci nel cielo, indica quanto è grande l'amore di Dio nei nostri confronti. Avrebbe potuto creare solo mucche e capre, polli e maiali per sfamarci e invece ha fatto il colibrì, il delfino, l'ippopotamo e la coccinella, insieme a miriadi di animali, vegetali e minerali che compongono il giardino nel quale viviamo.
UN DIO "SPRECONE"
Insomma questo Dio "sprecone", che ci ama così tanto, a un certo punto della storia si è perfino fatto carne per abitare in mezzo a noi. Anziché lamentarci del consumismo, dobbiamo impegnarci a donare ancora di più, non solo a parenti e amici, ma anche a coloro che sono meno fortunati, ai poveri e ai sofferenti, affinché anche loro possano partecipare alla gioia del Natale. Anche donare il proprio tempo a chi è solo e abbandonato è un regalo prezioso. Insomma il Natale ci invita a non fermarci ai regali materiali, che pure contribuiscono a vivere con gioia questa grande solennità dell’anno liturgico, ma ad andare oltre, donando noi stessi e condividendo con gli altri l'amicizia di Cristo, il regalo più grande di tutti.
A questo punto potremmo chiederci: "Come possiamo rimanere in silenzio di fronte a coloro che pensano solo ai regali, ai dolci e alle luci, ma si vedono in chiesa solo il giorno di Natale?". Innanzitutto potremmo complimentarci con loro per aver scelto di venire in chiesa per una festa importantissima che ricorda l'incarnazione del Figlio di Dio. Un evento così importante che ha diviso la storia in un prima e un dopo, come ci ricorda il conteggio degli anni. Da qui può partire una riflessione sul vero senso dei regali, delle luci, dei dolci per poi arrivare a Gesù, il vero regalo, la vera luce del mondo, il vero sapore delle cose.
"E che dire di chi non viene alla Messa nemmeno a Natale e magari preferisce una vacanza esotica?". A coloro che si accontentano di piccole gioie terrene, come una settimana alle Maldive o a sciare sulle Dolomiti, diciamo che possono avere molto di più. A Natale ci viene donato il Figlio stesso di Dio che contiene tutte le bellezze del mondo, l'amore, l'amicizia, la gioia e il significato della vita.
In conclusione: anziché criticare il consumismo che esplode a Natale sarebbe bene che noi cristiani recuperassimo il vero senso di questa festa, approfittando di questo stupendo periodo per far percepire ad una umanità allo sbando un raggio di quella luce che è venuta per essere accolta, perché chi la accoglie ha il potere di diventare figlio di Dio, mica Greta Thunberg. -
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RICONOSCIUTO IL 71° MIRACOLO A LOURDES di Paola Belletti
La Chiesa di solito non ha fretta. [...] Ce lo mostra [...] la storia di un soldato britannico, John Traynor, e del 71° miracolo riconosciuto a Lourdes. Nato a Liverpool da madre irlandese, nel 1883 si arruolò nella Royal Navy all'inizio della Grande guerra. Il primo conflitto mondiale è famigerato per la sanguinosità delle battaglie e il costo spropositano in termini di vite umane strappate e di quelle segnate da ferite gravi e mutilazioni, al punto che molte opere sorsero per dare sollievo proprio a chi si era salvato dalla morte immediata, ma se l'era in qualche modo portata a casa sotto forma di menomazioni, malattie e dolori indicibili. Dieci milioni i soldati caduti sul campo di battaglia, venti i feriti.
John è uno di quelli: rimase ferito per la prima volta l'8 ottobre del 1914 vicino ad Anversa, durante l'attacco tedesco al Belgio che contava sulla città fortificata come roccaforte inespugnabile. Negli scontri John Taylor venne ferito per la prima volta, l'8 ottobre del 1914; una seconda avvenne nella battaglia di Gallipoli (attuale Turchia) quando fu raggiunto da colpi di mitragliatrice, l'8 maggio dell'anno successivo, il secondo del conflitto. Da quel momento iniziò il calvario di sofferenze per il giovane soldato, come leggiamo sul sito del santuario mariano: «Numerosi interventi chirurgici fallirono. Perse l'uso del braccio destro, ma rifiutò l'amputazione e soffrì di gravi crisi epilettiche. Nel 1920, un chirurgo di Liverpool tentò di curare l'epilessia con la trapanazione, che causò una paralisi parziale di entrambe le gambe. Le sue condizioni erano tali che all'inizio dell'estate del 1923, "fu destinato all'hospice des incurables, dove sarebbe entrato il 24 luglio 1923" (procès verbal de guérison du Bureau des Constatations Médicales, firmato dal presidente, Docteur Auguste Vallet, 2 ottobre 1926)».
Quando le possibilità solo umane si avviavano all'esaurimento, seppure in un accompagnamento pietoso, John decise di bussare alla porta di Maria SS: nel luglio del 1923 partecipò al primo pellegrinaggio dell'arcidiocesi di Liverpool al santuario di Lourdes. Il 25 luglio, dopo essere stato immerso nelle piscine e aver partecipato alla processione eucaristica e alla benedizione degli ammalati, si trovò perfettamente guarito. «Lo stesso giorno, i medici che accompagnavano il pellegrinaggio confermarono le sue condizioni. Lasciò Lourdes il giorno seguente. Si recò al Bureau des Constatations Médicales il 7 luglio 1926 per dichiarare la sua guarigione. John Traynor tornò a Lourdes ogni anno come barelliere, fino al 1939. È membro della Liverpool Brancardier Association. Si dice nel Regno Unito che sia stato il primo cattolico britannico a essere guarito a Lourdes. Morì l'8 dicembre 1943 per una malattia completamente diversa».
RICONOSCIUTO IL MIRACOLO DEL 1923
Un secolo e un anno dopo il Santuario di Lourdes accoglie la proclamazione ufficiale post-mortem del 71° miracolo di Lourdes, da parte di Mons. Malcolm McMahon, arcivescovo di Liverpool. Ridotta a cronaca asciutta di uno degli innumerevoli miracoli avvenuti per intercessione di Maria nei pressi della grotta di Massabielle, la storia del corpulento, sano e vivace John, non emerge in tutta la sua bellezza. Chi lo ha conosciuto anni dopo la guarigione ce ne lascia un affresco vivido e consolante. Così ce lo tratteggia un testimone oculare: «Lo vidi per la prima volta mentre camminavo lungo la banchina con la mia valigia e lo vidi in attesa di salire sulla carrozza in cui speravo di viaggiare. Un uomo di corporatura robusta, alto circa cinque piedi e dieci, con un viso forte, sano e rubicondo, vestito con un abito grigio piuttosto sgualcito, che portava la sua borsa da viaggio, si distingueva dalla folla circostante. Con lui c'erano due dei suoi bambini piccoli e otto o dieci pellegrini irlandesi e inglesi che tornavano a casa da Lourdes. Ora, John Traynor era un miracolo perché, secondo tutte le leggi della natura, non avrebbe dovuto essere lì in piedi, robusto e sano. Avrebbe dovuto essere, se fosse stato vivo, paralizzato, epilettico, una massa di piaghe, rattrappito, con un braccio destro raggrinzito e inutile e un buco spalancato nel cranio. Questo era quello che era stato. Questo era il modo in cui l'abilità medica aveva dovuto lasciarlo, dopo aver fatto del suo meglio. Questo era il modo in cui la scienza medica aveva certificato che doveva rimanere». Di lui ricorda con gratitudine la fede virile, senza eccessi, la personalità naturale e modesta, un'intelligenza pulita arricchita proprio dalla fede senza aver potuto forgiarla con un'istruzione superiore.
LA FEDE CATTOLICA
Rimase orfano in giovane età ma della madre ricorda la grande devozione alla santa Messa e alla Comunione insieme alla solida fiducia nella Santa Madre di Dio. John ricorda che si accostava all'Eucarestia quotidianamente quando la pratica era assai poco diffusa. Quando venne ferito la prima volta stava svolgendo il suo dovere di soldato con coraggio e dedizione: la scheggia che gli arrivò nel cranio lo sorprese mentre stava portando in salvo uno dei suoi ufficiali. «Non riprese conoscenza fino a cinque settimane dopo, quando si svegliò dopo un'operazione in un ospedale marittimo in Inghilterra. Si riprese rapidamente e tornò in servizio». Anche nella spedizione in Egitto e sui Dardanelli continuò a distinguersi per abnegazione e forza in condizioni asperrime e disastrose per le forze alleate. La risposta dei Turchi fu così violenta che le operazioni furono sospese per diverse ore; tutti gli ufficiali erano stati uccisi e per questo Traynor si ritrovò a capo di 100 uomini. Anche il cappellano cattolico, padre Finn, venne ucciso e finì in acqua ma John e alcuni compagni recuperarono il corpo e lo seppellirono sulla riva. Continuava ad essere virtuoso, a perseguire il bene possibile in ogni circostanza. Resistette incolume fino all'8 maggio quando fu crivellato da una serie di colpi che segnarono l'inizio della sua dolorosa "carriera" di invalido e paziente sottoposto a numerose operazioni inefficaci e anzi portatrici di altra sofferenza.
Persino la storia del pellegrinaggio ha del miracoloso per tutti gli ostacoli che dovette superare, a causa della ferma e anche ragionevole opposizione di medici e sacerdoti e per tutti i fondati pronostici di morte che in molti gli fecero. John non desistette mai, l'obiezione che sarebbe potuto morire a Lourdes o già durante il viaggio la vinceva rispondendo che sarebbero stati un buon posto e una buona causa per cui morire. Nemmeno la guarigione arrivò al primo tentativo ma, racconta egli stesso, volle partecipare a tutte le devozioni e a tutte le immersioni nelle piscine che poteva.
Nel frattempo soffriva terribilmente perché gli standard di cura sia sui treni dei malati sia all'Asile dove sostavano gli infermi gravi al santuario non erano affatto come sono ora. Le ferite peggiorarono, le crisi epilettiche si acuirono, ma ogni volta, invitato con forza a desistere da quasi tutti, John ribadiva la sua ferma intenzione a restare. Dopo la decima immersione nelle piscine, uscì e non ebbe più crisi epilettiche. Nelle ore e i giorni successivi la sua guarigione divenne totale. Per non allarmare (o forse perché anche se non c'era Whatsapp gli uomini tendevano a comunicare così, con meno del minimo indispensabile), mandò un breve telegramma alla moglie: «Sto meglio, Jack». -
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TUTTO IL MONDO A NOTRE DAME, MALGRADO IL NUOVO LOOK di Stefano Chiappalone
1500 persone all'interno e 4mila all'esterno, 170 vescovi non solo francesi, due cardinali dall'estero (il newyorkese Timothy Dolan e il libanese Béchara Raï) e 40 capi di Stato: l'attenzione mondiale per la riapertura di Notre Dame la sera di sabato 7 dicembre è stata pari all'universale sconcerto del 2019, quando nel rogo dell'edificio rischiava di sparire un simbolo caro non solo ai parigini. Mantenuta la promessa quasi messianica di ricostruire il tempio - ma con l'accortezza di aver indicato «cinque anni» al posto degli evangelici «tre giorni» - il presidente Emmanuel Macron si è goduto un momento di indiscutibile grandeur proprio grazie a un simbolo di quell'Europa che fu cristiana, con buona pace della laicité.
Macron bagnato, Macron fortunato: la pioggia di sabato sera ha fatto sì che il suo discorso si tenesse all'interno del tempio invece che all'esterno, come inizialmente previsto. Così che a tratti gli officianti sembravano due, il presidente e l'arcivescovo Laurent Ulrich, sin dall'esterno della cattedrale dove Macron ha accolto la "processione" dei leader mondiali, tra cui - limitandoci solo a qualche nome - Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, il principe William del Galles, il presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj, la first lady USA Jill Biden e il neoeletto Donald Trump, nonché un ritardatario Elon Musk. Calorosamente accolto da Macron e seduto tra lui e la première dame Brigitte, Trump è stato inoltre coinvolto in un mini-vertice all'Eliseo con Zelens'kyj. All'esterno, secondo il rituale, l'arcivescovo di Parigi ha battuto per tre volte alla porta chiusa della cattedrale e per tre volte il coro ha risposto intonando il salmo 121. La prima voce risuonata dalla cattedrale è stata quella di un altro "Emmanuel": la grande campana seicentesca che, ironia della sorte, ha lo stesso nome del presidente francese.
IL GRANDE ASSENTE
Grande assente il Papa, che ha inviato un messaggio letto dal nunzio apostolico mons. Celestino Migliore. All'Angelus di ieri neanche un cenno. Tra una settimana Francesco sarà in Corsica, ma per sabato invece di andare a Notre Dame aveva programmato il concistoro per la creazione di nuovi cardinali, passato in secondo piano, quasi un evento ecclesiale di routine. L'attenzione mediatica era tutta su Parigi, dove in fin dei conti l'assenza del Pontefice non ha tolto nulla all'impatto dello storico evento. Un altro segno di quanto fosse effimero quell'"effetto Bergoglio" di cui si favoleggiava agli albori del pontificato. «Il danno di immagine» semmai è per Francesco, commenta il vaticanista Luis Badilla: «Il Papa poteva almeno evitare di umiliare Parigi e i tanti francesi che non capiscono il Pontefice. In Francia, così si vive il "no" a Notre-Dame a prescindere di quale sia vero pensiero del Pontefice».
Ieri mattina la prima Messa con la consacrazione del discusso nuovo altare ciotoliforme. L'arcivescovo Ulrich vi ha deposto le reliquie di Santa Marie Eugénie Milleret, Santa Madeleine Sophie Barat, Santa Catherine Labouré, SanCharles de Foucauld e il beato Vladimir Ghika. Quindi ne ha unto la mensa, partendo dalle cinque croci agli angoli e al centro per poi cospargere l'intera superficie. Poco prima nell'omelia aveva elogiato il manufatto, opera (così come cattedra, battistero, tabernacolo e altri arredi) del designer Guillaume Bardet, a partire dal materiale: «il bronzo, entra in un dialogo franco con l'edificio in pietra, è la prima scossa che ci coglie». Esso «forma con l'ambone, in uno scambio senza confusione, la mensa della Parola e quella dell'Eucaristia. Per quanto riguarda le linee di entrambi i mobili, la loro purezza, la loro semplicità, sono estremamente accessibili».
E qui finisce la gloria della "rinnovata" Notre Dame. Perché la «scossa» evocata da mons. Ulrich effettivamente «ci coglie», ma per tutt'altre ragioni. Non che fosse tanto meglio il distrutto altare moderno di Jean Touret del 1989. Laddove il gotico funge da finestra proiettata al di là, il modernariato di ieri e l'ingombrante minimal di oggi finiscono per fare da schermo che ci rinchiude al di qua. E oscura anche il gruppo scultoreo dell'antico altar maggiore del 1723, la cui Pietà oggi appare quasi un compianto sugli arredi liturgici appena inaugurati. Paradossalmente c'è anche un altare di foggia classica: è incluso nel nuovo reliquiario della corona di spine realizzato da Sylvain Dubuisson, ma servirà solo per appoggiarvi le candele. Il Santissimo Sacramento dovrà invece accontentarsi del ciotolone e del tabernacolo di Bardet.
LE POLEMICHE
Il restauro di Notre Dame è stato accompagnato da polemiche sulla "pazza voglia" di dare un taglio al passato che ha unito il presidente Macron e l'arcivescovo Ulrich - e lanciata a suo tempo dal predecessore mons. Michel Aupetit, il primo a proporre arredi dal taglio moderno e nuove vetrate. A queste ultime si è opposta la Commission nationale du patrimoine et de l'architecture (facente capo al Ministero della Cultura), tanto più che quelle ottocentesche di Eugène Viollet-le-Duc sono scampate all'incendio. Un anno fa Didier Rynkner, fondatore de La Tribune de l'Art, ha lanciato una petizione sottoscritta ad oggi da oltre 242mila persone, per evitare che vengano destinate al museo e rimpiazzate. Ma Ulrich e Macron proseguono per la loro strada e il 21 novembre si è riunita la commissione incaricata di valutare i progetti per le nuove vetrate. [...]
In attesa di conoscere il vincitore "godiamoci" i paramenti realizzati per l'occasione, su cui spiccava il piviale multicolore indossato sabato sera da mons. Ulrich, che qualcuno ha già ribattezzato il piviale della Lidl. Più precisamente si tratta di paramenti in stile Benetton, e non per modo di dire: l'artefice è infatti lo stilista Jean-Charles de Castelbajac, già direttore artistico proprio del colosso dell'abbigliamento (e già arruolato dall'arcidiocesi per la Gmg parigina del 1997). Tra i segni distintivi di Castelbajac c'è «l'amore per il pop e per l'arcobaleno» nonché una predilezione per la street-art. Almeno i paramenti non si potevano affidare alle care "vecchie" suore? Si sono invece scomodati e a caro prezzo designer e stilisti, il che sa tanto di grandeur ecclesiastica più che della «nobile semplicità» rivendicata da mons. Ulrich.
Ma gli occhi di tutti erano giustamente concentrati su Notre Dame rinata dalle fiamme, non certo sui "capolavori" di Bardet e Castelbajac. Sono quelle sacre e imponenti vestigia di una civiltà che fu cristiana ad aver radunato i grandi della terra, che non avrebbero mai preso un aereo per vedere il nuovo altare-ciotolone e gli altri immancabili tributi al "culto" della contemporaneità.
Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "La nuova Notre Dame celebra la Francia che rinnega sé stessa" parla della cattedrale di Parigi "reinventata" dopo l'incendio del 2019. L'altare è un'enorme ciotola che in perfetto stile woke soffoca il mistero cristiano e il gotico francese. Di sacro resta solo la laicité.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 6 dicembre 2024:
Cinque anni dopo l'incendio che rischiò di cancellarla durante la Settimana Santa del 2019, la cattedrale di Notre Dame riaprirà le sue porte. La struttura ricostruita e la guglia che ha ripreso il suo posto nel cielo di Parigi: chapeau!
Il 7 dicembre è previsto l'evento di riapertura. [...] E Dio in tutto questo? È certamente il grande assente. Un accessorio. Ridotto a utile pretesto di uno spettacolo in cui, che si tratti di una cattedrale, nessuno più lo ricorda. Malgrado sia il principale luogo di culto cattolico di Parigi, chiesa madre dell'arcidiocesi, nel cuore della capitale della nazione che fu la "figlia primogenita della Chiesa". [...]
Sono 846 i milioni di euro raccolti e utilizzati per la ricostruzione in un atto mondiale di filantropia. Ed è già polemica per la cifra pazzesca se si pensa all'impoverimento gravissimo delle altre cattedrali e chiese francesi. La corsa alle donazioni arrivò con la promessa che la cattedrale sarebbe stata ricreata esattamente com'era, il che non era affatto scontato. Infatti tutto è stato smentito.
Per un presidente ossessionato dalla questione della legittimità e dal rapporto tra la nazione e le sacralità che le ruotano attorno - laica e storica, meno spesso religiosa -, Notre Dame da ricostruire e reinventare è diventata materiale per essere ricordato dai posteri, come Mitterrand con la Piramide al Louvre, e Pompidou con il Centro che porta il suo nome.
Infatti, solo una manciata di giorni dopo, con la cenere ancora calda ed Édouard Philippe ancora primo ministro, si annunciò una cattedrale che sarebbe stata «porta del nostro tempo». Macron e i suoi vennero presi in parola e fu un profluvio di pazze idee: un progetto proponeva di sostituire il tetto con un serra ariosa, un altro con una piscina, un altro ancora prevedeva il tetto sostituito con una serra, e poi la cappella ecologica e le pareti rivestite di canapa.
Una collezione di tentativi per trasformare la cattedrale in uno show-room sperimentale, una cosa che non s'è mai vista prima. Un po' come se Disney, i profeti wokisti, e i discepoli di Greta dovessero entrare tutti insieme a Notre Dame. Qualcuno è entrato. Qualcun altro è rimasto fuori.
E mentre la controversia sull'opportunità di installare vetrate moderne in sei grandi campate della cattedrale non è ancora finita, nel senso che no -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7977
IL VANGELO NON AMMETTE NEUTRALITA' O COMPROMESSId i Roberto Marchesini
Per diversi anni ho riflettuto su un atteggiamento ecclesiastico che possiamo definire con due slogan: «Cercare ciò che unisce e non ciò che divide» e «costruire ponti e non muri». Traduco: si può dialogare con la modernità; il Mondo non è pregiudizialmente ostile ai cattolici; gran parte della cultura contemporanea è neutrale, rispetto al Vangelo. C'è quindi la possibilità, se non di evangelizzare il secolo, per lo meno di dialogarci.
Con il passare del tempo mi sono convinto che questo atteggiamento sia eccessivamente ottimista e, forse, un po' ingenuo. E mi sono accorto che la soluzione del problema era già data in una lapidaria affermazione evangelica: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30; Lc 11, 23).
Parlando con alcuni amici, scettici riguardo alla mia risoluzione, mi è stato fatto notare che nel Vangelo di Marco la frase era diversa: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9, 40). C'è, dunque, chi non è contro di noi, la neutralità nei confronti del Vangelo è possibile. Non solo: San Paolo afferma che possiamo trovare qualcosa di buono dappertutto: «Vagliate tutto e tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Purtroppo queste citazioni non permettono di sostenere la costruzione di ponti. Partiamo dalla prima. Essa è semplicemente una riproposizione della frase di Matteo e di Luca: non ammette una neutralità. Anche per Marco è necessario schierarsi: con Cristo o contro di Lui. Chi non è con Cristo non è neutro: è contro di lui; chi non è contro Cristo non è neutro, è con lui. Cristo divide, chiede di prendere posizione, non ammette neutralità.
La stessa cosa vale per san Paolo, il quale invita a vagliare tutto e a tenere ciò che è buono, integralmente buono; non ciò che ha una parte buona. Ricordiamo, infatti, che l'errore ha sempre una parte di verità; e che l'eresia non consiste nel rigetto totale della Verità, ma solo di una sua parte.
Ammettere una possibile neutralità nei confronti del Vangelo, inoltre, significa sminuirne l'importanza. L'incarnazione di Cristo ha diviso la storia in prima (a. C.) e un dopo (d. C.); allo stesso modo, ha diviso in due l'umanità e la cultura. È stato un avvenimento così importante che necessariamente richiede che si prenda posizione nei suoi confronti.
Sono confortato, nella mia posizione, da due importanti santi della Chiesa che hanno messo in evidenza il significato meta-storico dell'affermazione evangelica. In quella breve frase, infatti, è condensato un intero trattato di teologia della storia e la chiave di lettura per capire il rapporto tra Vangelo e modernità. Partiamo da san Giovanni Bosco, che ha scritto: «L'unica vera lotta nella storia è quella pro o contro la Chiesa di Cristo». È questa lotta che permette di capire tutta la storia dell'umanità, perlomeno degli ultimi cinquecento anni; ed è la storia del conflitto tra la Chiesa di Cristo e il Mondo.
Anche Giovanni Paolo II, nell'Evangelium Vitae, ha dato una lettura meta-storica del conflitto tra la luce di Cristo e le tenebre. Nei brani che seguono, il papa polacco sottolinea le implicazioni per la difesa della vita di questo scontro; ma non manca uno sguardo più profondo: «Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ci troviamo non solo "di fronte", ma necessariamente "in mezzo" a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita (§ 28). [...] Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, "il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra... Il velo del tempio si squarciò nel mezzo" (Lc 23, 44.45). È il simbolo di un grande sconvolgimento cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica tra la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ma da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa, anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro, il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana (§ 50). [...] Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (§ 104)». Giovanni Paolo II scrive di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la luce e le tenebre; e della «l'ineludibile responsabilità» di schierarsi dalla parte del bene e della luce. Chi non prende posizione, semplicemente, permette che il male accada e si diffonda; quindi, nuovamente, chi non è per Cristo è inevitabilmente contro di Lui.
C'è poco da illudersi, siamo in guerra. È una guerra totale, senza quartiere, nella quale non ci sono neutrali o indifferenti. Abbandoniamo le ingenuità e le favole disneyane, accettiamo la realtà. -
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IL PAPA CREERA' 21 NUOVI CARDINALI... MA COS'E UN CARDINALE? di Roberto de Mattei
L'8 dicembre la Chiesa Cattolica avrà 21 nuovi cardinali. Il Sacro Collegio conterà quindi 256 membri, di cui 141 con diritto di voto nel prossimo conclave. L'annuncio della creazione dei nuovi cardinali è stato dato il 6 ottobre da Papa Francesco, che il giorno dell'Immacolata imporrà loro la berretta color porpora, segno della disponibilità a versare il sangue, pronunciando la solenne formula: "A lode di Dio onnipotente e a decoro della Sede Apostolica ricevete la berretta rossa come segno della dignità del Cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all'effusione del sangue, per l'incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Romana Chiesa."
Questa solenne formula non è solo un modo di dire: indica la responsabilità dei cardinali, che sono i più diretti collaboratori e consiglieri del Papa e formano una sorta di Senato della Chiesa. Per comprendere questa altissima missione dei cardinali è illuminante un episodio che traggo dal bel libro di don Charles T. Murr, L'anima segreta del Vaticano. Il profondo legame tra Pio XII e suor Pascalina, pubblicato nel 2024 dalle Edizioni Fede e Cultura di Verona (pp. 84-88).
IL PRIMO CARDINALE CINESE
La storia dunque è questa. Nel 1946 il Papa Pio XII elevò alla dignità di cardinale l'arcivescovo di Pechino Thomas Tien Ken-Sin (1880-1967), dando alla Chiesa cattolica il primo porporato cinese.
Nel 1949 la Cina cadde sotto il controllo del rivoluzionario marxista-leninista Mao Zedong, uno dei più feroci dittatori comunisti, che tenne il potere fino alla sua morte, nel 1976. In coerenza con i princìpi del marx-leninismo, Mao intendeva eliminare ogni presenza religiosa dalla nuova Repubblica popolare cinese. Tra tutte le religioni non gradite in Cina, il cattolicesimo romano era particolarmente odiato da Mao, che non solo detestava la dottrina della Chiesa, ma aveva timore della sua organizzazione a livello nazionale e internazionale. Tutti i vescovi e i preti cinesi furono invitati a rinnegare la loro fede per contribuire all'edificazione dello Stato socialista. Morte, prigionia, rieducazione nei campi di lavoro attendevano coloro che avessero voluto rimanere fedeli alla Chiesa di Roma.
Quando il cardinale arcivescovo di Pechino Tien Ken-Sin apprese che il presidente Mao aveva intenzione di accusarlo di tradimento e di farlo arrestare, riuscì a fuggire nottetempo e a raggiungere la città di Roma.
Una mattina il cardinale si presentò al portone di bronzo della Città del Vaticano, con le insegne cardinalizie, vestito di rosso dalla testa ai piedi. Si aspettava forse una calorosa accoglienza da parte del Papa, ma non fu così.
È a questo punto che interviene la testimonianza di Suor Pascalina, che era una fedelissima collaboratrice di papa Pacelli e al giovane don Murr, che la frequentava negli anni Settanta, raccontò: "Il Santo Padre mi chiamò nel suo ufficio quella mattina e mi disse che alla porta c'era un visitatore di eccezione. Poiché monsignor Tardini aveva in precedenza informato Sua Santità che il cardinale Tien era fuggito dalla Cina per salvarsi la vita, l'arrivo del cardinale alla soglia del Santo Padre non era stata una completa sorpresa. "Ad ogni modo - continua suor Pascalina - il Santo Padre non ne era affatto contento" e diede alla suora precise istruzioni per trasmettere un messaggio all'illustre porporato cinese . "Riferito da una donna - aggiunse il Papa - sarà più chiaro e la nostra rabbia sarà meno evidente".
PERCHÉ I CARDINALI VESTONO DI ROSSO
Suor Pascalina, alquanto nervosa, si presentò al cardinale Tien, che attendeva notizie in segreteria di Stato e, vincendo la sua ritrosia, gli disse: "Vostra Eminenza, il Santo Padre non può riceverla oggi, né in nessun giorno nel prossimo futuro".
"Ma io devo parlare a Sua Santità personalmente", protestò il cardinale. "Temo che non sarà possibile", rispose la suora. "Qualunque cosa desidera dire al Santo Padre, può dirla a monsignor Tardini appena rientrerà. Il Santo Padre mi ha chiesto però di porle una questione che lo lascia perplesso. Il Santo Padre desidera sapere a che cosa ha pensato quando ha accettato la berretta rossa. Vorrebbe anche chiederle perché pensa che i cardinali di Santa Romana Chiesa vestano di rosso. Se pensava che significasse qualcosa di diverso dalla disponibilità a versare il proprio sangue per Cristo e la sua Chiesa, allora qual'era per lei il significato di quel colore?".
Il cardinale non rispose e chiuse gli occhi rimanendo in silenzio. Suor Pascalina, prima di allontanarsi dalla stanza, diede un ultimo consiglio al cardinale. Gli disse che il Santo Padre era estremamente rattristato che avesse abbandonato il suo gregge nel momento in cui il suo popolo aveva più bisogno di lui. Avrebbe dovuto restare al posto che gli era stato assegnato. Se questo avesse significato la prigione o la morte, allora sarebbe dovuto ritornare in Cina, correndo tali rischi, invece di starsene seduto nella Città del Vaticano vestito di rosso. "Se decide di non tornare in Cina - aggiunse - credo che dovrebbe rassegnare le dimissioni al Santo Padre e lasciare la tonaca a qualcuno che sappia perché è rossa".
Il cardinale non si dimise e si ritirò a Chicago. Si può immaginare quanto severo fu il giudizio di Pio XII nei suoi confronti. Ma che avrebbe detto Pio XII sapendo che oggi il Vaticano collabora apertamente con gli eredi dei persecutori comunisti di allora? Eredi che non rinnegano, ma anzi rivendicano con orgoglio, il lascito di Mao Zedong e l'ideologia comunista del loro paese.
Intanto consiglio vivamente di leggere il libro di don Charles Murr, un sacerdote americano che, tra il 1971 e il 1979, ha passato la sua vita a Roma. Don Murr ha già pubblicato nel 2023, sempre per le edizioni Fede e Cultura, un importante libro dedicato a Massoneria vaticana. Logge, denaro e poteri occulti nell'inchiesta Gagnon.
Il nuovo libro è ricco di molti altri episodi e aneddoti che ci aiutano a leggere la storia della Chiesa dall'interno. Il pregio delle due opere di don Murr è che sono scritte con stile brillante, serietà storica e soprattutto vero amore alla Chiesa. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7947
LA SINDONE TRA RAGGI X E INTELLIGENZA ARTIFICIALE di Emanuela Marinelli
All'improvviso, in modo del tutto inaspettato, subito dopo Ferragosto è esplosa in Gran Bretagna una notizia sulla Sindone, subito ripresa dai mass media di altri Paesi, persino da Al Jazeera: il venerato lino è stato datato al I secolo d.C. con un nuovo metodo di analisi che utilizza i raggi X.
Tutto è partito da un articolo apparso su Mail Online Science del Daily Mail Online il 19 agosto a firma di Stacy Liberatore, che annunciava una ricerca resa nota... due anni fa. La giornalista non ha spiegato come mai solo ora è venuta a conoscenza di questo testo pubblicato nel 2022 su Heritage. Ma non importa: meglio tardi che mai!
Gli autori della ricerca, il fisico Liberato De Caro insieme ad altri, avevano già pubblicato su Heritage nel 2019 un precedente articolo riguardante questo nuovo metodo WAXS (Wide Angle X-ray Scattering) che utilizza i raggi X a grande angolo per valutare la degradazione strutturale che un antico tessuto di lino subisce nel tempo, in modo da attribuirgli un'età. Il metodo non è distruttivo e si può applicare anche a un piccolo campione di filo di mezzo millimetro.
La notizia contenuta nell'articolo di Heritage del 2022, rilanciata dal Daily Mail Online, è la datazione di un filo di Sindone con il metodo WAXS: il confronto con fili di epoche diverse ha permesso di collocare l'origine della Sindone all'epoca di Cristo, perché le misure ottenute sono paragonabili a quelle di un campione di lino, risalente al 55-74 d.C., che proviene dal sito archeolgico di Masada, in Israele.
Nei mass media che hanno ripreso la notizia c'è stato anche il parere del fisico Paolo Di Lazzaro, che ha avanzato qualche perplessità su questo nuovo metodo di indagine, come sempre accade nel dibattito scientifico. Ma il successo del primo articolo, che ha fatto balzare la Sindone fra i primi dieci argomenti più cercati su Google in inglese, ha incoraggiato il Daily Mail Online a pubblicarne altri nei giorni successivi: così il 20 agosto Stacy Liberatore ha parlato di David Rolfe, il regista ateo che si è convertito studiando la Sindone per un documentario che stava realizzando, il Silent Witness, mentre, sempre il 20 agosto, William Hunter ha trattato vari temi sindonologici interessanti, tra i quali la ricerca fatta dall'archeologo William Meacham su alcuni fili della Sindone presso lo Stable Isotopes Laboratory di Hong Kong. Secondo questo esame degli isotopi, il lino usato per confezionare la Sindone è cresciuto nel Medio Oriente. Fra gli argomenti presi in esame, Hunter però ripropone anche l'esperimento dell'antropologo forense Matteo Borrini e del chimico Luigi Garlaschelli, che volevano dimostrare come falsi i rivoli di sangue presenti sulla Sindone. Esperimento ampiamente smentito.
SMENTITA DEFINITIVAMENTE LA BUFALA DEL RADIOCARBONIO
Di nuovo Stacy Liberatore il 22 agosto ha scritto un articolo sulla Sindone, questa volta per parlare delle nuove ricerche dell'ingegnere Giulio Fanti, che fra l'altro afferma di aver riscontrato in alcune particelle di sangue la presenza di creatinina, prova dei traumi subiti dall'Uomo della Sindone.
Visto l'interesse via via crescente, Stacy Liberatore il 23 agosto ha fatto uscire un ulteriore articolo nel quale sono stata intervistata con il ricercatore francese Tristan Casabianca in merito alla ricerca che abbiamo pubblicato su Archaeometry insieme agli statistici Benedetto Torrisi e Giuseppe Pernagallo. Si tratta dell'analisi dei dati grezzi ottenuti dai laboratori che datarono la Sindone al Medioevo nel 1988. Questa analisi statistica ha permesso di smentire definitivamente la validità del test del 1988, perché fu condotto su un campione non rappresentativo dell'intero lenzuolo (clicca qui!). https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5643&testo_ricerca=Tucson
Il 28 agosto il Daily Mail Online ritorna ancora sull'argomento con un articolo di Ellyn Lapointe, che presenta altre ricerche di Liberato De Caro e di nuovo torna a parlare dell'analisi statistica presentata su Archaeometry.
Anche il 30 agosto appare sul Daily Mail Online un nuovo articolo, questa volta di Rob Waugh, per presentare un libro di tre anni fa che ricostruisce l'ipotetica storia della Sindone nei primi secoli.
Le altre testate rincorrono le notizie man mano pubblicate dal Daily Mail. Il sito francese del CIELT (Centre International d'Études su le Linceul de Turin) nella sua rassegna stampa di agosto elenca 170 articoli - di cui fornisce il link - che in quel mese hanno parlato della Sindone in vari giornali del mondo. Ma ancora una volta è il Daily Mail ad essere trainante il 2 settembre con un nuovo pezzo a firma di Rob Waugh, che mette in campo altre reliquie relative alla Passione di Cristo: il Sudario di Oviedo, la Tunica di Argenteuil, la Veronica del Vaticano.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Questo susseguirsi di notizie, anche datate, fa riflettere sull'interesse che la Sindone suscita nella gente e sul conseguente coinvolgimento dei mass media che ne parlano anche per avere visualizzazioni sui propri siti internet. Gli articoli sono seguiti sotto da centinaia di commenti contrastanti, nel turbine dei like o not like, pollici su o pollici giù.
Tra le varie curiosità suscitate dalla Sindone, c'è pure quella sull'aspetto di Gesù, soprattutto sul suo volto. Ecco allora che il Daily Mail Online ha interrogato l'intelligenza artificiale Merlin chiedendo: “Puoi generare un'immagine realistica di Gesù Cristo basata sul volto che si trova sulla Sindone di Torino”? Il 22 agosto Jonathan Chadwick ha pubblicato il risultato (nell'immagine, a sinistra).
Il giorno prima, 21 agosto, anche il Daily Express si era rivolto all'intelligenza artificiale, ma usando un diverso programma: Midjourney. Il risultato (nell'immagine, a destra) è stato pubblicato da Michael Moran come “il vero volto di Gesù”. Ma se questo è il vero volto di Gesù, come mai è diverso dall'altro? Eppure sono entrambi generati dall'intelligenza artificiale! La risposta è semplice: sono due programmi diversi, che evidentemente usano informazioni diverse.
In definitiva l'intelligenza artificiale non fa altro che elaborare i dati che sono stati inseriti.
Una terza elaborazione del volto di Cristo ottenuta con l'intelligenza artificiale partendo dalla Sindone è quella che si trova nell'articolo di Stacy Liberatore del 23 agosto sul Daily Mail Online. È un lavoro del disegnatore grafico Otangelo Grasso.
Dunque, risultati diversi che possono piacere di più o di meno a seconda del proprio gusto estetico, ma nessuno paragonabile davvero all'inimitabile originale: il volto sindonico! -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7944
L'ORATORIO COME DIO COMANDA (IN 4 PUNTI) di don Armando Bosani
A partire dalla mia esperienza da ragazzo, ho imparato a vivere un'equazione: oratorio uguale a domenica, una domenica con tanti ragazzi alla Santa Messa del mattino, il catechismo, il gioco, la preghiera; e la presenza di adulti debitamente coinvolti in questo ambiente umano ed ecclesiale. È proprio questa la parola vincente per la trasmissione della fede, e che rende l'oratorio una strategia ancora vincente: ambiente.
Ma si deve trattare di vero oratorio, perché purtroppo, con il passare degli anni, esso è divenuto una mera esperienza ludica, a volte sportiva, senza alcuna connessione con la vita sacramentale, spesso disattesa, né con il catechismo, incastrato da qualche parte nei giorni feriali. E per lo più facoltativo.
Non mi sono mai rassegnato a questa metamorfosi dell'oratorio: volevo a tutti i costi rivitalizzare l'oratorio domenicale che vedevo chiaramente come la condizione indispensabile perché i ragazzi facessero un'esperienza positiva della vita cristiana e continuassero quindi a frequentare anche dopo la cresima, divenuta ovunque il sacramento dell'addio.
L'educazione cristiana non può fare a meno di un'esperienza significativa e coinvolgente, ben più ampia della semplice ora di catechismo, e ben più cristiana di una partita di calcio.
Ho così riscoperto e riproposto con energia quel circolo virtuoso catechesi-liturgia-animazione, in cui il legame organico fra le tre componenti mi pare costituisca il nucleo, l'essenza della tradizione oratoriana ambrosiana. Se si pensa infatti la catechesi fuori dalla vita dell'oratorio, la Santa Messa staccata dalla catechesi, l'oratorio staccato da entrambe, non si realizza quell'ambiente in cui il ragazzo viene educato "per immersione".
LA MIA ESPERIENZA
I risultati di questa impostazione, che cerco di realizzare ormai da oltre quarant'anni? Positivi, sia per la frequenza alla Messa e la possibilità di educare ad una partecipazione corretta alla liturgia, sia per l'effettivo inserimento nella vita della parrocchia, sia per la percentuale di presenze nel dopo cresima, sia per l'alto coinvolgimento dei genitori che, dopo un primo momento di perplessità, scoprivano la bellezza di rimanere nel proprio paese, di partecipare a qualche momento comunitario con i figli, di stare insieme, senza essere imbottigliati in chilometri di coda per inseguire il mito del week-end.
Nella mia esperienza è stato ed è fondamentale stabilire alcuni punti fermi che si ispirano a questa tradizione e che - è bene dirlo - mantengono l'identità dell'oratorio, tenendolo lontano dall'essere uno strumento della "pastorale del muretto", ossia uno strumento di recupero: l'oratorio ha ben altra funzione, che, se correttamente attuata, saprà svolgere anche - indirettamente - questa funzione. Come scriveva ormai trent'anni fa l'indimenticabile don Gioacchino Barzaghi, salesiano, «l'oratorio, per sua natura, è prima di tutto preventivo, e poi di recupero. Se fosse quasi esclusivamente di recupero avrebbe in sé una pericolosa contraddizione in termini, cui lo stesso don Bosco ad un certo punto della sua azione si trovò costretto a porre dei correttivi. Questo per far tacere per un momento la troppa retorica spesa al riguardo. Sono tutte affermazioni che mi sentirei di provare puntualmente, se ne avessi lo spazio».
PUNTI FERMI
Dunque, veniamo a questi punti fermi.
1. La conservazione del valore sacro della domenica come giorno del Signore, e non giorno della privacy familiare o del week-end. Si tratta del terzo comandamento e non credo si possano facilmente trascurare i diritti di Dio in nome dei diritti dell'uomo. Non ribadirlo con forza mi sembra un cedimento alla mentalità materialistica del nostro tempo e una pessima testimonianza di fronte alla radicalità con cui altre religioni vivono il loro giorno sacro.
2. La convinzione che una catechesi che non realizzi un inserimento del ragazzo (e quindi della famiglia) nella vita della parrocchia è solo un'infarinatura superficiale, che non può aspirare alla realizzazione di una vera formazione cristiana. E come la farina, viene portata via da un semplice vento leggero.
3. Non si possono sostituire la catechesi e l'istruzione religiosa con altre attività di animazione. Non possiamo permetterci di creare confusioni con attività parascolastiche e di annacquare l'immagine dell'oratorio. Che deve essere diverso dalle altre attività: come si può esigere con rigore la presenza dei ragazzi per attività che possono benissimo essere vissute (forse meglio) anche in altri ambienti e istituzioni?
4. La vita cristiana è caratterizzata anche dalla gioia, dalla fraternità e dalla condivisione, che il ragazzo deve poter sperimentare concretamente. E dove, se non in un ambiente in cui può trovare concretamente la comunità cristiana (adulti, giovani, coetanei) e non solo un gruppetto o la classe di catechismo? E quando, se non la domenica, il giorno del Signore?
L'oratorio, in un tempo di profonda e diffusa crisi educativa, non ha semplicemente ancora qualcosa da dire: ha una soluzione. L'oratorio oggi non lascia: raddoppia. Perché è chiaro che di fronte all'offensiva anti-educativa, la Chiesa deve avere sul piano educativo una offerta altra, una proposta qualitativamente distintiva, forte e integrale. Se l'oratorio si limitasse ad essere un posto per evitare che i ragazzi frequentino cattive compagnie, e, per questa ragione, facesse proposte banali, oppure - che non è affatto meglio - aspirasse a diventare il luogo di divertimento "della concorrenza", avrà il suo triste destino segnato. Ma è possibile, realistico e necessario puntare più in alto, con un po' più di fiducia in una "formula" che non proviene da improvvisati gruppi di esperti, ma poggia sull'esperienza secolare della Chiesa ambrosiana. -
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LE RELIGIONI NON SONO TUTTE UGUALI, NEMMENO SE LO DICESSE IL PAPA di Roberto de Mattei
Tra i più gravi errori oggi diffusi, anche negli ambienti cattolici, c'è quello secondo cui tutte le religioni si equivalgono perché adorano tutte un unico Dio. Quest'errore è gravissimo perché nega, alla radice, l'intrinseca verità della Chiesa cattolica. Purtroppo le dichiarazioni di papa Francesco al Catholic Junior College di Singapore, lo scorso 13 settembre 2024, sono su questa linea e, con tutto il rispetto che si deve al Papa, sono oggettivamente scandalose.
Il resoconto ufficiale del Vaticano riporta testualmente queste frasi di Francesco: "Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono - faccio un paragone - come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. "Ma il mio Dio è più importante del tuo!". È vero questo? C'è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood?" Capito?
La nostra risposta è immediata: no, Santo Padre, non abbiamo capito e non possiamo capire. La nostra religione e anche la storia della Compagnia di Gesù alla quale Lei appartiene, ci insegna tutt'altro.
La diocesi di Singapore, dove Lei ha fatto queste dichiarazioni, ha un illustre fondatore gesuita, san Francesco Saverio, che arrivò in Malacca, l'antico nome della zona, nel 1545. Nel 1558 il territorio venne elevato a diocesi, suffraganea di Goa, in India.
IL GESUITA SAN FRANCESCO SAVERIO
Francesco Saverio nato da nobili genitori nel 1506 in Navarra, studiò all'università di Parigi, dove ebbe come compagno di camera Ignazio di Loyola, che trasformò il giovane da studente modello a campione del Vangelo. Il 24 giugno 1537 fu ordinato sacerdote e nella primavera del 1539 fu tra i primi fondatori della Compagnia di Gesù. L'anno dopo, quando il re Giovanni III del Portogallo, chiese missionari per le colonie portoghesi, fu inviato in India dal Papa con il titolo di "Nunzio apostolico".
Giunto a Goa nel 1542, dopo un lungo e travagliato viaggio, passò per due anni di villaggio in villaggio, a piedi o su disagevoli imbarcazioni. esposto a mille pericoli, battezzando, fondando chiese e scuole, convertendo migliaia di abitanti, salutato ovunque quale santo e taumaturgo. Nel 1549 lasciò Goa per il Giappone, dove piantò i semi della fede cattolica. Il 17 aprile 1552, s'imbarcò per realizzare il suo ultimo progetto: portare il Vangelo in Cina. Nel corso dell'avventuroso viaggio approdò sull'isola di Sanciano, rifugio di pirati e contrabbandieri, dove si ammalò di polmonite, e privo com'era di ogni cura morì in una capanna il 3 dicembre dello stesso anno, dopo avere più volte ripetuto: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!".
Il suo corpo, due anni dopo, fu trasportato integro, prima a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù. La Chiesa del Gesù a Roma ne conserva un braccio, amputato per essere venerato accanto alla tomba di sant'Ignazio. Fu beatificato nel 1619 da Paolo V e canonizzato nel 1622 da Gregorio XV. La Chiesa ne ha fissato la festa liturgica il 3 dicembre e lo ha proclamato patrono delle Missioni.
San Francesco Saverio tradusse in cristianesimo vissuto le parole rivolte da Gesù agli Apostoli: "Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi invece non crederà, sarà condannato" (Mt. 16, 16). Le parole di Nostro Signore sono chiare: non c'è, ordinariamente salvezza, al di fuori del nome di Cristo. Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 40.000 pagani, aprendo loro le porte del Paradiso.
LA LETTERA E L'ATTO DI FEDE
In una celebre lettera del 15 gennaio 1544, san Francesco Saverio scrive da Goa: "Da quando arrivai qua non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l'hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l'ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il Regno dei cieli (...) moltissimi in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: ahimé quale gran numero d'anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato nell'inferno! Oh! Se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: Signore eccomi; che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, magari anche in India".
San Francesco Saverio ci ha anche lasciato un "Atto di fede" che merita di essere recitato in ginocchio e profondamente meditato in questi tempi di confusione:
"Credo, con tutto il mio cuore, tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, mi ordina di credere di Voi, o mio Dio! Dio unico in tre persone.
Credo tutto ciò che la Chiesa crede ed insegna del Figlio eterno del Padre, Dio come Lui, e che, per me, si è fatto uomo, ha sofferto, è morto, è risuscitato e regna nel cielo con il Padre e lo Spirito Santo.
Credo infine tutto ciò che la Chiesa santa, la nostra madre, mi ordina di credere. Ho la volontà ferma di perdere tutto, di soffrire tutto, di dare il mio sangue e la mia vita, piuttosto che di rinunciare a un solo punto della mia fede, nella quale voglio vivere e morire.
Quando verrà la mia ultima ora, la mia bocca fredda non potrà forse rinnovare l'espressione della mia fede; ma confesso, fin d'ora, per il momento della mia morte, che vi riconosco, o Gesù Salvatore! come Figlio di Dio. Credo in Voi, vi dedico il mio cuore, la mia anima, la mia vita, tutto me stesso. Amen". -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7882
LA SCOMUNICA, UNA PENA MEDICINALE CHE AFFONDA LE RADICI NEL VANGELO
La scomunica consiste nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione con la Chiesa (per stimolare il ravvedimento del colpevole)
di Giuseppe Comotti
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II, in molti ambienti ecclesiali era stato messo in discussione il sistema penale canonico, vale a dire la previsione da parte della Chiesa di "pene" da infliggere ai fedeli colpevoli di comportamenti particolarmente gravi, non qualificabili solamente come peccati sul piano morale, bensì come delitti sul piano giuridico, per via della loro rilevanza per l'intera comunità cristiana, analogamente a quanto avviene nell'ambito del diritto penale degli Stati. Tale sistema era infatti avvertito come espressione di un modello ecclesiale sorpassato, troppo simile a quello statuale e soprattutto antitetico al messaggio evangelico.
In quegli anni era in corso la revisione del Codice di diritto canonico: nel testo alla fine promulgato da san Giovanni Paolo II nel 1983, frutto della consultazione con l'episcopato mondiale, l'intero Libro VI era dedicato alla disciplina penale della Chiesa, che vide così confermata la compatibilità ed anzi l'intima connessione con la natura e la storia della comunità cristiana; nel nuovo Codice, peraltro, il ricorso all'inflizione di pene canoniche veniva presentato come extrema ratio, rimessa in sostanza alla valutazione dei singoli vescovi diocesani o dei superiori maggiori degli istituti di vita consacrata, quando avessero potuto constatare l'inutilità di altri strumenti suggeriti dalla sollecitudine pastorale per raggiungere quelli che nella Chiesa sono i fini propri della pena: la riparazione dello scandalo suscitato tra i fedeli dal comportamento delittuoso di un membro della comunità, il ristabilimento della giustizia violata, il ravvedimento del colpevole (cfr. can. 1341).
In realtà, nonostante la conferma teorica nel Codice del 1983, l'esercizio della funzione punitiva da parte dell'autorità ecclesiastica si fece sempre più raro nella pratica, almeno fino a quando, all'inizio degli anni 2000, la drammatica emersione del terribile fenomeno degli abusi del clero sui minori e l'incalzante attenzione ad esso riservata dall'opinione pubblica hanno suscitato un rinnovato interesse per il diritto penale canonico, facendo percepire quanto dannosi fossero stati per la Chiesa l'erronea e fuorviante contrapposizione tra giustizia e carità e il sostanziale abbandono del ricorso alle pene canoniche da parte dei pastori.
LA PENA DELLA SCOMUNICA
Fu così che san Giovanni Paolo II, nel 2001, riservò alla competenza esclusiva della Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede la trattazione di alcuni gravi delitti (tra cui l'abuso sessuale dei chierici sui minori); Benedetto XVI avviò poi nel 2007 una revisione della disciplina penale canonica, che è stata portata a termine da Francesco con la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice, avvenuta il 23 maggio 2021 mediante la costituzione apostolica Pascite gregem Dei.
Nel nuovo testo normativo continua ad essere prevista per alcuni gravi delitti la scomunica, la pena canonica più grave e peculiare del diritto della Chiesa, che affonda le proprie radici nell'epoca apostolica. La scomunica consiste, come dice il termine stesso, nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione ecclesiastica, cioè dalla partecipazione attiva alla vita della Chiesa: lo scomunicato non può celebrare né ricevere i sacramenti, né può celebrare i sacramentali o compiere altre cerimonie del culto liturgico; gli è inoltre proibito esercitare uffici, incarichi ministeri o altre funzioni ecclesiastiche (can. 1331 §1).
La pena della scomunica riguarda ovviamente solo i cattolici e non si applica quindi ai fedeli di altre confessioni cristiane; come per ogni delitto canonico, l'applicazione della scomunica presuppone che il colpevole abbia compiuto 16 anni e che il comportamento delittuoso sia a lui gravemente imputabile per dolo, che cioè egli lo abbia commesso con piena consapevolezza e libera volontà. Attualmente non è prevista la scomunica per delitti colposi, commessi cioè per negligenza o superficialità.
Una peculiarità del sistema penale canonico è che non sempre l'applicazione della scomunica richiede una previa pronuncia di condanna da parte della competente autorità (si parla in tal caso di scomunica ferendae sententiae), ma nelle ipotesi espressamente previste dalla legge ecclesiastica vi si può incorrere automaticamente (latae sententiae), per il semplice fatto di avere commesso il delitto. In tal caso, la pronuncia di condanna da parte dell'autorità competente è solo eventuale e semplicemente dichiarativa del fatto che un fedele è già incorso nella scomunica; agli effetti pratici, peraltro, in assenza di una pronuncia espressa dell'autorità ecclesiastica, chi è incorso nella scomunica latae sententiae è chiamato in coscienza ad "autoapplicarsi" la pena, specie nel caso in cui il delitto sia occulto, cioè non conosciuto dalla comunità.
Questo aspetto della scomunica ne evidenzia la peculiare natura di pena medicinale, volta cioè principalmente non tanto a punire, bensì a "curare" il colpevole, facendogli percepire - nel suo stesso interesse - l'estrema gravità del proprio comportamento ed indurlo in tal modo a desistere dallo stesso ed a convertirsi.
In ragione di tale finalità, la pena della scomunica non è per sua natura perpetua né è mai stabilita per un periodo predeterminato, ma a tempo indefinito, venendo meno una volta raggiunto lo scopo, cioè il pentimento ed il fattivo ravvedimento del colpevole.
SCOMUNICA E PENE ESPIATORIE
In questo la scomunica si distingue dalle cosiddette pene "espiatorie", nelle quali è più evidente la finalità di riparare lo scandalo provocato e ristabilire la giustizia violata, indipendentemente dal fatto che il colpevole si sia nel frattempo sinceramente pentito. Ad esempio, per il delitto di atti sessuali compiuti da un membro del clero con persone minori non è prevista la scomunica, ma - nei casi più gravi - la dimissione dallo stato clericale: è una pena espiatoria, che comporta la privazione in perpetuo dei diritti e doveri discendenti dall'ordine sacro; se anche il colpevole manifestasse un sincero pentimento, la sua esclusione definitiva dall'esercizio del ministero sacerdotale può infatti rivelarsi l'unico strumento adatto a riparare lo scandalo suscitato nella comunità cristiana e ristabilire la giustizia, soprattutto nei confronti delle vittime.
Il Codice di diritto canonico, pur lasciando spazio alla previsione di altri casi di scomunica da parte dei vescovi diocesani con proprie leggi, espressamente stabilisce la scomunica latae sententiae per i più gravi delitti contro la fede e l'unità della Chiesa (can. 1364 §1), che sono - sin dall'antichità - l'apostasia (cioè il ripudio totale della fede cristiana), l'eresia (l'ostinata negazione di una verità di fede), lo scisma (il deliberato rifiuto di riconoscere l'autorità del Romano Pontefice). Tra i delitti contro le autorità ecclesiastiche, l'unico per il quale si incorre nella scomunica latae sententiae è quello commesso da chi usa violenza fisica nei confronti della persona del Papa (can. 1370 §1).
Diversi sono invece i casi riguardanti i delitti contro i sacramenti: la profanazione delle specie eucaristiche (can. 1382 §1); l'assoluzione da parte del confessore di chi è stato suo complice in un peccato contro il sesto comandamento (can. 1384); la violazione diretta da parte del confessore del sigillo sacramentale (can. 1386 §1): la consacrazione di un vescovo senza mandato pontificio (can. 1387) nonché l'attentato conferimento dell'ordine sacro ad una donna (can. 1379 §3).
Tutti questi delitti sono riservati alla Sede Apostolica, per cui la remissione della scomunica spetta unicamente ad essa (normalmente al Dicastero per la Dottrina della Fede o alla Penitenzieria Apostolica, salvo che intervenga direttamente il Pontefice).
SCOMUNICA LATAE SENTENTIAE
Tra i delitti contro la vita, il Codice prevede la scomunica latae sententiae per chi procura volontariamente l'aborto (can. 1397 §2); nel 2016 papa Francesco, a conclusione del Giubileo della Misericordia, ha concesso a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno commesso questo delitto, in precedenza attribuita solo al vescovo diocesano.
Mentre in articulo mortis ogni sacerdote può rimettere qualsiasi tipo di censura, compresa la scomunica, normalmente (salvo i casi riservati alla Santa Sede) la remissione spetta all'ordinario che ha promosso il giudizio penale o all'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato, qualora la scomunica sia stata pronunciata con sentenza; se si tratta invece di scomunica latae sententiae non ancora dichiarata, essa può essere rimessa dall'ordinario ai propri sudditi (cioè dal vescovo diocesano oppure dal vicario generale ai fedeli della propria diocesi) o dall'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato. Qualsiasi vescovo in sede di confessione sacramentale può rimettere una scomunica non ancora dichiarata, purché non riservata alla Santa Sede.
Ovviamente, la scomunica raggiunge il suo scopo se ad essa consegue il ravvedimento del colpevole, che è dunque la condizione imprescindibile affinché tale pena possa essere rimessa ed ogni pentimento, se è sincero, non può escludere la disponibilità effettiva a fare il possibile per riparare lo scandalo provocato ed a risarcire i danni causati.
In tali finalità intrinsecamente connesse trova ragione ultima l'intero sistema penale canonico, che, come incisivamente ha sottolineato papa Francesco nella già citata costituzione apostolica Pascite -
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IN GERMANIA 500.000 PERSONE IN UN ANNO HANNO LASCIATO LA CHIESA di Federica di Vito
Quasi mezzo milione di persone hanno lasciato la chiesa in Germania nell'ultimo anno. Non è certo questa la notizia, visto che è una tendenza in corso ormai da anni. Il dato di fatto da cui partire è che proprio laddove si è maggiormente annacquato il messaggio di Gesù Cristo perdendosi dietro a un annuncio indefinito e sempre più vicino al mainstream i fedeli scappano. E nessuno di quei "lontani" a cui sembrano indirizzarsi tutti gli sforzi di evangelizzazione si avvicina.
Lo scrittore tedesco Veit Etzold, CEO coach e consulente di strategia e storytelling per aziende con esperienza nel settore bancario, assicurativo, della consulenza strategica e della formazione dei dirigenti, professore presso l'Università di Aalen scrive: «Una volta Gesù Cristo disse a Pietro: "Pietro, qual è la tua professione?". E Pietro rispose: "Sono un pescatore". Gesù allora disse: "D'ora in poi sarai un pescatore di uomini. Su di te costruirò la mia Chiesa". Essere pescatori di uomini significa ispirare il maggior numero di persone possibile. Un chiaro compito di vendita per il direttore commerciale Pietro. Oggi, invece, "vendere" per le chiese significa "allontanare" il maggior numero possibile di persone. Non lo si fa se si perde meno di mezzo milione di "clienti" all'anno. Qualsiasi direttore delle vendite responsabile di cifre così disastrose sarebbe stato licenziato tre volte nel mondo degli affari».
La sua visione, seppur riferita soprattutto alla situazione della Chiesa in Germania, può tranquillamente essere allargata all'intera situazione della Chiesa in Occidente. «La gente non se ne va perché la Chiesa non è abbastanza contemporanea», spiega Etzold, «al contrario: la Chiesa sta cercando di ingraziarsi il mainstream verde-sinistro fino al punto di ottenere un auto-abbandono. I congressi della Chiesa si stanno trasformando in eventi politici e la Chiesa sta cercando di essere attraente per le persone che non hanno altro che disprezzo per la religione e non vanno mai in chiesa. In questo modo, la Chiesa si rivolge a un gruppo target che non esiste nemmeno, allontanando allo stesso tempo i suoi fedeli abituali».
Tanto più in un momento storico in cui l'uomo non sa che volto dare a Dio, è importante che sia la Chiesa ad annunciare che quel volto è lo stesso di Gesù Cristo morto e risorto per noi. Seppur va riconosciuta la buona fede, la tendenza di molti vescovi sembra essere quella di creare una rappresentazione indefinita e rispondente ad aspettative umane di misericordia a basso costo e garantita a priori. Vano sarà l'annuncio di salvezza di Gesù Cristo se teniamo solo i «molti chiamati» e tagliamo fuori la parte sui «pochi eletti». Che la Chiesa possa riscoprire «l'essenza del suo marchio», per usare le parole del professor Etzold, caratterizzato dalla provvidenziale missione di annunciare la verità evangelica con zelo e amore. Solo così fioriranno credenti che potranno essere a loro volta santi e martiri. -
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IL CATECHISMO INIZIA A CASA CON I GENITORI di Don Stefano Bimbi
Quando ero bambino mia nonna non mi chiedeva se fossi stato al catechismo, ma alla dottrina. All'epoca pensavo che fosse semplicemente una parola desueta e che mia nonna parlasse così perché era di un'altra generazione. Nel tempo ho dovuto però scoprire che dietro alla parola dottrina c'era un mondo: il mondo delle verità della fede cattolica. Forse oggi si preferisce la parola catechismo al posto di dottrina perché non si ha il coraggio di dire che vogliamo indottrinare. Anzi questa parola è scomparsa perché considerata negativamente come se indicasse la volontà di inculcare con la forza concetti astratti e calati dall'alto. Si dovrebbe invece, dicono i moderni catechisti, fare una esperienza di fede, comunicare la gioia del cristianesimo, camminare insieme a una comunità. Tutte cose molto belle, ma c'è da chiedersi se questi discorsi buonisti, omettendo di insegnare la dottrina, possano reggere agli urti della vita. Se torniamo a cento anni fa, quando nelle parrocchie si insegnava il catechismo di San Pio X con le sue domande semplici e le relative illuminanti risposte, in molte parrocchie si facevano delle gare tra i ragazzi per imparare a memoria le cose più importanti: i dieci comandamenti, i novissimi (morte, giudizio, paradiso, inferno), i precetti generali della Chiesa, le opere di misericordia corporale e spirituale, le virtù cardinali e teologali, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, i vizi capitali, i peccati contro lo Spirito Santo. Ovviamente queste cose non venivano solo imparate a memoria, ma spiegate con esempi pratici tratti dall'imperdibile commento di padre Carlo Dragone (tuttora in commercio).
LA SITUAZIONE ODIERNA
Quale è oggi invece la situazione? Al catechismo si parla di tutto eccetto che di dottrina cristiana. Cartelloni e disegni, canti e balli, discussioni su argomenti di attualità o tratti dal telegiornale... tutto pur di non apparire scolastici, salvo poi scoprire che il Mondo non perde tempo e insegna ai bambini la sua dottrina, non solo con le scuole dello Stato, ma anche con la televisione e internet.
Purtroppo il genitore medio si affida alla parrocchia più vicina salvo poi scoprire che la dottrina cristiana non è stata insegnata, ma che addirittura i catechisti espongono argomenti che sono il contrario di quanto insegna la Chiesa o addirittura vivono situazioni in contrasto con tale insegnamento. Eppure il catechista non può parlare a nome proprio, ma deve insegnare a nome della Chiesa e infatti non può autonominarsi catechista, né dire diversamente da quanto insegna la Chiesa. La scelta dei catechisti e la loro formazione è un compito del parroco in quanto responsabile della corretta trasmissione della fede nella sua parrocchia. Ma a volte il problema è già il parroco che non insegna correttamente la dottrina cristiana.
COME COMPORTARSI CON I PROPRI FIGLI?
Come fare allora? Innanzitutto chiariamo che non c'è alcun obbligo di frequentare la parrocchia del proprio territorio. Ognuno è libero di scegliere dove compiere il proprio cammino spirituale (come abbiamo ricordato nel numero di marzo su La Bussola Mensile). Pertanto se uno è fortunato ad avere quello che cerca nella parrocchia a dieci minuti di distanza va benissimo, così come sarebbe accettabile se fossero ne necessari trenta o più. È uno sforzo che sempre più spesso dobbiamo essere disposti a fare se desideriamo garantire a noi stessi e ai nostri figli un'educazione cristiana e umana appropriata. Ovviamente ci si può chiedere se i ragazzi avranno problemi di socializzazione, ma lo scopo del catechismo è l’apprendimento della dottrina cristiana, mentre per socializzare si possono invitare gli amici dei figli a casa. Ma se nemmeno facendo un po' di chilometri si riesce a trovare una parrocchia adatta? Non si può certo andare tutte le settimane in un'altra regione, ma prima di far frequentare inutilmente un ambiente ostile alla dottrina cristiana si può fare la scelta di insegnarla direttamente ai propri figli. Non è una cosa strana, ma la realizzazione di un dovere molto importante. Ogni genitore deve ricordarsi delle promesse fatte il giorno del matrimonio, quando il sacerdote chiede: «Siete disposti ad accogliere con amore, i figli, che Dio vorrà donarvi e educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?» Ebbene, i genitori si sono impegnati a educarli non secondo la Costituzione italiana e l'agenda 2030, ma secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa. Di Cristo. E della sua Chiesa. Se si lascia frequentare ai figli una parrocchia che insegna secondo il Mondo, come si può avere la coscienza tranquilla?
I SACRAMENTI
E i sacramenti come si fa ad averli? Per la cresima basta trovare un parroco che comprenda il problema. Ne conosceremo almeno uno in tutta Italia! Poi occorre essere disposti a fare diversi chilometri per ricevere il sacramento che farà dei figli dei soldati di Cristo. Per quanto riguarda la prima comunione e la prima confessione è ancora più semplice. Si può cercare appunto una parrocchia disposta a celebrare con dignità questo sacramento, come per la cresima. Oppure si può anche far fare al figlio la prima comunione in maniera non solenne in una qualunque chiesa durante una normale Messa. Ovviamente in tal caso va preparato bene dal genitore soprattutto con il suo stesso esempio nel vivere la fede. Tornando poi nella parrocchia dove si frequenta normalmente la Messa il figlio può fare tranquillamente la comunione e la confessione. Nessun sacerdote può negare i sacramenti a chi non ha fatto la prima comunione o la prima confessione nella sua parrocchia.
Come si vede è finita la fede automatica o a chilometro zero. Chi si è impegnato il giorno del matrimonio ad educare i figli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa e poi non ha fatto la fatica di realizzare quanto promesso cosa risponderà al cospetto di Dio nel giorno del giudizio? -
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L'IMPORTANZA DELL'INGINOCCHIARSI NELLA PREGHIERA di Andrea Zambrano
Il primo segnale fu la sostituzione dei vecchi banchi con nuove panche sprovviste di inginocchiatoio. Bisognava capirlo fin da subito che l'arredamento liturgico era una spia che qualcosa stava cambiando. E fu così che tante chiese, dopo la riforma liturgica, si adeguarono al nuovo corso: per pregare basta stare in piedi, via con queste anticaglie preconciliari! E fu così che, lentamente, lo stare in ginocchio come atto di adorazione di fronte a Dio è stato sostituito dal più comodo e pratico stare in piedi. "Da risorti", si tende a dire, perché questo è l'atteggiamento che si deve tenere a Messa: semmai è una comoda scusa.
Oggi sempre meno fedeli pregano stando in ginocchio durante i momenti salienti della Preghiera eucaristica e sempre meno, quasi nessuno, si inginocchia per ricevere la Santa Comunione. Fedeli tutti affetti da gonalgia? E che dire dei sacerdoti che non si inginocchiano durante la consacrazione? Anche per loro un improvviso dolore alle gambe, da curare stando in piedi? O forse non è piuttosto che nel tempo si è persa la funzione principale dell'inginocchiarsi di fronte a Dio: quella dell'adorazione, che gli antichi chiamavano "proskynesis" e che stava a simboleggiare l'atto di sottomissione di fronte a Dio e poi al sovrano. La parola deriva dal greco "proskyneo" che significa sì sottomettersi, ma anche adorare. Dunque, inginocchiarsi significa adorare. Non farlo suscita il terribile sospetto che non ci sia più la consapevolezza di questa adorazione dovuta a Dio.
Pigrizia? Perdita di conoscenza? O non è forse piuttosto un atto di totale rifiuto del sacro dell'Eucarestia come presenza reale di Dio?
Eppure, tanto la Scrittura quanto la vita dei santi raccomandano di stare in ginocchio quando si prega.
L'ESEMPIO DI GESÙ
A cominciare proprio da Gesù, sommo exemplum non solo con le sue parole, ma anche con i suoi gesti, che nell'Orto degli Ulivi, ossia nel momento della sua vita terrena in cui la preghiera al Padre si concretizzava nell'offerta del suo corpo e del suo sangue, pregava in ginocchio. «Ed egli (Gesù) si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava» (Lc 22,41). Il testo greco non lascia spazio ad ambiguità. «Thèis tà gònata», letteralmente «si poneva sulle ginocchia».
Nell'antica Grecia, soprattutto in Omero, i verbi di posizione associati agli dei e alle ginocchia esprimono il significato figurato di stare sulle ginocchia degli dei, ossia nel volere degli dei. Ne consegue che la preghiera in ginocchio non esprime soltanto il senso di adorazione, ma anche quello di mettersi sulle ginocchia di Dio, proprio come un bambino, che sulle ginocchia del babbo, è protetto e consolato.
Non che Gesù abbia inventato alcunché. La Scrittura è piena zeppa di personaggi che pregano in questo modo. Elia e Daniele servono Dio pregando in ginocchio: «...Gettatosi a terra, si mise la faccia tra le ginocchia» (1 Re 18,42) e «...Daniele (...) tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchi, pregava e rendeva grazie al suo Dio» (Dan 6,10). Uomini del tempo che furono, si dirà, che ancora avevano ben impresso nella memoria il comando che Dio stesso diede tramite Isaia: «Ogni ginocchio si piegherà davanti a me», da cui poi San Paolo dirà «affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra» (Fil 2,10). Infatti, quella di stare in ginocchio era una pratica che i primi cristiani adottarono subito senza grossi problemi, e con cotanti "maestri" non era difficile. A cominciare da Stefano che nel momento del martirio si mise in ginocchio (At 7,60). E come lui anche Pietro (At 9,40) e Paolo (At 20,36).
DA PAPA BENEDETTO XVI AL CARDINAL SARAH
Insomma, siamo arrivati a oggi rifiutando lo stare alla presenza di Dio? Eppure, di consigli ne abbiamo avuti. Da Benedetto XVI, ad esempio, che riprese a comunicare personalmente e pubblicamente i fedeli in ginocchio durante le Messe papali a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, quando ricordò "quasi scandalosamente" che «inginocchiarsi davanti all'Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento». Basterebbe questo. Ma se non bastasse potrebbe venire in soccorso anche il magistero.
L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, al numero 65, ricorda che una manifestazione di riverenza verso l'Eucaristia è «l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica», mentre l'istruzione Redemptionis Sacramentum ricorda - e ribadisce, visti i tempi - che «i fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi» salvo poi che «quando però si comunicano in piedi, si raccomanda che facciano la debita riverenza». E, quasi precorrendo i tempi e certi plateali rifiuti che oggi umiliano molti fedeli «non è lecito negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione che egli vuole ricevere l'Eucaristia in ginocchio».
Del resto, pochi cardinali come Robert Sarah hanno insistito più volte nella loro predicazione pubblica proprio su questi aspetti. E lo hanno fatto ponendo come esempio grandi santi contemporanei, proprio per mostrare l'attualità necessaria di questa postura. «L'intera vita di Karol Wojtyła - dice Sarah nella prefazione al libro di don Federico Bortoli La distribuzione della Comunione sulla mano. Profili storici, giuridici e pastorali (Cantagalli, Siena 2018) - è stata segnata da un profondo rispetto per la Santa Eucaristia. Malgrado fosse estenuato e senza forze si è sempre imposto di inginocchiarsi davanti al Santissimo».
E che dire di Santa Madre Teresa di Calcutta? «Si asteneva dal toccare il Corpo transustanziato del Cristo; piuttosto ella lo adorava e lo contemplava, rimaneva per lungo tempo in ginocchio, prostrata davanti a Gesù Eucaristia». E ancora: «Riceveva la Comunione nella sua bocca, come un piccolo bambino che si lasciava umilmente nutrire dal suo Dio». -
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LO SPIRITO ROMANO DELLA CHIESA CATTOLICA di Roberto de Mattei
Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico, che può ripetere «civis romanus sum» (Cicerone, In Verrem, II, V, 162), rivendicando una cittadinanza spirituale che ha come confini geografici quelli non di una città, ma di un Impero: non l'Impero dei Cesari, ma quello della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Un tempo i vescovi delle diocesi più lontane mandavano i loro seminaristi e sacerdoti a Roma, non solo per studiare nelle migliori facoltà teologiche, ma per acquisire questa romanitas spirituale. Per questo Pio XI, rivolgendosi ai professori e agli studenti della Gregoriana, così si esprimeva: «La vostra presenza Ci dice che la vostra suprema aspirazione, come quella dei vostri Pastori che qui vi inviarono, è la vostra formazione romana. Che questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande Poeta - non solo italiano, ma di tutto il mondo, perché poeta della filosofia e teologia cristiana (Dante, n.d.r.) - proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l'opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli» (Discorso del 21 novembre 1922).
Lo "spirito romano" non si studia sui libri, ma si respira in quell'atmosfera impalpabile che il grande polemista cattolico Louis Veuillot (1813-1883) chiamava «le parfum de Rome»: un profumo naturale e soprannaturale che emana da ogni pietra e memoria raccolta nel lembo di terra in cui la Provvidenza ha posto la Cattedra di Pietro. Roma è allo stesso tempo uno spazio sacro e una sacra memoria, una "patria dell'anima" come la definiva un contemporaneo di Veuillot, lo scrittore ucraino Nikolaj Gogol, che visse a Roma, a via Sistina, tra il 1837 e il 1846.
LA CITTÀ CHE OSPITA LE TOMBE DEI SANTI DI DUE MILLENNI
Roma è la città che ospita le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, è la necropoli sotterranea che nelle sue viscere contiene migliaia di cristiani. Roma è il Colosseo, dove i martiri affrontarono le belve feroci; è San Giovanni in Laterano, ecclesiarum mater et caput, dove si venera il solo osso di sant'Ignazio risparmiato dai leoni. Roma è il Campidoglio, dove Augusto fece innalzare un altare al vero Dio che stava per nascere da una Vergine e dove fu elevata la basilica dell'Aracoeli, in cui riposa il corpo di sant'Elena, l'imperatrice che ritrovò le reliquie della Passione oggi custodite nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Roma sono le vie, le piazze, le case e i palazzi, dove vissero e morirono santa Caterina da Siena e santa Francesca Romana, sant'Ignazio e san Filippo Neri, san Paolo della Croce e san Leonardo da Porto Maurizio, san Gaspare del Bufalo e san Vincenzo Pallotti, san Pio V e san Pio X. A Roma puoi visitare le stanze di santa Brigida di Svezia a piazza Farnese, di san Giuseppe Benedetto Labre a via dei Serpenti, di san Stanislao Kotska a S. Andrea al Quirinale. Qui puoi venerare la culla di Gesù bambino a santa Maria Maggiore, il braccio di san Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù, il piede di santa Maria Maddalena nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini.
Roma ha subito flagelli di ogni ordine nella sua lunga storia: fu messa a sacco dai Goti nel 410, dai Vandali nel 455, dagli Ostrogoti nel 546, dai Saraceni nell'846, dai Lanzichenecchi nel 1527. La invasero i giacobini nel 1799 e i piemontesi nel 1870, fu occupata dai nazisti nel 1943. Roma porta nel suo corpo le cicatrici di queste profonde ferite, e di altre ancora, come la Peste Antonina (180), la Peste Nera (1348), l'epidemia di colera del 1837 e l'influenza spagnola del 1917. Secondo lo storico americano Kyle Harper (Il destino di Roma, Einaudi, Torino 2019), il crollo dell'Impero romano non fu causato solo dalle invasioni barbariche ma anche dalle epidemie e dagli sconvolgimenti climatici che caratterizzarono il periodo che va dal secondo al sesto secolo dopo Cristo. Queste guerre ed epidemie, anche nei secoli successivi, furono sempre interpretate come castighi divini. Così Ludwig von Pastor scrive che universalmente, presso gli eretici e presso i cattolici, «si vide nel terribile Sacco di Roma un giusto castigo del Cielo sulla capitale della cristianità sprofondata nei vizi» (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 582). Ma Roma sempre si rialzò, purificata e più forte, come nella medaglia che nel 1557 fece coniare Paolo IV, dedicata a Roma resurgens, dopo una terribile carestia. Di Roma si può dire quello che si dice della Chiesa: impugnari potest, expugnari non potest: sempre combattuta, mai abbattuta.
COSA FARE OGGI
Per questo, nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo sollevare lo sguardo verso la Roma nobilis, la cui luce non tramonta: la nobile Roma, che un antico canto di pellegrini saluta come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini: «O Roma nobilis, orbi et domina, Cunctarum urbium excellentissima, Roseo martyrum sanguine rubea, Albi et virginum liliis candida».
La Roma cristiana raccoglie ed eleva sul piano soprannaturale le qualità naturali della Roma antica. Lo spirito del romano è quello dell'uomo giusto e forte, che affronta con calma e imperturbabilità le situazioni più avverse. Il romano è l'uomo che non si lascia scuotere dal furore che lo circonda, è l'uomo che rimane impavido, anche se l'universo cade in frantumi sopra di lui: «si fractu inlabatur orbis, impavidum feriant ruinae» (Orazio, Carme III, 3). Il cattolico che eredita questa tradizione, afferma Pio XII, non si limita a rimanere in piedi nelle rovine, ma si sforza di ricostruire l'edificio abbattuto, impiega tutte le sue forze nel seminare il campo devastato (Allocuzione alla Nobiltà romana del 18 gennaio 1947).
Lo spirito romano è uno spirito fermo, combattivo, ma prudente. La prudenza è il retto discernimento intorno al bene e al male e non riguarda il fine ultimo dell'uomo, che è oggetto della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. La prudenza è dunque la sapienza pratica della vita e tra le virtù cardinali è quella che occupa il posto centrale e direttivo. Perciò san Tommaso la considera il coronamento di tutte le virtù morali (Summa Theologiae, II-II, q. 166, 2 ad 1).
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città. Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: "Regina Coeli, laetare, Alleluja - Quia quem meruisti portare, Alleluja - Resurrexit sicut dixit, Alleluja!". San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l'armonia che ancora risuona da un capo all'altro dell'orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un'immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili. -
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TUTTI HANNO BISOGNO DI UN PADRE SPIRITUALE di Don Stefano Bimbi
Per progredire nella vita cristiana è necessario un padre spirituale che possa guidarci nel cammino. Se dobbiamo andare per i sentieri di una montagna a noi ignota, sarà buona norma avere una guida esperta in modo da non perderci. Analogamente nella vita spirituale abbiamo bisogno di chi abbia percorso prima di noi i sentieri dello spirito. Non possiamo fare da soli perché siamo coinvolti emotivamente nelle nostre vicende. Non siamo obiettivi quando giudichiamo noi stessi poiché l'amor proprio ci annebbia la vista e siamo propensi a scegliere ciò che è più comodo o che ci piace di più. Insomma abbiamo bisogno di un punto di vista oggettivo al di fuori di noi.
Chi è dunque il padre spirituale? È un sacerdote a cui apriamo il nostro cuore affinché diventi il nostro maestro, il medico che ci cura, il riferimento per tutto ciò che riguarda Dio nella nostra vita. Egli ci mostrerà i vizi che ci impediscono di progredire, le mete che sono alla nostra portata e i mezzi per raggiungere tali traguardi. Potrà incoraggiarci quando siamo sfiduciati, sgridarci quando siamo tiepidi, consolarci quando siamo afflitti. È davvero una grazia speciale poter contare su di lui, ma non soltanto come uomo, bensì come strumento che ci porta a Cristo.
Nel Signore degli Anelli, quando si riuniscono i principali rappresentanti dei popoli per prendere l'importante decisione su cosa fare dell'anello del potere, Frodo afferma con coraggio che sarà lui a prenderlo, per compiere l'impresa di distruggerlo, però aggiunge umilmente: «ma non conosco la strada». Anche noi dobbiamo sinceramente riconoscere che non conosciamo la strada per progredire nella vita spirituale. Questo è confermato dal fatto che tutti i santi hanno avuto bisogno del padre spirituale. San Paolo ha avuto Anania a guidarlo nei primi passi della fede. Avrebbe potuto dire: «Non ho bisogno di una guida spirituale dal momento che Gesù Cristo in persona mi ha parlato sulla via di Damasco», eppure non l'ha detto. Santa Caterina da Siena ha avuto come padre spirituale il beato Raimondo da Capua. Avrebbe potuto dire: «Gesù mi parla direttamente, sono la sua sposa e non ho bisogno di intermediari», eppure non l'ha detto.
CHI SCEGLIERE COME PADRE SPIRITUALE
Chiarito quindi che abbiamo bisogno di un padre spirituale si pone adesso la domanda su chi scegliere. Innanzitutto è preferibile che sia un sacerdote. Nella storia ci sono state delle eccezioni come, ad esempio, San Francesco d'Assisi. In rari casi sono state perfino delle donne come Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d'Avila. Si tratta comunque di rarissime eccezioni. La regola è un sacerdote perché, in quanto tale, ha la grazia di stato, in virtù della sua ordinazione. Purtroppo oggi con il femminismo imperante e la parità di genere esaltata come un bene, capita di sentir dire: «Ho una madre spirituale». Ma visto che poiché scarseggiano le sante come Caterina e Teresa, bisogna ricordare che Santa Faustina Kowalska ha scritto che non trovava l'aiuto che poi avrebbe ricevuto dal suo padre spirituale, finché lo cercava nella superiora del convento. Costanza Miriano, autrice del libro Sposati e sii sottomessa, ha scritto: «mi conosco abbastanza da sapere che non mi devo sempre totalmente fidare di me stessa, delle mie emozioni, delle mie intuizioni, ed è per questo che ho una guida spirituale. Che non è solo una persona intelligente, è anche un sacerdote».
Occorre dunque chiedere nella preghiera il dono di un buon padre spirituale e bisogna aver chiaro che nella vita spirituale è il contrario di quello che succede quando si nasce. Infatti siccome la madre è sempre certa, o almeno lo era prima della fecondazione artificiale e dell'utero in affitto, il padre deve riconoscere il figlio registrandolo all'anagrafe e confermando la sua paternità il giorno del battesimo. Invece nella vita spirituale non è il padre che riconosce il figlio, ma il contrario. È il figlio che riconosce il padre. Lo stima, si sente capito, lo vede come un esempio di fede. Bisogna quindi diffidare di un sacerdote che dicesse che ci vuole guidare spiritualmente. È il fedele che deve chiedere al sacerdote di fargli da padre spirituale. E nessuno può essere costretto ad avere un padre spirituale che non ha scelto. Nemmeno un seminarista può essere costretto a prendere come padre spirituale il sacerdote che confessa i seminaristi, ma può mantenere quello che aveva prima di entrare in seminario. Un consiglio pratico per trovare il padre spirituale: dopo averlo chiesto nella preghiera, ci si confessa da più sacerdoti per poi scegliere quello che ci ispira più fiducia, che deve essere un uomo di preghiera e senza ombra di dubbio fedele alla Chiesa. Se invece ha opinioni contrarie all'insegnamento di sempre della Chiesa, se parla male della Chiesa come istituzione, se non riconosce il Papa come Papa o infine se nega l'importanza dei sacramenti o della preghiera, allora è certo che non può essere un buon padre spirituale, e nemmeno un buon sacerdote. Pertanto non si deve pensare che tutti i sacerdoti possano fare da padre spirituale e che è solo questione di trovare quello adatto alle proprie inclinazioni. Gesù avvertiva del rischio di avere delle guide cieche. «E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14). San Francesco di Sales scriveva che Santa Teresa d'Avila diceva di scegliere il padre spirituale tra mille sacerdoti, ma «io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica capaci di tale compito» (Filotea, parte prima, cap. IV). Con questo faceva capire quanto è difficile trovare un sacerdote adatto al compito di padre spirituale. E noi che pensiamo di vivere solo oggi tempi difficili!
UN RISCHIO GRAVE
Sbagliando la scelta del padre spirituale si rischia molto. Santa Faustina Kowalska notava infatti nel suo Diario che «un confessore può essere di grande aiuto per un'anima, ma può anche procurarle molto danno». Ed è proprio così. Può capitare ad esempio che un sacerdote incoraggi alla vita religiosa ragazzi e ragazze, ma solo spinto dal desiderio di avere una vocazione tra le proprie pecorelle. Così è facile rovinare la loro vita. Oppure a una persona sposata che sia convinta di aver fatto ampiamente il suo dovere di genitore mettendo al mondo tre figli, il padre spirituale che rafforzasse tale convinzione farebbe un grave danno. Infatti il giorno del matrimonio gli sposi si impegnano solennemente con un sì alla domanda "Siete disposti ad accettare i figli che Dio vorrà donarvi?". Confermando l'erronea convinzione che siano gli sposi a decidere il numero dei figli e non piuttosto Dio, la direzione spirituale si trasformerebbe in una negazione dei doveri di stato dei coniugi e il dovere di stato del sacerdote di condurre le anime alla maggior perfezione spirituale possibile.
Ci si potrebbe chiedere se sia possibile avere più di un padre spirituale, ma bisogna rispondere negativamente. In tal caso si potrebbero avere più pareri discordanti ed allora anziché rasserenare e dare sicurezza, la direzione spirituale si rivelerebbe fonte di ansie e dubbi. Ovviamente può darsi che per questioni specifiche particolarmente difficili si possa ricorrere a pareri di altri sacerdoti competenti per quella materia e lo stesso padre spirituale potrebbe suggerire in tali casi eccezionali di sentire un altro consiglio. Ma a parte queste eccezioni la regola è che il padre spirituale sia uno e uno solo.
Non bisogna mai dimenticare che il padre spirituale aiuta il fedele a prendere le decisioni con consigli ed esortazioni, ma non si sostituisce a lui. Le decisioni le prende il fedele, non il padre spirituale, che non è un guru. Sebbene sia sostenuto dalla preghiera del padre spirituale, la fatica del cammino spirituale rimane a carico del diretto. È come nello sport, quando la fatica delle esercitazioni rimane a carico dello sportivo e non dell'allenatore. Se non ci sono progressi, prima di pensare di cambiare padre spirituale, ci si deve domandare se davvero ci stiamo impegnando al massimo. Inoltre cambiare padre spirituale quando dice cose diverse da quelle che ci si aspetta è segno che non si sta facendo direzione spirituale, ma che si cerca un sacerdote che dica quello che vogliamo noi al pari della strega di Biancaneve che, dallo specchio, voleva solo sentirsi dire che era la più bella del reame.
INCONTRO IN PRESENZA E REGOLARITÀ NEGLI INCONTRI
Sebbene esistano delle eccezioni, è chiaro che la direzione spirituale necessita di un incontro in presenza in quanto né i messaggi via mail o whatsapp, né i collegamenti via streaming, possono mai sostituire l'incontro di persona che permette di capire le sfumature che, a volte, sono determinanti.
Perché la direzione spirituale sia efficace occorre una certa regolarità negli incontri. Infatti la costanza viene sempre premiata. Lo studente e lo sportivo sanno che è la regolarità la ricetta per il successo, scolastico o sportivo che sia. Anche nelle difficoltà - per esempio: poco tempo libero per i tanti impegni, un esame scolastico vicino, un eccesso di carico lavorativo, un periodo di stanchezza fisica o mentale - è importante mantenere il ritmo dell'incontro con il padre spirituale. All'inizio del cammino sarà necessario una volta al mese, mentre in seguito sarà possibile diradare gli incontri.
Il padre spirituale non è un "prete per chiacchierar..." come cantava Celentano nella canzone Azzurro. Se si chiede un consiglio al padre spirituale su una determinata questione, poi si è obbligati in coscienza a tenere conto de - Visa fler