Avsnitt

  • Il 6 gennaio del 2021 il Congresso era riunito in seduta congiunta per ratificare il risultato delle elezioni presidenziali dello scorso novembre, cioè la vittoria di Joe Biden sul presidente uscente Donald Trump. Un passaggio burocratico, una formalità che di solito viene sbrigata in pochi minuti. Stavolta però tirava un'aria diversa.

    Il successivo e clamoroso attacco di qualche centinaio di manifestanti è stato la logica e inevitabile conclusione dei quattro anni di amministrazione Trump: e d'altra parte già nel 2017, a Charlottesville, eravamo stati testimoni di una violenza altrettanto inquietante. Le sue origini vanno cercate però molto indietro nel tempo, tanto da farci chiedere se ci troviamo di fronte all'inizio o alla fine di qualcosa, e se non mettano in discussione i principi su cui due secoli e mezzo fa furono fondati gli Stati Uniti d'America.
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  • Siamo alla fine di un anno che non dimenticheremo mai. Per quanto esistano fondate ragioni per sperare in un 2021 più semplice e allegro del 2020, niente di quello che è successo quest'anno sparirà: e serve un po' di coraggio per affidarsi alla speranza invece che al pessimismo. Su questo gli americani possono insegnarci qualcosa, perché sanno guardare al futuro con fiducia. Più di noi. Non che oggi gli americani non siano tristi e preoccupati, certo, ma in generale hanno un rapporto profondo con la speranza, sia sul piano nazionale che su quello personale: e ci sono due storie, una molto recente e una molto antica, che possono dimostrarcelo.
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  • Le elezioni americane del 2020 finiranno davvero soltanto nel 2021: il 5 gennaio si voterà in Georgia per i ballottaggi di due seggi al Senato che decideranno quale dei due partiti avrà la maggioranza, e mettono quindi in palio, di fatto, l'intera agenda politica e legislativa del presidente eletto Joe Biden. Comunque vada a finire il 5 gennaio, però, c'è qualcosa che non cambierà: la politica americana ha smesso di funzionare. Niente di tutto il caos avvenuto negli ultimi cinque anni si deve semplicemente a Donald Trump o alle opinioni degli americani. C'entra, piuttosto, un sistema perverso di incentivi e disincentivi, in parte connaturati al sistema politico americano e ormai distorti, in parte progettati deliberatamente allo scopo di dare alla minoranza il potere di vincere sulla maggioranza.
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  • Com'è possibile che dal 2016 al 2020 il consenso di Donald Trump tra le persone di origini latinoamericane sia aumentato? Nonostante abbia perso le elezioni presidenziali, infatti, il politico che aveva lanciato la sua candidatura sostenendo che dal Messico arrivino "solo criminali e stupratori", che ha promesso la costruzione di un muro al confine, che ha adottato politiche brutali contro l'immigrazione, in questi quattro anni è riuscito a migliorare la sua popolarità tra gli statunitensi di origini ispaniche.
    Non è un fatto da poco: i latinoamericani sono il segmento demografico che cresce di più negli Stati Uniti, e alle elezioni del 2020 per la prima volta nella storia americana ci sono stati più elettori ispanici che afroamericani. A lungo si è pensato che il Partito Democratico fosse destinato ad avvantaggiarsi naturalmente della crescente diversità etnica degli americani, ma il voto di novembre ha messo in discussione questa tesi. Bisogna capire perché.
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  • Joe Biden ha vinto le elezioni americane, e lo ha fatto, tra le altre cose, strappando a Donald Trump uno degli Stati in cui i Repubblicani sono più forti e radicati: la Georgia, nel profondo Sud. Per capire come è stato possibile bisogna conoscere la storia, e soprattutto le azioni, di una donna afroamericana di 46 anni che si chiama Stacey Abrams: una donna che non è mai stata nemmeno deputata o senatrice, eppure è stata presa in considerazione dallo stesso Biden come possibile candidata alla vicepresidenza.
    Il lavoro di Stacey Abrams ha affrontato i retaggi della lunga storia di razzismo del Sud degli Stati Uniti e gli squilibri di potere che quella storia determina ancora oggi nella politica americana: e con costanza e perseveranza ha permesso ai Democratici di raggiungere un risultato storico.
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  • Cosa succederebbe se il risultato finale delle elezioni americane fosse così equilibrato da rendere vani ricorsi e riconteggi? Cosa succederebbe se uno dei due candidati dovesse decidere di non accettare l'esito del voto? Cosa succederebbe se all'incertezza si accompagnassero una fortissima aggressività tra partiti ed elettori, e i timori di violenze di piazza?
    Queste domande sono state sollevate più volte in vista del voto del 2020 e di alcuni suoi possibili esiti, ma si attagliano particolarmente bene alla storia di un'altra elezione presidenziale americana, quella del 1876: la più contestata nella storia degli Stati Uniti, eppure una delle meno note e discusse. Le conseguenze di quell'episodio – e del modo con cui fu risolto – si sentono ancora oggi.
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  • È normale che il bilancio di ogni presidente sia fatto di luci e ombre. Soprattutto quando si governa un Paese grande e complesso come gli Stati Uniti, nessuno può dire di aver fatto tutto bene o tutto male: si fanno degli errori, ci sono degli imprevisti, non tutto va sempre come pianificato. Tenendo presente tutto questo, proviamo a fare un bilancio accorto e necessariamente parziale del mandato presidenziale di Donald Trump, e capire come sono cambiati gli Stati Uniti in questi anni.
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  • Per decenni, nel Novecento, il partito americano più razzista è stato il Partito Democratico, che nel Sud ha approvato le più crudeli leggi di segregazione e discriminazione degli afroamericani. La schiavitù, invece, fu notoriamente abolita dal presidente Abraham Lincoln, che faceva parte del Partito Repubblicano. La California, che oggi consideriamo lo Stato americano di sinistra per eccellenza, è stata a lungo una roccaforte dei Repubblicani: è lo Stato di Ronald Reagan, d'altra parte. Mentre in Texas, lo stato di Lyndon Johnson, hanno vinto a lungo i Democratici. La geografia politica degli Stati Uniti è cambiata molto, nel corso del tempo, e con essa sono cambiate le idee e le posizioni dei partiti. Viste da qui, dal nostro presente del 2020, alcune di queste trasformazioni possono sembrarci inspiegabili. Eppure ce l'hanno eccome, una spiegazione: conoscere il passato dei partiti americani può permetterci di capire meglio il loro presente.
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  • Ormai ci siamo. Tra poco Donald Trump e Joe Biden condivideranno lo stesso palco, e davanti a decine di milioni di americani – e centinaia di milioni di persone di tutto il mondo – cercheranno di spiegare cosa hanno in mente per il futuro degli Stati Uniti e di mostrarsi più efficaci, più forti, più brillanti e più pronti dell'avversario. I dibattiti televisivi saranno, per Trump, un'occasione irripetibile per provare a rimontare lo svantaggio. Per Biden sarà una sfida particolarmente impegnativa, perché Trump non è un candidato come gli altri. Anzi: è un candidato diverso da tutti gli altri. Nel corso dei confronti televisivi che ha affrontato nel 2016 Trump aveva interrotto i suoi interlocutori, li aveva presi in giro e insultati, più volte non aveva rispettato le regole precedentemente concordate e aveva anche travolto tutti con una quantità senza precedenti di informazioni false. Come si fa a dibattere con un politico così, e magari provare anche a uscirne vincitori? Che cosa farà Biden per metterlo in difficoltà? Quali sono i punti di forza e i punti deboli di uno e dell'altro?I dibattiti televisivi saranno, per Trump, un'occasione irripetibile per provare a rimontare lo svantaggio. Per Biden sarà una sfida particolarmente impegnativa, perché Trump non è un candidato come gli altri. Anzi: è un candidato diverso da tutti gli altri. Nel corso dei confronti televisivi che ha affrontato nel 2016 Trump ha interrotto i suoi interlocutori, li aveva presi in giro e insultati, più volte non aveva rispettato le regole precedentemente concordate e aveva anche travolto tutti con una quantità senza precedenti di informazioni false. Come si fa a dibattere con un politico così, e magari provare anche a uscirne vincitori? Che cosa farà Biden per metterlo in difficoltà? Quali sono i punti di forza e i punti deboli dell'uno e dell'altro?
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  • Quando ripensiamo a quello che accadde negli Stati Uniti diciannove anni fa, l'11 settembre del 2001, l'immagine dalla quale è impossibile sfuggire è quella degli aerei di linea che si schiantarono dentro le torri del World Trade Center di New York. Tutti sapevano che qualcosa stava per cambiare per sempre, ma non erano in grado di immaginare nemmeno cosa sarebbe successo dieci minuti dopo. Anche perché gli aerei distrutti su Manhattan erano solo un pezzo di quella storia: un altro aveva colpito il Pentagono, e un altro ancora, il volo United 93, precipitò in un campo vuoto in Pennsylvania. La storia di quel volo, e soprattutto del perché non si schiantò dove avrebbe dovuto, ci permette di capire perché l'11 settembre ci impressiona ancora in questo modo. Se è normale, persino se è giusto o se forse non sia esagerato, che ci impressioni ancora così tanto. Quale segno e quale eredità ha lasciato nelle nostre vite. E poi una cosa particolarmente attuale: in che modo ha segnato la successiva campagna elettorale, quella del 2004.
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  • Madre indiana, padre giamaicano, cultura ed esperienza di vita afroamericana in uno dei posti più bianchi degli Stati Uniti, ma frequentando le scuole per neri, i templi induisti e le chiese battiste. Procuratrice progressista, ma non si capisce se abbastanza o troppo poco. Candidata alle presidenziali con grandissime aspettative, ritirata prima dell'inizio delle primarie. Kamala Harris viene etichettata in molti modi diversi, ma nessuna semplificazione riesce davvero e descriverla: e oggi che concorre per aggiungere al suo nome un titolo e un incarico più grande di tutti gli altri che ha avuto fin qui – vicepresidente degli Stati Uniti d'America – ed entrare nella storia del Paese, la campagna elettorale si fonderà inevitabilmente anche sulle cose che ha detto e che ha fatto fin qui. Un ritratto intricato e ricco di sfumature: il miglior modo di farsi un'idea è conoscere la sua storia.
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  • Ogni campagna elettorale americana è scandita da alcuni momenti – le candidature, le primarie, il Super Tuesday, i confronti televisivi – e uno dei più importanti e famosi arriva in estate: le convention. Decine di migliaia di persone riunite per quattro giorni in una grande baracconata di palloncini e propaganda, ma anche l'occasione per prendere decisioni fondamentali sul programma del partito, per assistere a scontri politici durissimi, contestazioni inaspettate e discorsi che possono cambiare la storia della nazione. È già successo. Per quanto oggi qualcuno pensi che siano obsolete, la storia delle convention ci mostra che possono essere molto utili per misurare la temperatura del partito, per osservarne i cambiamenti, le scelte, le strategie e soprattutto la direzione futura. Per capire da che parte stanno andando. Quest'anno le convention iniziano il 17 agosto, e saranno molto diverse da quelle del passato. Un motivo in più per capire a cosa bisogna stare attenti.
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  • Da più di cinquant'anni, negli Stati Uniti gli spot televisivi sono l'architrave di qualsiasi campagna elettorale, e rappresentano sempre la principale voce di spesa di qualsiasi persona che si candidi alla presidenza. Fino a questo momento tutti i candidati alla presidenza nel 2020, primarie comprese, hanno speso un miliardo e mezzo di dollari per trasmettere spot televisivi. E poi ci sono i moltissimi altri prodotti e diffusi da comitati politici indipendenti, associazioni, organizzazioni non governative. Gli spot televisivi sono ancora oggi lo strumento che permette di rivolgersi al maggior numero possibile di americani, a prescindere dalle loro differenze culturali e di stili di vita. Ce ne sono di moltissimi tipi diversi e con moltissimi toni diversi: tanti passano inosservati, ma alcuni fanno discutere per settimane, spostano l'opinione pubblica e cambiano il corso delle campagne elettorali. Tutto è cominciato davvero nel 1964, quando le immagini di una bambina che sfogliava i petali di una margherita e il genio di un pubblicitario di Madison Avenue hanno cambiato per sempre gli spot politici americani.
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  • In questi mesi Bill Gates è diventato per molti l'uomo che ha creato il Coronavirus, oppure che vuole sfruttarlo per guadagnare un sacco di soldi, oppure che vuole approfittarne per mettere la popolazione mondiale sotto il suo controllo, oppure che ha già brevettato il vaccino, oppure che vuole iniettarci del mercurio nelle vene e controllarci attraverso le reti 5G (?!). Ma c'è davvero qualcosa di controverso o sospetto nelle attività filantropiche di Bill Gates e nelle sue iniziative legate alla pandemia? Perché uno dei più generosi, ambiziosi ed efficaci filantropi al mondo è diventato l'uomo dietro ogni teoria del complotto sul coronavirus? Cercare di capire le ragioni e i meccanismi che hanno portato a questa situazione è un buon modo per ragionare sulla vita e sulle scelte di un imprenditore di straordinario successo, delle attività e dimensioni senza precedenti della sua fondazione benefica e soprattutto su di noi: sul perché le teorie del complotto nascono, attecchiscono e circolano così tanto, e cosa possiamo fare per contrastarle.
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  • Se è vero che il razzismo negli Stati Uniti va molto oltre i comportamenti individuali ed è il frutto di una storia secolare di oppressione dei neri con tutta la forza dello Stato – ed è vero – allora è vero anche che le persone che negli Stati Uniti dicono o pensano ancora cose razziste lo fanno per ragioni che hanno più a che fare con il fortissimo e tossico lascito culturale di questa storia, per l'ambiente in cui sono vissuti, per i modelli che hanno avuto, piuttosto che per i loro limiti personali. Il movimento "Black Lives Matter" sta già ottenendo risultati promettenti, ma una parte del suo successo dipenderà dalla persuasione oltre che dalla forza. Almeno una parte delle persone che dicono o pensano ancora cose razziste non va sconfitta: va convinta. Anche le loro idee – sbagliate e da superare – vanno inquadrate come parte di una storia secolare. L'ultima volta che qualcuno ci ha provato era il 2008. L'allora senatore Barack Obama, nel momento più complicato della sua prima campagna elettorale, pronunciò un discorso che fu definito istantaneamente "storico".Questo episodio è stato prodotto con il sostegno di LingQ https://www.lingq.com/it/dacostaacosta/
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  • È nato in una fattoria dell'Alabama senza acqua ed elettricità, isolato dai bianchi e senza poter nemmeno prendere un libro in prestito in biblioteca. È diventato da giovanissimo uno dei leader nazionali del movimento per i diritti civili degli afroamericani. È stato arrestato e picchiato decine di volte, senza mai reagire o perdere la pazienza. Dal 1986, e ancora oggi, è un deputato eletto ogni due anni in Georgia. La storia straordinaria di John Lewis ci mostra quanto sia cambiata e migliorata la condizione degli afroamericani negli Stati Uniti, e soprattutto per mezzo di quali azioni e sacrifici, come le tre marce di Selma del 1965. Ma ci racconta anche quanto sia vicinissimo a noi il passato secolare di schiavitù e segregazione che continua ad avere conseguenze gravi sugli afroamericani, visto come hanno imbevuto di razzismo non solo le teste delle persone ma soprattutto le leggi, le città, le consuetudini, il funzionamento stesso della società.Questo episodio è stato prodotto con il sostegno di LingQ https://www.lingq.com/it/dacostaacosta/
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  • Dopo che nel 2016 Donald Trump ha vinto le elezioni ribaltando i pronostici, è difficile capire come comportarsi, stavolta, con i sondaggi delle elezioni presidenziali: e dopo che quattro anni fa molti hanno sbagliato pensando che “Trump non può vincere”, molti oggi pensano che “Trump non può perdere”, pure se i sondaggi lo danno in svantaggio. Ma quindi sappiamo già come andrà a finire? I sondaggi non servono proprio a niente? E dato che, volenti o nolenti, nei prossimi cinque mesi sentiremo parlare moltissimo di sondaggi, come possiamo capire di quali possiamo fidarci e di quali no, e cosa ne possiamo trarre? Cerchiamo di scoprirlo innanzitutto comprendendo a cosa servono i sondaggi, e poi facendoci aiutare da Lorenzo Pregliasco, co-fondatore dell'istituto demoscopico Quorum e del magazine YouTrend. Pregliasco ci darà qualche dritta concreta per leggere i sondaggi come li leggono gli esperti.
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  • Nove anni fa il più famoso e ricercato terrorista al mondo, il leader di al Qaida, l'uomo che aveva progettato decine di attentati sanguinari contro i civili, fu trovato e ucciso in Pakistan dalle forze speciali americane. Se le cose fossero andate male, molti soldati americani sarebbero morti, i rapporti col Pakistan sarebbero stati compromessi, la figuraccia globale sarebbe stata gigantesca e l'allora presidente Barack Obama avrebbe dato ragione a chi lo considerava ingenuo e inesperto. La storia di quell'operazione – che contiene anche un personaggio non scontato: Donald Trump – può insegnarci qualcosa sul ruolo del presidente e sul modo in cui esercita la sua leadership.
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  • L'epidemia da coronavirus è il più grande evento globale dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e può accelerare grandi cambiamenti geopolitici che erano già in corso prima che arrivasse il Covid-19: la grande ascesa della Cina verso la leadership globale e la ritirata degli Stati Uniti dallo scenario internazionale. Se all'inizio dell'epidemia sembrava che proprio la Cina potesse risultarne particolarmente danneggiata, oggi le cose sono cambiate: il fatto che Pechino sembri in grado di uscirne prima degli altri e l'aggressività con cui il suo governo sta portando avanti la cosiddetta "diplomazia delle mascherine" suggeriscono che le cose potrebbero andare diversamente. E restituirci tra qualche anno un mondo in cui la Cina ha preso il posto degli Stati Uniti.
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  • Quando si parla del sistema politico americano, si dice che la sera delle elezioni, negli Stati Uniti, si conosce già il nome del vincitore. È vero, ma anche questa regola conosce delle eccezioni: nel 2000 le cose andarono in maniera molto diversa. La contesa tra Al Gore e George W. Bush fu così equilibrata da mandare in tilt i network televisivi e trascinarsi per settimane in una disputa politica che si trasformò poi in una battaglia legale, e fu infine decisa e risolta dai tribunali. Potrebbe succedere ancora.
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