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Tutti sanno che il termine democrazia è di origine greca e che furono i Greci i primi a sperimentare il regime democratico. Oggi la democrazia per noi è un valore così ovvio, che ci stupisce scoprire come lungo tutta la nostra storia, dall'Antichità fino all'epoca delle rivoluzioni, molti pensatori abbiano affermato con la massima convinzione che era un male da evitare a tutti i costi. Ma quella che oggi continuiamo a chiamare democrazia, perché non abbiamo un'altra parola, è ancora davvero la stessa cosa che intendevano i Greci?
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Nella cultura politica odierna il totalitarismo è identificato con le due più feroci dittature del Novecento, il nazismo e lo stalinismo. Pochi ricordano che il termine è stato inventato in Italia per definire la dittatura fascista: coniato dagli avversari e inteso in senso critico, il totalitarismo venne rivendicato e assunto a programma da Mussolini. Analizzare i motivi per cui in realtà il fascismo in Italia non riuscì mai a costruire un regime veramente totalitario è un modo per esplorare l'intrinseca diversità della società italiana e la sua irriducibilità a un paradigma omogeneo.
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Nella storia si incontrano società interamente basate sulla schiavitù, come l'Impero Romano o il Sud degli Stati Uniti prima della Guerra di Secessione, e altre in cui gli schiavi sono presenti pur senza avere un ruolo centrale, come nell'Italia del Rinascimento. In tutte queste società quasi nessuno metteva in discussione la legittimità della schiavitù, accettata come un fatto naturale, nonostante le storture e gli orrori che produceva. Che la nostra civiltà, negli ultimi secoli, sia arrivata a delegittimare la schiavitù e a vietarla è uno dei rari casi in cui nella storia si può davvero parlare di progresso.
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Nilde Iotti è stata la prima donna nella storia della Repubblica a diventare Presidente della Camera, per ben tredici anni. La giovanissima insegnante di Reggio Emilia, avvicinatasi al Partito Comunista durante la Resistenza, deputato alla Costituente a 26 anni, è una delle figure più prestigiose della politica italiana del secondo Novecento. Un personaggio straordinario che ha saputo rompere le regole dell’Italia del suo tempo, stravolgendo anche le convenzioni sociali.
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Maria Teresa di Calcutta è diventata uno dei simboli della santità e della cristianità del ventesimo secolo. Una vita, la sua, fatta di scelte spirituali e opere volte ad assistere i più poveri e i più sfortunati, in India: una personalità controversa che è riuscita a costruire un seguito enorme di fedeli e missionari e una multinazionale dai profitti colossali, che hanno spinto molti ad accusarla di aver amato più la povertà che i poveri.
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Caterina la Grande è stata una delle più grandi sovrane del ‘700, donna che ha guidato la Russia per oltre trent’anni, costruendo un impero. Arrivata in Russia dalla Germania, la principessa sposa l’erede al trono degli zar, Pietro III, che però si rivelerà impopolare e inadeguato al suo ruolo e verrà allontanato con un colpo di stato. Caterina, al suo posto, seppe imporsi con la sua politica dispotica ma riformista, governando con caparbietà e intelligenza, fino alla morte.
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La pandemia di coronavirus per gli storici del futuro sarà uno strumento di analisi dei meccanismi decisionali della politica di fronte alla più grave crisi dal secondo dopoguerra. Studieranno le risposte dei leader e dei diversi Paesi e sarà il tempo a stabilire se le strade intraprese si sono rivelate efficaci.
La suggestione arriva da Alessandro Barbero, storico e docente universitario all’Università del Piemonte Orientale. Appassionato divulgatore, ha trasformato la sua materia in fenomeno di massa, con gli interventi in TV, ma anche grazie a decine e decine di lezioni che gli appassionati - soprattutto giovani - condividono su internet e sui social media, come veri oggetti di culto.
Ad Alessandro Barbero è dedicato questo episodio, a cura di Giulia Avataneo. -
Una delle voci più alte della poesia del Novecento, e del suo secolo ha attraversato tutti gli orrori. Ha guardato in faccia la guerra mondiale e la rivoluzione, la fucilazione del marito e l'arresto del figlio, il terrore staliniano e
l'invasione nazista. E ha scritto versi non per sfuggire a tutto questo, ma per descriverlo, sapendo che il suo destino era di essere la voce di un popolo e di un'epoca. -
Nella società della sua epoca si accettava l'idea che una donna potesse avere capacità profetiche e diventare il tramite della voce di Dio. Ma nessuna profetessa aveva dichiarato, come Giovanna, che la volontà di Dio era di vederla vestita da uomo, con i capelli corti, e a cavallo con la spada in pugno, a combattere i nemici della Francia. Una missione che riuscirà a compiere, anche se alla fine sarà proprio il suo rifiuto dei ruoli e degli abiti femminili a costarle la vita.
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In una società dove è la famiglia a decidere il destino di una ragazza, Caterina da Siena appena adolescente lotta per poter fare quello che vuole lei: avere una stanza tutta per sé, rifiutare il matrimonio combinato, dedicarsi alla vita religiosa che sogna fin da quando era bambina. Un destino che ad altre veniva imposto, per lei è una scelta perseguita con ferrea forza di volontà, e che la renderà famosa in tutto il mondo cristiano.
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Il fascismo ebbe a Torino un radicamento più superficiale che altrove. Mussolini lo sapeva e nel corso del ventennio assunse verso la Capitale del Piemonte un atteggiamento ambivalente. A parole rendeva omaggio a quella “splendida città del lavoro”, in realtà, diffidava tanto dei veri padroni di Torino, gli Agnelli, quanto dei loro operai, che lo soprannominavano beffardamente Monsù Cerutti. Finché, durante la repubblica di Salò, Mussolini non nascose più la sua avversione per il Piemonte “centro della Vandea monarchica, reazionaria, bolscevica”.
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La creazione dell’Italia unita fu il grande desiderio di due o tre generazioni di italiani, ma si concretizzò improvvisamente nel 1861 grazie soprattutto alla capacità politica di un torinese: il conte di Cavour. Al governo del regno di Sardegna per un decennio, costretto a convivere con un sovrano, Vittorio Emanuele II, che disprezzava e che a sua volta lo odiava, Cavour fu l’artefice sia della poderosa crescita economica del Piemonte ottocentesco sia dell’alleanza con la Francia che permise la vittoria nella Seconda Guerra d’Indipendenza.
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Il 1706 fu una data decisiva nella storia di Torino: la sconfitta dei francesi consolidò l’immagine del Piemonte come unica regione d’Italia a vocazione militare, e permise ai duchi di Savoia di ottenere il titolo di re.
Il protagonista di quella vittoria fu anch’egli un Savoia, ma espatriato e apolide: italiano d’origine, nato e cresciuto a Parigi, comandante dell’esercito austriaco, colui che si firmava “Eugenio von Savoy” è ancora oggi un mistero per gli storici, uno degli uomini più imprevedibili di un’epoca sospesa fra arcaismo e modernità. -
Oggi siamo talmente abituati a considerare Torino come la capitale del Piemonte che ci riesce difficile immaginare come nel Medioevo la città fosse ridotta a un piccolo centro di non più di 5.000 abitanti, che solo la presenza di un vescovo distingueva da innumerevoli altre cittadine del Nord-Ovest.
La storia di come Torino, nel corso del Quattrocento, divenne sede dell'Università e dei principali organi di governo dello stato sabaudo è un bell'esempio di come la Storia non segua strade obbligate ma sia indirizzata dalle scelte umane. -
In tutta Europa, verso la fine del Medioevo, i contadini si ribellano contro il peso della signoria per ottenere maggior rappresentanza politica e il diritto di negoziare con i signori obblighi e diritti.
In Italia la rivolta più importante è quella dei Tuchini del Canavese: anni di guerra strisciante che si concludono, apparentemente, con una sconfitta ma, negli anni seguenti, un po' dappertutto, i signori iniziano a concedere ai contadini statuti e franchigie, perché non vogliono correre il rischio che succeda di nuovo. -
Le crociate sono state una grandiosa epopea spirituale, o un'avventura imperialistica?
La verità è che la Terrasanta era vista come il luogo dove un cristiano poteva salvare la propria anima ma anche un Far West medievale dove poter cambiar vita e aprirsi prospettive inimmaginabili.
Fra i principi italiani, minacciati dalla crescita dei comuni cittadini, nessuno abbracciò la crociata con più entusiasmo dei marchesi di Monferrato, che lasciarono la pianura padana per inseguire il sogno d'una corona regia o imperiale, a Gerusalemme o a Costantinopoli. -
Nel 1866 l'Italia, unita da cinque anni, attaccò per la terza volta il secolare nemico, l'Austria, per completare il balzo verso oriente interrotto sette anni prima dall'armistizio di Villafranca.
Stavolta la Lombardia fu la base di partenza dell'invasione e il nemico venne costretto fin dall'inizio nelle fortezze del Quadrilatero. Gli italiani avevano la superiorità numerica nonché generali sicuri della vittoria.
Ma in guerra ci sono tanti fattori che possono cambiare anche un esito apparentemente già scritto. -
La Seconda Guerra d'Indipendenza fu la replica della prima con tutti i fattori cambiati.
Grazie a Cavour, i piemontesi avevano al loro fianco l'esercito francese, considerato il migliore del mondo. Vittorio Emanuele II non era un generale più abile di suo padre Carlo Alberto, anche se credeva di esserlo. Ma Napoleone III si presentava come l'erede del suo grande omonimo, e il mondo ci credette. Dall'altra parte non c'era più il vecchio Radetzky, ma un giovane imperatore, Francesco Giuseppe, che non aveva intenzione di rinunciare facilmente ai possedimenti italiani ereditati dagli avi. -
Nel 1848 parve che l'Europa, uscita dalla Restaurazione, stesse sprofondando nella rivoluzione.
In tutta Italia i sovrani concessero la costituzione, e le capitali del Lombardo-Veneto austriaco, Milano e Venezia, insorsero contro il dominio straniero. Alla guerra che seguì doveva prendere parte all'inizio tutta Italia ma, di fatto, il Piemonte di Carlo Alberto fu lasciato pressoché solo a combatterla. Il suo esercito era più debole di quello austriaco e mancavano i grandi generali mentre dall'altra parte ce n'era uno: Radetzky. Eppure il risultato non era scontato. -
Tutti ricordano che la rivoluzione francese è cominciata con la convocazione degli Stati Generali. Ma se il re di Francia, dopo aver esercitato per due secoli un potere assoluto, si trovò costretto a convocare un parlamento e chiedere il suo sostegno, è perché l'assolutismo, che voleva dire tasse e spese senza alcun controllo dal basso, aveva provocato il collasso finanziario della monarchia.
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