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  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7735

    LA COMPUNZIONE, IL DOLORE CHE AVVICINA A DIO
    «Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno, così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna» (Regola di San Benedetto, 72). Con queste parole San Benedetto introduce il penultimo capitolo della Regola (RB). Nel nostro sforzo di comprendere cosa sia la compunzione, potremmo semplicemente sostituire la parola "zelo" con "tristezza": proprio come c'è una cattiva tristezza, piena d'amarezza, che separa da Dio e conduce all'inferno - e la chiamiamo malinconia -, così c'è una buona tristezza che separa dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna: la compunzione. Parlando di questi due tipi di tristezza, San Paolo dice che «la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c'è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte» (2 Cor 7,10).
    Come si fa a capire la differenza tra le due? Per cominciare, dovremmo riconoscere che tutta la tristezza deriva da una perdita, reale o percepita: di qualche oggetto importante, di un lavoro, di una casa o di un'auto, di un animale domestico, dell'affetto e del rispetto degli altri, di una relazione importante, dell'amore, di una persona cara. Nelle sue fasi iniziali, tutta la tristezza è moralmente neutra, ma siamo noi a guidarla verso la compunzione o la malinconia.
    Ora, se la nostra disposizione fondamentale è quella della fede in Gesù Cristo, allora saremo in grado di considerare ragionevolmente se possiamo fare qualcosa per riguadagnare ciò che abbiamo perso e, in tal caso, pregheremo per avere la saggezza e la fortezza per farlo. Se, tuttavia, l'oggetto perduto non è recuperabile, vedremo che ciò che è stato perso non era così importante, come inizialmente pensavamo; oppure saremo in grado di accettare la nuova realtà con fede nell'amore provvidenziale di Dio e nella sottomissione alla sua santa volontà. Inoltre, lasceremo che Dio stesso si sostituisca a ciò che era perduto, così che si realizzino in noi le parole della Madonna: «ha ricolmato di beni gli affamati» (Lc 1,53).

    LE LACRIME BUONE E QUELLE CATTIVE
    «Vanno bene le lacrime, dice Sant'Ambrogio, se tu riconosci Cristo» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, X, 161), cioè se ti addolori nella verità e nell'amore di Dio. Tale dolore si trasforma felicemente in una santa compunzione. Se, invece, non si piange nella fede, ma si cerca di fare da soli, senza Dio, ne deriva la confusione mentale e si è incapaci di trovare il sentiero che conduce fuori dalla selva oscura. Al posto della rassegnazione alla volontà di Dio che dona pace, c'è una rabbia costante che rifiuta di accettare qualsiasi perdita, un'amarezza che tratta tutti come fossero una qualche sorta di nemico. Tale dolore è purtroppo diventato malinconia. La malinconia di questo tipo rifiuta di accettare la realtà e quindi non ha fine; nasce dall'orgoglio e spesso porta a un'autocommiserazione paralizzante che incolpa gli altri per le perdite subite.
    La malinconia può derivare dall'orgoglio anche sotto forma di odio verso se stessi. In questo stato vediamo noi stessi come un fallimento secondo gli standard del mondo (non di Dio) e di conseguenza ci disprezziamo. Questa malinconia frutto dell'odio di sé può apparire una forma di umiltà, un santo disprezzo di sé; ma quanto sia lontano dall'umiltà è dimostrato dalla freddezza, anzi, dal disprezzo, che questa persona prova per Dio. La genuina umiltà, al contrario, è sempre legata a un profondo amore per Dio e alla sottomissione alla sua volontà: «Ci sono alcuni che piangono, ma non sono umili; piangono perché sono afflitti, tuttavia pur fra le lacrime si levano contro il prossimo e contestano le disposizioni del Creatore» (Gregorio Magno, Moralia, IX, 56).
    C'è un altro tipo di malinconia, quella che desidera i beni terreni, ed è rattristata dalla loro assenza o perdita. Le persone afflitte da questa malinconia si sottomettono devotamente ai gioghi più duri della schiavitù per ottenere queste cose e, quando riescono nel loro scopo, sono ancora più infelici, poiché ogni bene mondano deve essere affannosamente protetto dalla perdita e vi si deve infine comunque rinunciare quando si muore.

    COMPUNZIONE VS MALINCONIA
    Il dolore della compunzione, tuttavia, è lontano dalla malinconia come l'Oriente lo è dall'Occidente. Chi è pervaso da compunzione non è rattristato dalla perdita delle cose temporali, ma dalla perdita di Dio. Come il Salmista, questa persona trova consolazione in Dio solo e merita la beatitudine da Lui pronunciata: «Beati coloro che piangono, perché saranno consolati» (Mt 5,5). Tali anime si considerano semplici viandanti e vedono questa vita per quello che è: un luogo di pellegrinaggio e una valle di lacrime, e sono quindi piene di quel dolore che, secondo San Gregorio Magno, è l'amarezza dei saggi (amaritudo sapientium) e il dolore del cuore degli eletti (luctus cordis electorum) (cfr. Moralia, XVIII, 66; XV, 68).
    San Gregorio distingue due tipi fondamentali di compunzione: una di paura e una di amore. La prima è una purificazione dal peccato e una protezione contro di esso; l'altra è una forza del desiderio spirituale che ci trascina verso il Cielo. Due tipi e quattro motivi: «Quando ricorda le proprie colpe, considerando dov'era (ubi fuit); quando teme la sentenza del giudizio di Dio e interrogandosi pensa dove sarà (ubi erit); quando esamina seriamente i mali della vita presente, con tristezza considera dov'è (ubi est); quando contempla i beni della patria eterna che ancora non ha raggiunto, piangendo si rende conto dove non è (ubi non est)» (Moralia, XXIII, 41).
    I primi due nascono dal timore di Dio, che è il primo e fondamentale dono dello Spirito Santo. Ma è soprattutto attraverso il dono della scienza che la compunzione della paura matura e cresce in noi, perché ci permette di vedere noi stessi come siamo, con i peccati che ci allontanano da Dio, ma anche creati a sua immagine e somiglianza, redenti dal sangue di suo Figlio e chiamati nell'amore ad essere santi come Lui. Vedendo la nostra peccaminosità e ingratitudine verso Dio, siamo pieni di disgusto verso noi stessi e arriviamo a odiare i nostri peccati; ma vedendo il prezzo che il Figlio di Dio ha pagato per la nostra salvezza, ci viene data la speranza di cambiare le nostre vite e diventare santi come Lui è santo.

    IL TIMORE DEL SIGNORE
    Così il dono del timore del Signore ci ispira a «essere sempre consapevoli di tutto ciò che Dio ha comandato» e porta i nostri pensieri a «meditare costantemente sul fuoco dell'Inferno che brucerà per i loro peccati coloro che disprezzano Dio»; e così ci protegge ogni momento «dai peccati e dai vizi». Questa santa paura ci dà la certezza che «Dio ci guarda sempre dal cielo e che le nostre azioni sono ovunque visibili agli occhi divini e vengono costantemente segnalate a Dio dagli Angeli» ; ci fa sentire «in ogni momento la colpa dei nostri peccati in modo tale che ci consideriamo già difronte al tremendo Giudizio e diciamo costantemente nel nostro cuore ciò che il pubblicano del Vangelo ha detto con gli occhi fissi sulla terra: Signore, sono un peccatore e non sono degno di alzare gli occhi al cielo» (Regola di San Benedetto, 7)
    Le anime pervase da questa duplice compunzione di paura provano una profonda contrizione per i loro peccati e temono di finire con i dannati alla sinistra di Cristo. Fanno proprie le richieste del Miserere, insuperabile preghiera di pentimento e contrizione; e chiedono misericordia come se fossero già di fronte al Giudizio Universale, in sentimenti che sono perfettamente espressi nel Dies Irae, quel capolavoro poetico della Messa da Requiem. In queste preghiere, vediamo da un lato un timore servile che ha paura della punizione, dall'altro un timore filiale che rabbrividisce al pensiero di offendere Dio. Il primo diminuisce man mano che il secondo aumenta, poiché il timore filiale è espressione della carità, di «quell'amore perfetto di Dio che scaccia il timore servile» (RB 7; 1 Gv 4,18).
    Con la crescita del timore filiale, entriamo nella terza compunzione: il nostro amore per Dio e il nostro desiderio di essere con Lui danno origine a una disponibilità a soffrire in questa vita per meritare la beatitudine eterna nella prossima. Una grande fonte di consolazione per chi si trova in questo stato è la bella preghiera della Salve Regina, nella quale ci rivolgiamo alla Madonna perché ci consoli tra le inevitabili afflizioni di questa vita. I nostri occhi, dal suo volto materno, ritornano di nuovo su questo mondo. E lo vedono per quello che è: un luogo di esilio e tentazione, di fatica e sofferenza, giusta penitenza per il peccato originale e per i nostri molti peccati personali. Ma Dio nella sua misericordia ci permette di considerare queste sofferenze come benedette, perché con esse «condividiamo le sofferenze di Cristo e meritiamo di avere una parte anche nel suo regno» (RB, Prologo). E così si comprende la "legge" dei santi: «quanto più in questo mondo l'anima del giusto è afflitta dalle avversità, tanto più acuta diventa la sua sete di contemplare il volto del proprio Creatore» (Moralia, XVI, 32).
    Divenuti così cari a Dio per le fatiche, possiamo stabilirci nella quarta compunzione, in cui non c'è più dolore, ma solo gioia penetrante, perché sente Dio vicino e disponibile ogni volta che si prega. San Benedetto ci dice che questo può accadere anche a noi, perché «quando avrai fatto queste cose, gli occhi del n

  • VIDEO: Premio Viva Maria alla Bussola Quotidiana ➜ https://www.youtube.com/watch?v=zT2AyJ4aBnA

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7704

    LA MADONNA DEL CONFORTO: LUCE IN TEMPI DI ATTACCO ALLA FEDE di Stefano Chiappalone
    Durante la preghiera del Rosario che unisce ogni giorno la redazione e i lettori della Bussola, viene inquadrata una particolare immagine mariana: è la Madonna del Conforto venerata nel duomo di Arezzo in seguito a un evento miracoloso accaduto il 15 febbraio 1796. Quella presente nella nostra cappella è, naturalmente, una fedele riproduzione, ricevuta dal Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese, che nel 2014, in occasione del 6° Giorno del Timone della Toscana, volle conferire a La Nuova Bussola Quotidiana il premio "Viva Maria".
    Torniamo al febbraio del 1796 ad Arezzo, nella cantina annessa all'Ospizio della Grancia, dove i camaldolesi vendevano il vino e mettevano a disposizione dei più poveri un fornello per cucinare e scaldarsi, accanto al quale si trovava proprio la nostra immagine, annerita e impolverata. Questa riproduceva a sua volta la Madonna di Provenzano, venerata a Siena (originariamente una Pietà di cui però era rimasto soltanto il busto della Vergine), accompagnata dalla scritta: «Sancta Maria ora pro nobis»). Quel mese di febbraio era iniziato male e il Carnevale era stato offuscato da decine di forti scosse di terremoto, accompagnate da bagliori e altri fenomeni inquietanti, che spinsero ben presto a volgere la baldoria carnevalesca in processioni penitenziali, anticipando la Quaresima che sarebbe iniziata ufficialmente il 10.
    SI RINFRANCHI IL TUO CUORE: ECCO TUA MADRE
    Il 15 febbraio nuova scossa e nuovi timori: nella notte si ritrovarono in cantina alcuni artigiani, Antonio Tanti, Giuseppe Brandini e Antonio Scarpini, confidandosi i rispettivi timori per il terremoto insieme alla cantiniera Domitilla Bianchini. Il pensiero andò ben presto ai castighi divini e alla protezione di Maria. Accesero un lume alla malconcia immagine mariana che vegliava su di loro e cominciarono a pregare, quando d'un tratto quel bassorilievo - ormai giallo e nero, che non c'era più verso di ripulire - si fece candido, emanando una luce ben diversa dagli inquietanti bagliori del terremoto, che da allora cessò. La paura del sisma lasciò spazio alla meraviglia per il prodigio in sé e anche per alcune grazie e guarigioni attribuite all'immagine mariana, che nel giro di pochi giorni fu portata in duomo, dove gli aretini realizzarono poi un'apposita cappella dedicata alla Madonna del Conforto, cui si accede attraverso una cancellata sovrastata dalla scritta: «Confortetur cor tuum: ecce Mater tua» («Si rinfranchi il tuo cuore: ecco tua Madre»).
    Di lì a poco la Madonna del Conforto dovette prestare conforto agli aretini e a tutte le popolazioni toscane. In quello stesso 1796 Napoleone Bonaparte dava inizio alla Campagna d'Italia, volta ad esportare forzatamente i principi rivoluzionari nella penisola, laicizzandone le istituzioni: iniziava il cosiddetto "triennio giacobino" (1796-1799). L'invasione delle truppe napoleoniche fu accompagnata da una serie di prodigi ben ricostruiti da Vittorio Messori e Rino Cammilleri nel volume Gli occhi di Maria. Roma 1796: prodigi nell'Italia invasa da Napoleone (nuova ed. aggiornata, Edizioni Ares, Milano 2023). Da Ancona, dove si verificò il primo fenomeno il 25 giugno, a Todi, a Frosinone, passando per la Città Eterna, innumerevoli immagini mossero gli occhi o cambiarono espressione, quasi a lanciare un "allarme" celeste sulla persecuzione scatenata in nome dei "Lumi". Allarme di cui il fenomeno aretino costituisce non solo un preludio.
    IL PREMIO VIVA MARIA
    In Toscana i principi rivoluzionari erano già nell'aria sotto il granducato di Pietro Leopoldo (asceso poi al trono imperiale nel 1790) e il "conciliabolo" tenuto dal vescovo giansenista di Pistoia, Scipione de' Ricci. Inizialmente il Granducato si era salvato dai francesi, che nel 1796 avevano preso la sola Livorno. Nel resto della penisola avevano già avviato il forzato "cambio di paradigma": via la croce, su l'albero della libertà, proclamando repubbliche ispirate ai nuovi ideali, non senza scatenare l'insurrezione - o meglio, l'insorgenza - delle popolazioni legate alle tradizioni e alla fede dei padri. Come avvenne anche in Toscana, quando il 25 marzo 1799 Firenze fu occupata dai francesi, che il 6 aprile giunsero ad Arezzo. E la popolazione insorse, al grido di "Viva Maria!", liberando il Granducato dagli occcupanti con la guida del diplomatico inglese William Frederic Wyndham, dell'ufficiale dei dragoni Lorenzo Mari... e della Madonna del Conforto, effigiata sui loro stendardi.
    Una storia e un'immagine che, pur nelle mutate circostanze, ci riguardano ancora da vicino: «Il premio», come scriveva nel 2014 don Stefano Bimbi, «è simbolicamente rappresentato da una perfetta riproduzione della Vergine del Conforto. Il motivo per cui è stato chiamato "Viva Maria!" questo premio è evidente: come ai tempi di Napoleone, è in atto un attacco alla fede cattolica. Ora come allora c'è bisogno che ci sia un forte movimento di popolo che difenda la Chiesa da questi attacchi». Quale che sia la buona battaglia (di ieri o di oggi), la Madonna del Conforto continua ad essere una luce per attraversare tempi oscuri.

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  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3133

    CRISTO E LA CHIESA: UN MATRIMONIO RIUSCITO di Giacomo Biffi
    Quello tra il Signore Gesù e la sua Chiesa non è solo un matrimonio incontestabilmente celebrato: è altresì, per così dire, un matrimonio "riuscito". Potrà meravigliare questo insolito punto di riflessione ecclesiologica; ma va ritenuto opportuno e benefico. Anche perché è abbastanza diffuso un modo di pensare e di parlare, che non disconosce questo coniugio come atto originario costitutivo della Chiesa (diversamente si uscirebbe dalla verità cattolica), ma poi pare quasi supporre che siano intervenuti dei malintesi tra i coniugi e ormai non ci sia tra loro una grande armonia.
    Non si spiegherebbe altrimenti come mai molti credenti si esprimano senza simpatia nei confronti della Sposa di Cristo, e talvolta quasi col desiderio di "metterla a posto", come si sarebbe tentati di fare con la moglie troppo invadente di un amico che ci è caro.
    LA "CHIESA" O LA "CHIESA"?
    Ci limitiamo a segnalare, come indizio abbastanza eloquente della diffusa volontà di "ridimensionare" la Chiesa, l'abitudine (sorretta da un tenace proposito) di scriverne il nome con l'iniziale minuscola. La cosa colpisce particolarmente quando nelle stesse edizioni, nell'identica pubblicazione e addirittura nella medesima pagina si ritrovano scritte invece con la maiuscola, per esempio, Consiglio Presbiterale, Azione Cattolica, Codice di Diritto Canonico, Camera del Lavoro, Settimane Sociali, ecc. Si arriva persino a discostarsi arbitrariamente su questo punto nelle traduzioni che vengono offerte dall'uso cui si sono costantemente attenuti i documenti ufficiali del Concilio Vaticano II.
    ASSOLUTA O TOTALMENTE RELATIVA?
    Ma non c'è forse anche il pericolo opposto, cioè quello di un'esaltazione indebita? Chi ha capito bene che cosa significhi nella sostanza che quello tra Cristo e la Chiesa sia un "matrimonio riuscito", tenuto in essere dall'amore, questo pericolo non lo corre. Egli sa che tutto nella Sposa è relativo allo Sposo; e perciò ogni entusiasmo e ogni glorificazione per la sua bellezza e per il suo valore non può che allietare il cuore del Signore crocifisso e risorto. Il pericolo caso mai è un altro; è quello di non tenere abbastanza viva e pungente la consapevolezza di quella totale relatività. «La Chiesa rifulge non della propria luce ma di quella di Cristo, e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia» (s. Ambrogio, Exameron IV,32).
    Il pericolo eventuale è soltanto quello di assolutizzare, magari inconsciamente, la Chiesa come se ci fosse in essa qualcosa di apprezzabile che non sia frutto della sua affettuosa connessione con lo Sposo.
    L'"ECCLESIOCENTRISMO"
    Possiamo arrivare a parlare addirittura di "ecclesiocentrismo"? La parola non gode di buona fama: chi la usa, di solito, lo fa coll'intento di mettere in guardia da ogni rilevanza eccessiva assegnata alla Chiesa in epoca "preconciliare": si prendono così le distanze da una "forma" di cristianesimo tipica di alcuni ambienti cattolici del passato, che oggi è ritenuta del tutto improponibile.
    Ma si tratta di un malinteso. Chi ha compreso che la "consistenza reale" della Chiesa sta nell'essere il "Cristo totale" (asserto che è il "cuore", il senso e anzi il compendio onnicomprensivo dell'intero disegno salvifico del Padre) non vede la ragione di questa allergia: è ovvio che qui non c'è nessuna insidia al primato e alla centralità di Cristo, «capo del Corpo» e Sposo dell'umanità rinnovata. Piuttosto, inteso così, l'ecclesiocentrismo è la logica integrazione e l'ultimo chiarimento del Cristo-centrismo.
    Ancora una volta però va detto che una visione trascendente come quella del "Christus totus" è più accessibile ai "piccoli" che non ai "sapienti" e agli "intelligenti". Santa Giovanna d'Arco, una ragazza analfabeta non ancora ventenne, in virtù dell'acutezza della sua semplice fede, ai suoi giudici che le chiedono che idea abbia della Chiesa, dà subito una risposta sublime e ineccepibile: «Della Chiesa e di Gesù Cristo io penso che siano la stessa cosa, e che su questo punto non si debbano fare difficoltà».
    RIFIUTO DELLA "ECCLESIOLATRÌA"
    Ben diverso è il discorso a proposito di "ecclesiolatrìa". La Chiesa non va "adorata", neppure nei molti modi subdoli nei quali ci riesce talvolta di defraudare il Creatore del culto che compete solo a lui. Il che vuol dire tra l'altro: la Chiesa non può essere nemmeno lontanamente pensata come la sede indipendente e assoluta della verità; né come la causa prima o comunque prevalente della nostra salvezza; né come l'oggetto incondizionato della nostra dedizione e del nostro amore.
    Curiosamente c'è un caso di "ecclesiolatrìa" che affligge talvolta i più severi censori dell'ecclesiocentrismo; ed è la "sinodolatrìa". In questa aberrazione incappano coloro che – tra i "sapienti" e gli "intelligenti" – tanto enfatizzano il Concilio Vaticano II da ritenerlo in pratica un'espressione inedita e originale della Rivelazione divina: parlano e agiscono come se fossero persuasi che unicamente da questa recente esperienza di Chiesa ci sarebbe stato finalmente restituito il cristianesimo nella sua autenticità.
    I PALADINI DEL "CONCILIO VIRTUALE"
    Già all'indomani dell'assise conciliare prese a serpeggiare una stravagante ermeneutica del grande avvenimento e del suo magistero. Si tratta di una specie di "distillazione ideologica", che possiamo tentare di delineare schematicamente così:
    a) La prima fase sta in una lettura discriminatoria dei testi, che distingue tra quelli da accogliere e da citare e quelli da passare sotto silenzio.
    b) Nella seconda fase si riconosce come provvido insegnamento sinodale non tanto quello che di fatto è stato enunciato, ma quello che la santa assemblea avrebbe potuto dire se non fosse stata intrigata dalla presenza di molti vescovi retrogradi e insensibili al soffio dello Spirito.
    c) Con la terza fase si insinua che la vera dottrina del Concilio Vaticano II non è quella effettivamente votata e approvata, ma quella che avrebbe dovuto essere approvata, se i padri fossero stati più coraggiosi e più illuminati.
    Con una siffatta esegesi – certo non teorizzata in modo esplicito, ma ampiamente applicata – quello che viene continuamente addotto ed esaltato non è il Concilio che è stato celebrato, ma un "Concilio virtuale" che ha un posto non nella storia della Chiesa, bensì nella storia dell'immaginazione ecclesiastica.
    "CONCILIO" E "POSTCONCILIO"
    Quando oggi nelle discussioni della cristianità ci si riferisce al "Concilio", bisogna appurare bene che il riferimento sia in effetti ai decreti canonicamente approvati nell'assemblea sinodale.
    Bisogna in pratica saper distinguere accuratamente tra il "Concilio" e il postconcilio: il primo va accolto con fede e cordialità; il secondo chiede di essere valutato alla luce del primo; anzi, alla luce dell'insegnamento rivelato come è proposto da tutto il magistero infallibile della Chiesa lungo l'intera sua storia, perché non si presenti come autentica e vincolante anche un'ideologia postconciliare che non ha alcuna garanzia da parte dello "Spirito di verità".
    UN'ANTICA ECCLESIOLOGIA
    Ascoltiamo infine come si esprimeva un autore del secolo XII che ai giorni nostri non sembra molto citato (è però ricordato in una nota della Lumen gentium 64), Isacco della Stella († 1169), monaco cistercense di origine inglese ma vissuto in Francia, vicino a Poitiers: «Come tutte le cose del Padre sono del Figlio e tutte le cose del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo Sposo ha dato tutte le cose sue alla Sposa, e lo Sposo ha condiviso tutto quello che era della Sposa, che ha reso anch'essa una cosa sola con se stesso e con il Padre…
    «Lo Sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e una cosa sola con la Sposa: quello che ha trovato di estraneo nella Sposa l'ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno.
    «Quanto appartiene per natura alla Sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito; invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l'ha regalato alla Sposa. Insomma, egli ha annullato ciò che era del diavolo, ha assunto ciò che era dell'uomo, ha donato ciò che era di Dio. Per questo, quanto è della Sposa è anche dello Sposo» (Sermo 11 PL 194, 1728).

  • VIDEO: L'inferno non è vuoto ➜ https://www.youtube.com/watch?v=uYZkEHurfjU&list=PLpFpqNiJy93vpo09XwkVtUp8W-0qcHklo

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7684

    SPIACE, MA... L'INFERNO ESISTE E NON E' VUOTO di Roberto De Mattei
    "Quello che dirò non è un dogma di fede ma una cosa mia personale: a me piace pensare l'inferno vuoto, spero sia realtà!". Lo ha detto il 14 gennaio 2024 Papa Francesco in un'intervista al conduttore televisivo Fabio Fazio su Canale Nove.
    Però ci domandiamo: è lecito sperare una realtà che non solo non è contenuta nella fede cattolica, ma la contraddice?
    E' infatti verità di fede che l'inferno esiste, e se esiste non è vuoto e non sarà svuotato, come pensavano gli origenisti, secondo cui tutti i dannati, angeli e demoni, alla fine si convertiranno L'inferno è un luogo riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di convertirsi. La pena consiste in un fuoco inestinguibile: un fuoco reale, non metaforico, che si accompagna a quello spirituale della perdita di Dio. E poiché l'anima è immortale, la pena dovuta al peccato mortale senza pentimento, dura quanto dura la vita dell'anima, cioè per sempre, per l'eternità. Questa dottrina è definita dai Concili Lateranense IV, II di Lione, di Firenze e di Trento.
    L'inferno non indica solo lo stato dei dannati, demoni e uomini morti in peccato mortale, che sono eternamente puniti. Esso indica anche il luogo in cui i dannati si trovano. E sant'Ignazio di Loyola, così spesso citato da papa Francesco, come il suo maestro spirituale, nel quinto dei suoi Esercizi ci invita a fare una cosiddetta "composizione di luogo" sulla realtà dell'inferno.
    SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, IL FONDATORE DEI GESUITI
    Questi i punti che, dopo due preludi, sant'Ignazio propone alla nostra meditazione nei suoi Esercizi spirituali: "Il primo preludio è la composizione: qui consiste nel vedere con l'immaginazione l'inferno in tutta la sua lunghezza, larghezza e profondità. Il secondo preludio consiste nel domandare quello che voglio: qui sarà chiedere un'intima conoscenza della pena che soffrono i dannati; così, se per le mie colpe dovessi dimenticarmi dell'amore dell'eterno Signore, almeno il timore delle pene mi aiuti a non cadere in peccato. Seguono poi i punti da meditare. Primo punto: vedo con l'immaginazione le grandi fiamme dell'inferno e le anime come in corpi incandescenti. Secondo punto: ascolto con le orecchie i pianti, le urla, le grida, le bestemmie contro nostro Signore e contro tutti i santi. Terzo punto: odoro con l'olfatto il fumo, lo zolfo, il fetore e il putridume. Quarto punto: assaporo con il gusto cose amare, come le lacrime, la tristezza e il rimorso della coscienza. Quinto punto: palpo con il tatto, come cioè quelle fiamme avvolgono e bruciano le anime. Infine il colloquio. Facendo un colloquio con Cristo nostro Signore, richiamerò alla memoria le anime che sono all'inferno: alcune perché non credettero alla sua venuta; altre perché, pur credendoci, non agirono secondo i suoi comandamenti. Distinguerò tre categorie: La prima, precedentemente alla sua venuta. La seconda, durante la sua vita. La terza, dopo la sua vita in questo mondo. Nel fare questo, lo ringrazierò perché non ha permesso che io fossi in nessuna delle tre categorie, mettendo fine alla mia vita; così pure perché fino ad ora ha sempre avuto per me tanta pietà e misericordia. Terminerò dicendo un Padre nostro."
    FATIMA DIXIT
    Il segreto di Fatima, comunicato dalla Madonna ai tre pastorelli il 13 luglio 1917, si apre con una visione terrificante dell'inferno, che sembra una composizione di luogo ignaziana. Un inferno che viene mostrato come un luogo, non vuoto, ma pieno di anime di dannati: "un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell'incendio [ ]".
    Se non fosse stato per la promessa della Madonna di portarli in cielo, scrive suor Lucia, i veggenti sarebbero morti per l'emozione e la paura. Le parole della Madonna erano tristi e severe: "Avete visto l'inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato". Un anno prima, l'Angelo di Fatima aveva insegnato ai tre pastorelli questa preghiera: "Gesù mio perdonateci le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell'inferno, portate in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia".
    E' celebre il miracolo del padre gesuita Antonio Baldinucci (1665-1717), ricordato nel suo decreto di beatificazione. Il 12 aprile 1706 padre Baldinucci tenne una predica nel paese di Giulianello vicino a Cori. Rivolgendosi ai suoi ascoltatori disse "Sapete mio popolo, come le anime cadono all'inferno? Come da quest'albero cadono le foglie". Appena ebbe pronunciato queste parole, dall'albero sotto cui predicò e che indicò con le sue mani, un olmo, cominciarono a cadere le foglie in tala massa come se nevicasse. La caduta delle foglie, dicono i testimoni, durava così a lungo che nel frattempo si sarebbe potuto pregare quattro volte il Credo. Non era autunno, ma primavera, e nessuna foglia cadde dagli altri olmi, vicini a quello sotto cui predicava. La scena fu talmente impressionante che provocò molte conversioni e cambiamenti di vita.
    "Tremare al pensiero della dannazione è una grande grazia che si riceve da parte di Dio" afferma il beato Columba Marmion (1858-1923). Il timore dell'inferno ha salvato infatti molte anime. La sua negazione offrirebbe una visione deforme di Dio, misericordioso, ma non giusto. La venerabile Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915) così si esprime, rivolgendosi al Signore: "No, se non ci fosse l'inferno, mancherebbero tre gemme splendide alla corona delle tue perfezioni, mancherebbero la giustizia, la potenza e la dignità".
    Suor Josefa Menendez (1890-1923), religiosa del Sacro Cuore, vide molte anime di sacerdoti all'inferno e la Beata Suor Faustina Kowalska (1905-1938), che ebbe la straordinaria esperienza mistica di scendere, guidata da un angelo, negli abissi orridi dell'inferno, racconta di essere stata colpita dal fatto che la maggior parte delle anime che soffrivano all'inferno, erano anime che non credevano all'esistenza dell'inferno o forse, aggiungiamo noi, pensavano che fosse vuoto.

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7666

    UN NATALE DA PERSEGUITATI PER MILIONI DI CRISTIANI di Gian Micalessin
    Assieme alle guerre di Ucraina e di Gaza si è combattuto, negli ultimi due anni, un terzo conflitto alle cui vicende si è prestata, però, molta meno attenzione. Parlo del Nagorno Karabakh un territorio dove santuari e monasteri risalenti al primo secolo sono il simbolo dell'essenza cristiana della regione. In questi due anni i 130mila abitanti di quell'enclave cristiana sono stati costretti a un drammatico esodo di massa. Eppure la loro tragedia è rimasta sorda e inascoltata. In loro difesa non si è levata una sola voce. Questo sciagurato silenzio ci ricorda come il conflitto del Nagorno Karabakh rientri nell'immensa tragedia delle comunità cristiane perseguitate. Una dimensione di cui spesso non si ricorda né il perdurare, né il numero delle le vittime». Alessandro Monteduro direttore di Acs «Aiuto alla Chiesa che soffre» - la Fondazione della Santa Sede, deputata alla salvaguardi della libertà religiosa - affronta così, in vista del Natale, il tema della persecuzione dei cristiani. Un tema spesso dimenticato ignorato o sottovalutato, ma le cui cifre non sono meno tragiche di quelle della guerra in Ucraina o a Gaza. Secondo Acs almeno 360 milioni di cristiani nel mondo sperimentano «alti livelli di persecuzione e discriminazione a motivo della loro fede». E le vittime aumentano di anno in anno. Nel 2022 oltre 5.200 cristiani hanno pagato con la vita la loro fede, almeno altrettanti sono stati rapiti e più di 4.500 sono stati arrestato o detenuti. Mentre oltre duemila fra chiese ed edifici religiosi sono stati rasi al suolo. MORIRE PER NON RINNEGARE CRISTO Alla dimensione tragica si aggiunge quella demografica. Tra le nazioni più restie a rispettare la libertà religiosa vi sono quelle più popolose del mondo. Dalla Cina all'India, dal Pakistan al Bangladesh per arrivare in Nigeria e Pakistan le violazioni della libertà di fede riguardano, direttamente o indirettamente, quasi 5 miliardi di persone. L'eccezionale dimensione quantitativa di queste violazioni, fa notare il direttore di Acs «non è accompagnata da una commisurata presa di coscienza dell'Europa e del cosiddetto mondo libero». Parole gentili per spiegare che in sintesi il mondo occidentale se ne frega delle libertà religiose. Anche, o soprattutto, quando sono in ballo quelle dei nostri fratelli cristiani. «Accettare l'idea che si possa morire per non abiurare alla propria fede - spiega Monteduro - è qualcosa che stride con il relativismo politico e ideale dilagante nella nostre società. Accettare l'idea che 120mila cristiani della piana di Ninive in Iraq abbiano abbandonato tutto pur di non rinunciare alla propria identità e alla fede in Cristo significa misurarsi con un'idea di libertà religiosa che l'Occidente non comprende più. Anche perché l'ha relegata a un livello inferiore rispetto alle libertà più di moda come le libertà sessuale o la libertà di genere. E questa è la beffa più clamorosa per i nostri fratelli cristiani spesso perseguitati perché considerati vicini all'Occidente. Mentre, in realtà, noi Occidentali scegliamo di ignorarli o dimenticarli». L'evidenza di questo patologico disinteresse per il dramma dei nostri fratelli nella fede si nasconde anche tra le cifre dei flussi migratori provenienti dalle coste del Nord Africa. Guardando alle prime dieci nazionalità dei migranti sbarcati in Italia quest'anno scopriamo che quelli provenienti dal Burkina Faso sono letteralmente decuplicati passando dai circa 300 del 2022 agli 8.410 di quest'anno. Con un paradossale incremento del 2.512%. «Il Sahel - sbotta Monteduro - è la miopia delle miopie. E riguarda anche le chiese d'Europa. Quando l'Isis si impose in Siria e Iraq ci fu una reazione che unì l'Occidente e le nostre chiese. E questo consentì, in prospettiva, la disarticolazione militare del Califfato. Oggi il dramma nel Burkina Faso non è diverso. Il 50% del suo territorio è in mano a micro-califfati e i cristiani sono costretti alla fuga per timore di quest'avanzata jihadista. In Mali e Ciad non va molto diversamente. Eppure in Europa tutti sembrano ignorarlo. Questa miopia e questa indifferenza sono paradossali. Perché se anche avessimo deciso di fregarcene dei cristiani in fuga come possiamo ignorare che chi abbandona quelle terre finisce poi con l'approdare sulle nostre coste?». L'ESODO CRISTIANO DAL MEDIORIENTE Ma a far tremare i polsi sono anche i numeri dell'esodo cristiano dal Medioriente. I cristiani d'Iraq che nel duemila superavano il milione e mezzo sono oggi poco più di 150mila. In Siria le cifre sono simili. Del milione e mezzo di cristiani censiti nel 2010 ne sono rimasti, dopo 12 anni di guerra civile e religiosa, poco meno più di cinquecentomila. Ad Aleppo, cuore della comunità, i numeri sono scesi da oltre 150mila a meno di 25mila. «Ma la scomparsa dei cristiani - sottolinea Monteduro - è anche la cartina di tornasole dello spostamento geopolitico della Siria. Il paese colpito dalle sanzioni di Europa e Stati Uniti è tornato a sedere nella Lega Araba e si è rivolto alla Cina per i suoi beni essenziali. In pratica non solo si è svuotato dei cristiani, ma non ha neppure più bisogno dell'Italia e dell'Europa. L'assenza cristiana diventa insomma il simbolo della nostra irrilevanza». In Oriente non va meglio. In India - paese da un miliardo e 450 milioni di abitanti - 12 dei 36 Stati prevedono leggi anti conversione che puniscono con galera e durissime sanzioni economiche gli induisti pronti a convertirsi al cristianesimo. Senza contare le rappresaglie sociali e le violenze che spesso le accompagnano. In Cina i tentativi di dialogo avviati dalla Santa Sede dopo gli accordi sulla nomina dei vescovi non hanno alleviato la situazione di reale oppressione. «Parliamo - spiega Monteduro - di controlli sulla vita dei fedeli e sulla loro partecipazione alle cerimonie, di arresti dei vescovi non riconosciuti dal Partito e, persino della richiesta di sostituire crocefissi o immagini della Madonna con i ritratti del presidente di Xi Jinping. Controlli resi ancor più oppressivi grazie all'uso dei sistemi digitali di sorveglianza che si avvalgono dell'intelligenza artificiale e possono controllare i contenuti dei cellulari e la partecipazione alle comunità dei fedeli». Insomma per molti milioni di cristiani il prossimo Natale non sarà una festa, ma la triste celebrazione di un'era di paura e persecuzione. In questo clima sostanzialmente mesto il direttore di Acs sottolinea però i segnali incoraggianti lanciati dal governo italiano. «Dopo la Festa della donna celebrata da Giorgia Meloni con due ragazze nigeriane vittime della ferocia di Boko Haram il Fondo per le minoranze cristiane è stato rifinanziato con circa 10 milioni di euro ed è stato nominato un inviato speciale per i cristiani perseguitati. Piccoli segnali, ma fonte per noi di concreta speranza».

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    IL NUOVO PRESEPE PIU' INCLUSIVO, LAICO E GREEN di Raffaella Frullone
    Cosa non si fa in nome dell'inclusione. Anche a Natale. Prima vennero le maestre di Agna, nel padovano, preoccupate del nome "Gesù" nelle canzoncine per i bimbi, che hanno sostituito ad un più melodico "cucù". D'altra parte perché questa smania di citare Gesù? Manco fosse il protagonista della festa. Travolte dalle polemiche si sono scusate: «Non era assolutamente nostra intenzione mancare di rispetto ai bambini e alla comunità intera - hanno detto-. Tutto ciò che viene fatto nella scuola è sempre stato a favore della crescita, per una formazione umana, culturale e civile dei bambini». Ci sarebbe da chiedersi come il "cucù" potesse contribuire alla crescita umana, culturale e civile, ma teniamo buone almeno le scuse.
    Che pare non siano invece arrivate da don Vitaliano Della Sala, parroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Capocastello, frazione di Mercogliano, nell'avellinese, che per questo Natale ha allestito un presepe "con due mamme", "due Madonne" per la precisione, e senza san Giuseppe. «La logica dell'inclusività è l'avvenire della Chiesa» aveva spiegato, intanto ed essere escluso era stato il padre putativo di Gesù, espunto da quella grotta di Betlemme in cui sono arrivati proprio perché ce li ha portati Giuseppe per il censimento. Immediatamente ha reagito un altro parroco campano, don Maurizio Patriciello, che ha chiesto a don Vitaliano di rimettere San Giuseppe al proprio posto. Detto fatto, San Giuseppe è stato rimesso nel presepe, ma accanto alle due Madonne, che lì sono rimaste perché secondo don Vitaliano «bisogna accogliere queste famiglie».
    Se il quadro è questo dunque, perché stupirsi se "Più Europa" propone ben quattro versioni alternative della natività? Sulle sue pagine social infatti il partito europeista nato dai Radicali ha ben pensato di augurare "buone feste" con un collage di quattro varianti di altrettante natività arcobaleno, c'è quella "con due Madonne", quella "con due San Giuseppe", quella con il Bambino Gesù nero, quella con la Madonna e Gesù neri, ma senza San Giuseppe. Il testo è eloquente: «Il bello delle tradizioni è che possono cambiare. Buone feste da +Europa ».
    E così quella formazione che alle ultime politiche non è riuscita a sforare la soglia di sbarramento del 3% è tornata a far parlar di sé. Per una campagna che non è stata apprezzata nemmeno dai suoi. Tra chi ha detto addio al partito c'è stata Anita Likmeta, imprenditrice italo albanese, che ha postato su Facebook il suo dissenso: «Se +Europa pensa di difendere la diversità con ammiccamenti ipocriti alla tradizione, io per il ruolo della Madonna lesbica non sono disponibile. Addio a Più Europa e buon suicidio politico (non assistito)!»
    Niente di nuovo sotto il sole. Oggi come ieri il cristianesimo è un facile bersaglio di chi cerca di espungere l'origine della vita dall'orizzonte comune, ma è una battaglia persa. Se sopravvive al peccato dei fedeli, a certi sacerdoti persi nelle loro miserie ed eresie, perché la Chiesa dovrebbe soccombere per un partito che molti nemmeno ricordano più?
    Nota di BastaBugie: siccome a Natale siamo più buoni, forniamo noi le indicazioni per il prossimo anno che possono essere utili alle scuole e alle parrocchie che vogliono mantenersi al passo con i tempi.
    Auguri con il nuovo presepe più inclusivo, laico e green.
    Non contiene animali per evitare accuse di maltrattamenti. Non contiene Maria, perché propone l'immagine di una donna prona al patriarcato. Quella del falegname Giuseppe non c'è perché il sindacato non ne autorizza l'uso. Gesù Bambino è stato rimosso perché non ha ancora scelto il suo sesso, se sarà maschio, femmina o qualcos'altro.
    Non contiene più i Magi, perché potrebbero essere migranti e uno di loro è nero (discriminazione razziale, xenofoba). Non contiene la stella cometa per ridurre l'impatto ambientale e l'inquinamento luminoso. Inoltre, non contiene più gli angeli per non offendere gli atei, i musulmani e le altre credenze religiose.
    Infine, abbiamo eliminato la paglia, a causa del rischio di incendio, perché non conforme alla norma europea 69/2023/CZ. È rimasta solo la capanna, realizzata in legno riciclato proveniente da foreste conformi agli standard ambientali ISO, alta esattamente 2.70 m, il minimo per ottenere l'abitabilità.

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    PUO' VENIRE QUALCOSA DI BUONO DA NAZARETH? SI, LA SANTA CASA di Roberto De Mattei
    La miracolosa traslazione della Santa Casa di Maria da Nazareth a Loreto è forse il maggior onore riservato dalla Provvidenza all'Italia, dopo la scelta di Roma come sede della Cattedra di Pietro. «Può mai venire qualcosa di buono da Nazareth?» (Gv. 1, 46) dicevano con sprezzante sufficienza i giudei. Ebbene, l'umile casa di Nazareth, in cui la Madonna vide la luce fu il luogo scelto da Dio per l'ora suprema della storia. Tra le sue povere mura l'Angelo rivelò a Maria i misteri immensi della Santissima Trinità, dell'Incarnazione e della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, chiedendole l'assenso per realizzare il grande piano divino. Maria, scrive san Tommaso d'Aquino nella Somma Teologica, rispose a nome di tutta l'umanità, pronunciando la parola attesa da tutti i secoli e da tutte le generazioni: Fiat!
    Questa risposta compendiò tutto in maniera eccelsa, la terra e il cielo, il passato e l'avvenire, il tempo e l'eternità. Nella Santa Casa risuonò la stessa parola detta da Dio nella creazione, ripetuta in modo talmente perfetto da una creatura, che da essa, affermano i teologi, scaturì quasi un'altra creazione. Una nuova epoca per l'umanità si apriva. L'Eterna Sapienza assumeva carne mortale, il Figlio Unigenito di Dio si faceva uomo, il seno di Maria diveniva il tabernacolo del Verbo Incarnato.
    La storia della Santa Casa di Nazareth rivela tutto l'amore riservato dalla Provvidenza al luogo sacro dell'Incarnazione. Per oltre mille anni in Palestina essa fu il santuario più venerato dai pellegrini dopo il Santo Sepolcro. Ma ciò che Dio permise per il Santo Sepolcro, non tollerò per la Casa di Sua Madre. Quando, nella seconda metà del secolo XIII, i musulmani invasero la Galilea e si impadronirono dei luoghi santi, gli Angeli, secondo la tradizione, trasportarono la Santa Casa sulle rive dell'Adriatico, in Dalmazia, e poi a Loreto, presso Recanati, dove essa giunse, nel 1294, sotto il pontificato di Celestino V. La notizia dello straordinario prodigio si diffuse rapidamente in tutta Europa e Loreto divenne ben presto il primo santuario dell'Occidente, presso cui nel corso dei secoli accorsero, in devoto pellegrinaggio, santi, pontefici, sovrani e gente di ogni condizione.
    L'AUTENTICITÀ DELLA SANTA CASA
    I Papi, in oltre sei secoli, hanno approvato l'autenticità della Santa Casa con documenti e atti solenni di ogni genere, arricchendo il Santuario di visite, doni, privilegi e indulgenze. In particolare, nel secolo XX, Benedetto XV ha solennemente riconfermato, nella liturgia, il solenne cerimoniale della miracolosa Traslazione (10 dicembre) e Pio XI, col Breve Apostolico del 15 giugno 1923 ha concesso a Loreto l'indulgenza plenaria «toties quoties», uguale a quella della Porziuncola di Assisi.
    C'è chi ha messo in discussione l'autenticità della Santa Casa. Ma le prove storiche sono innumerevoli. Ne basti una. La Santa Casa è priva di fondamenta, letteralmente «posata» sul terreno. La perfetta costruzione delle mura a strati orizzontali congiunti da malta di ottima qualità, esigerebbe una fondazione che ne assicuri il solido appoggio. Al contrario mancano non solo le fondamenta, ma anche una qualsiasi preparazione del terreno sottostante, che si presenta invece come disciolto e polveroso. Le mura posano sopra lo strato superficiale del suolo e in parte sopra un fondo stradale. In alcune parti, addirittura, la Santa Casa non tocca terra. Com'è possibile che un edificio si possa mantenere nella sua integrità per sette secoli senza fondamenta e senza sostegni? Gli architetti che hanno lavorato a Loreto affermano che, tra i tanti, questo è il miracolo più impressionante. A ciò si aggiunga che le dimensioni della Santa Casa coincidono perfettamente con quelle delle fondamenta rimaste a Nazareth e che l'analisi chimica delle pietre ha dimostrato che i muri sono formati con pietre della Palestina, cementate con un impasto di calce unita a cenere, paglia e bitume, secondo l'antichissimo uso ebraico.
    I Papi, i santi e i pellegrini accorsi a Loreto nel corso dei secoli, non hanno voluto venerarvi un qualsiasi santuario mariano, ma la Santa Casa di Nazareth, prodigiosamente traslata dagli angeli. È famosa la visione di san Giuseppe da Copertino il quale, il 10 luglio del 1657, mentre si trovava nel convento di Osimo, vide moltitudini di angeli andare e venire dal Cielo sulla cupola della Santa Casa: rapito in estasi, il santo volò sopra un mandorlo del giardino.
    UN PROFONDO SIGNIFICATO
    La devozione verso la Santa Casa di Loreto assume nella nostra epoca di crisi un profondo significato. La Domus Mariae per molte ragioni è intimamente legata alla nascita della Chiesa cattolica. Infatti:
    1) Essa fu il tempio dell'Incarnazione. Tra queste sacre mura fu concepito e crebbe Gesù Cristo, fondatore e capo della Chiesa.
    2) Essa fu la Casa di Maria, cioè della creatura che, secondo i teologi, è l'esemplare che realizza in sé nel modo più perfetto la Chiesa e alla quale perciò la Chiesa stessa è configurata.
    3) Essa fu la culla della Chiesa nascente, perché Maria, dopo avervi custodito nel suo Seno lo stesso Verbo, e averne conservato gelosamente nel Cuore tutti i detti e i fatti, in questo luogo, dopo la Resurrezione, trasmise agli Apostoli la dottrina del Divino Maestro, sostenendo e confermando la loro fede.
    Tra queste mura, infine, secondo la tradizione, fu celebrato per la prima volta il Divino Sacrificio. Ancor oggi è conservato, nella Santa Casa, l'Altare degli Apostoli, miracolosamente traslato con essa; nel luogo stesso in cui la SS. Vergine aveva fatto discendere per la prima volta sulla terra Gesù Cristo, san Pietro vi pronunciò le parole della Consacrazione, che ancora oggi si ripetono in ogni Messa.
    La Santa Casa non ci offre solo l'immagine di un tempio prezioso, ma anche quella di una splendida reggia. Essa fu infatti la dimora, oscura ma regale, di Maria Regina del Cielo e della Terra. Le sue mura benedette riflettono lo splendore del regno di umiltà e di nascondimento della Beatissima Vergine nella sua vita terrena, ma prefigurano anche il regno splendente di Maria sulle anime e sulle nazioni da Lei stessa profetizzato a Fatima nel 1917.

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    L'ALBERO DI NATALE SOSTITUISCE LA QUERCIA DI THOR ABBATTUTA DA SAN BONIFACIO di Paola Belletti
    L'Avvento è un tempo di attesa e preparazione e si può spendere bene anche raccontando e ascoltando storie. Quella sulla vera origine dell'albero di Natale fa al caso nostro. Intanto non c'è vera opposizione tra presepe e albero, non siamo la versione cattolica e secolare di Coca Cola vs Pepsi. Nemmeno la velata (di zucchero) ostilità tra i supporter del Panettone e quelli del Pandoro. Siamo una civiltà piena di storie avvincenti, santi eroi, simboli potenti, i soli ancora a poter dire che Qualcosa da festeggiare c'è eccome. Il primo albero di Natale come lo intendiamo noi, prima ancora che le lucine le accendesse Alexa ad un nostro comando (al terzo, quarto tentativo di sicuro), lo ha inventato e realizzato un vescovo e martire nel 724: si tratta di San Bonifacio 680-754), inglese di nascita e ricordato con gratitudine dalla Chiesa universale come l'Apostolo della Germania.
    La sua storia, la sua indole e l'opera di evangelizzazione che ha compiuto sono la cosa più lontana dalla svenevolezza che molti detrattori attribuiscono allo stereotipo del santo cattolico. (Ecco una battaglia contro gli stereotipi che ha senso fare, grazie San Bonifacio et alii). In un bel contributo riproposto su Churchpop, originale di Mountain Catholic, troviamo una gradevole e sintetica versione delle vicende che diedero origine all'abete addobbato che ora scalda tante case nel mondo. Nato intorno al 680 in Inghilterra, Bonifacio entrò in un monastero benedettino prima di essere incaricato dal papa di evangelizzare la Germania moderna, prima come sacerdote e infine come vescovo.
    Sotto la protezione di Carlo Martello (quello che fermò i musulmani nella famosa battaglia di Poitiers del 732, per intendersi), Bonifacio viaggiò attraverso tutta la Germania, irrobustendo la fede di quelli che avevano già incontrato l'annuncio cristiano e annunciando la vera salvezza a quelli che ancora erano nell'oscurità della fede pagana, detta così papale papale, come si può fare almeno parlando di Medioevo, quando non si era obbligati a rispettare glossari di parole consentite e galatei impossibili per non rischiare di offendere qualcuno.
    IL PRIMO ALBERO DI NATALE
    Lo stesso Benedetto XVI, che era in debito con lui per aver incontrato la fede cattolica maturata per secoli nella sua terra, ci ricordava in un'udienza generale del 2009 i grandi risultati della sua opera di evangelizzazione, grazie alla «sua instancabile attività, il suo dono per l'organizzazione e il suo carattere adattabile, amichevole, ma fermo». Ecco come viene descritto in un racconto di fine ‘800, "Il primo albero di Natale" (1897) di Henry Van Dyke: «Che uomo era! Bello e leggero, ma dritto come una lancia e forte come un bastone di quercia. Il suo viso era ancora giovane; la pelle liscia era abbronzata dal vento e dal sole. I suoi occhi grigi, puliti e gentili, lampeggiavano come il fuoco quando parlava delle sue avventure e delle cattive azioni dei falsi sacerdoti con cui litigava».
    Ora immaginiamoci un uomo giovane, bello, forte, incurante delle intemperie, virtuoso e tutto teso alla propagazione del Regno di Dio che attraversa foreste, accende fuochi, veglia in preghiera (e a noi invece è toccata l'epoca dei reels con l'hashtag #Jesus su TikTok): eccolo durante uno dei suoi viaggi insieme ad un piccolo gruppo; si trova nella regione della Bassa Assia e siamo intorno al 723. Sapeva di una comunità di pagani vicino a Geismar che, in pieno inverno, avrebbe fatto un sacrificio umano (un bambino, in genere) al dio del tuono Thor (quel Thor!) alla base della loro sacra quercia, la "quercia del tuono".
    Un vescovo amico gli aveva consigliato di distruggere la quercia sia per salvare la vita al bambino, sia per mostrare che di Dio ce n'è uno solo: era certo che nessun fulmine lo avrebbe colpito e Thor se ne sarebbe andato con le ossa e il suo famoso martello rotti. Così avvenne: impugnando il pastorale Bonifacio si avvicinò alla folla pagana che aveva circondato la base della Quercia del Tuono, dicendo al suo gruppo: «Ecco la Quercia del Tuono, e qui la croce di Cristo spezzerà il martello del falso dio, Thor». Il carnefice era vicino al bambino destinato al sacrificio e stava alzando il martello per abbatterlo su di lui, ma mentre stava per sferrare il colpo mortale Bonifacio stese il suo pastorale, lo bloccò e miracolosamente ruppe il grande martello di pietra. Ciò che si narra disse dopo è una meravigliosa sintesi della novità di Cristo: il Figlio di Dio è venuto a salvare tutto, persino il sacrificio, cambiandolo definitivamente, rivelando l'inutilità di ogni sanguinoso sacrificio compiuto dagli uomini: «Hearken, figli della foresta! Nessun sangue scorrerà questa notte se non quello che la pietà ha tratto dal seno di una madre. Perché questa è la notte della nascita di Cristo, il figlio dell'Onnipotente, il Salvatore dell'umanità. Più bello è di Baldur il Bello, più grande di Odino il Saggio, più gentile di Freya il Buono. Da quando è venuto il sacrificio è finito. L'oscurità, Thor, che hai vanamente chiamato, è morto. Nell'orlo della Niffelheim si perde per sempre. E ora in questa notte di Cristo comincerai a vivere. Questo albero di sangue non scurirà più la tua terra. Nel nome del Signore, lo distruggerò.» Bonifacio prese un'ascia e non solo abbatté la quercia ma, secondo il racconto, con l'aiuto del vento la sradicò del tutto.
    LA QUERCIA DI THOR ABBATTUTA DA SAN BONIFACIO
    Senza perdere altro tempo, consapevole della vastità della messe da raccogliere, Bonifacio riprende il suo viaggio di apostolo e continua a portare l'annuncio di Cristo, unico salvatore, ai popoli germanici. Sui quali da quel momento poteva esercitare un ascendente più forte di prima: erano decisamente persuasi o almeno disposti a sentire cosa avesse da dire uno che, pur avendo abbattuto la quercia di Thor, non era stato annientato dalla rabbiosa potenza del suo tuono. E fu così che, al posto della quercia, Bonifacio scelse un albero che continua ad avere più fortuna di quella: Bonifacio guardò oltre dove si trovava la quercia, indicando un piccolo, modesto abete, dicendo:
    «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il tuo albero santo stasera. È il legno della pace... È il segno di una vita infinita, perché le sue foglie sono sempre verdi. Guarda come punta verso l'alto verso il cielo. Che questo sia chiamato l'albero del Cristo-bambino; raccogliti, non nel bosco selvaggio, ma nelle tue case; lì non riparerà azioni di sangue, ma doni amorevoli e riti di gentilezza.» Abbiamo dunque un altro stereotipo da abbattere, magari chiedendo l'intercessione di quel gran santo di Bonifacio: è proprio ai nostri fratelli tedeschi, ingiustamente ritenuti tutto rigore e niente fantasia, che dobbiamo la bellezza e la dolcezza, la magia e il calore di uno dei simboli più belli del Natale. A loro dobbiamo gli addobbi, le lucine, i piccoli assembramenti di pacchi colorati, le caramelle e alcuni canti tra i più belli della tradizione. A Dio e alla sua infinita bontà l'impensabile trovata di regalarci Suo Figlio e in Lui la vita eterna.
    Un'ultima nota storica, più recente ma altrettanto gradevole da ricordare intorno alla vasta fortuna dell'Albero di Natale. Fu San Giovanni Paolo II, nel 1982, a dare il via alla tradizione di collocare un abete addobbato in Piazza San Pietro, vicino al presepe.
    Quell'abete era un dono di un contadino polacco, che lo trasportò fino a Roma sul suo camion. Da allora in poi, per espresso volere del Santo Padre, puntualmente si ripete la tradizione a ricordo della Natività di Gesù: un presepe viene allestito ai piedi dell'obelisco e alla sua destra viene eretto l'albero di Natale, donato ogni anno da una regione montana diversa dell'Europa.

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    BISOGNA BACIARE OGNI CROCE CHE IL SIGNORE PERMETTE NELLA NOSTRA VITA
    I santi hanno un legame profondo con la Croce, da San Francesco a Santa Veronica Giuliani, da Santa Brigida a Padre Pio
    da I Tre Sentieri
    Nel film The Passion di Mel Gibson c'è questa scena: consegnano a Gesù, ormai già una maschera di dolore e di sangue per le flagellazioni subite, la Croce; ed Egli s'inginocchia dinanzi ad essa e la bacia.
    Dunque, Gesù bacia il proprio patibolo. Il Cristianesimo esige - anzi possiamo dire: pretende - anche questo paradosso: baciare lo strumento del propria sofferenza.
    Ciò si spiega con la scelta che Dio ha fatto: salvare attraverso la sofferenza. Una scelta certamente misteriosa, ma vera, indiscutibile, che non si può negare. E se lo si volesse negare, si nullificherebbe il Cristianesimo stesso.
    Scrive san Luigi Grignon de Monfort nella sua Lettera agli amici della Croce: "Non accogliete mai una croce senza baciarla con umile gratitudine, e se poi la bontà di Dio vi favorisse di una croce un po' pesante, ringraziatelo in modo speciale e invitate altri a ringraziarlo. Fate come quella povera donna che, dopo aver perso tutti i suoi beni in un processo a lei ingiustamente intentato, fece subito celebrare una Messa con l'offerta dei dieci soldi che le erano rimasti, per ringraziare il Signore della buona sorte che le era capitata".
    Amare dunque la Croce, baciarla, ringraziare perché c'è... sembrano cose del tutto innaturali. Se si ragionassimo solo attraverso la carne (come direbbe san Paolo) saremmo nell'assurdo; ma se si ragionasse secondo lo spirito, allora si capirebbe tutto. Si capirebbe che è proprio la Croce di Cristo a rendere tutto intellegibile, tutto ordinato, tutto consolante, nell'opprimente caos del non senso che ci sarebbe se la Croce non ci fosse. Infatti, senza la Croce non si capirebbe come non disperarsi dinanzi al male.
    Nota di BastaBugie: Antonio Tarallo nell'articolo seguente dal titolo "La Croce, i crocifissi e i santi, un legame profondo" parla dei santi che hanno avuto un legame profondo con la Croce e, di conseguenza, con i crocifissi.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 settembre 2023:
    «Ti saluto, o Croce santa,/ che portasti il Redentor;/ gloria, lode, onor ti canta/ ogni lingua ed ogni cuor»: queste, le parole dell'inno che accompagnano la liturgia dei venerdì di Quaresima che precedono la Pasqua. Sono parole di un inno alla Croce - «vessillo glorioso di Cristo» e «salvezza del popol fedel» - che tutti conosciamo. Ed è proprio la Croce, signum fondamentale per il cristianesimo, ad essere esaltata nella festività che viene celebrata oggi dalla Chiesa cattolica. Contemplandola, le immagini si rincorrono.
    Fra questi fotogrammi ce n'è uno particolare: nella cappella maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo, vi è un affresco dal titolo L'Esaltazione della Croce (nella foto), opera di Piero della Francesca, uno dei capolavori della pittura rinascimentale. I colori e le forme creati dall'artista raccontano il rientro della Santa Croce a Gerusalemme per poter essere issata per la devozione. L'imperatore Eraclio I (la sua figura è andata perduta nell'affresco), dopo aver ripreso la Croce sconfiggendo Cosroe II, si appresta a riportarla in città, ma un angelo lo interrompe sulla via e ferma la sua parata trionfale. Il vescovo Zaccaria lo esorta, allora, a un atteggiamento d'umiltà: solo entrando scalzo, l'imperatore potrà riportare la Croce a Gerusalemme. È questa l'umiltà che si deve portare al Sacro Legno che ha visto Cristo sofferente e morente. Ed è questa l'umiltà che i santi hanno sempre dimostrato davanti all'inesplicabile mistero che è racchiuso in quel simbolo di morte divenuto per ogni cristiano simbolo di luce e risurrezione.
    Inevitabile, dunque, che tutti i santi abbiano avuto un legame profondo con la Croce e, di conseguenza, con i crocifissi, riproduzioni lignee o di altra fattura che iconograficamente ci presentano il momento del Cristo sul Golgota.
    San Francesco d'Assisi ha avuto con la Croce sempre un dialogo particolare, a cominciare dal Crocifisso di San Damiano, la famosa opera lignea davanti alla quale il Padre Serafico ha ricevuto la chiamata a servire la Chiesa di Dio, a "ripararla". Il crocifisso fu trasferito, nel 1257, nel protomonastero di Santa Chiara in Assisi dove si trova tutt'oggi: si tratta di un'icona di dimensioni 210×130 centimetri, databile intorno al 1100, di autore sconosciuto. L'opera lignea rappresenta il "Christus triumphans", cioè il "Cristo trionfante" sulla morte. La figura di Gesù è rappresentata non solitaria perché contornata da alcune figure: la Vergine Maria; san Giovanni; Maria Maddalena e Maria di Cleofa; Longino, il soldato romano che ferì il costato di Gesù. Poi, in basso a destra, vi sono: Stephaton, identificato come il soldato che offrì a Gesù la spugna imbevuta nell'aceto; e, in ultimo, poco sopra la spalla sinistra del centurione, si nota un piccolo volto che - secondo la convenzione del tempo - potrebbe essere attribuibile allo stesso volto dell'artista che ha dipinto l'icona. A chiudere tutta questa esplosione di figure, vi sono sei angeli, disposti alle due estremità del braccio orizzontale del crocifisso.
    «E anche adesso amo così caritatevolmente l'anima tua, che prima di privarmene, mi farei di nuovo mettere in croce, se fosse possibile. Imita l'umiltà mia; io, Re della gloria e degli Angeli, indossai vili panni e udii con le mie orecchie ogni insulto e disprezzo» (Rivelazioni). Sono parole d'amore cristiano quelle che Gesù rivolge a santa Brigida di Svezia. Tra la santa e il Cristo crocifisso vi è, infatti, un rapporto davvero unico: la dedizione per la Passione pone Brigida fra quelle aureole che hanno trovato in Cristo crocifisso non solo un'ideale di vita religiosa ma una vera e propria compenetrazione esistenziale. Come san Francesco rivive la Croce divenendo lui stesso alter Christus, così Brigida riesce a entrare nel Mistero del Golgota con una forza strepitosa, avvincente. Un segno visibile di questo dialogo è il crocifisso custodito, a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura. Era il 1349 quando la santa partì alla volta della Città Eterna per partecipare al Giubileo che si sarebbe tenuto nel 1350, anno in cui verrà raggiunta dalla figlia Caterina. Assieme a lei, deciderà di fare visita in pellegrinaggio alle basiliche romane. E fu proprio durante uno di questi pellegrinaggi che avvenne l'incontro tra santa Brigida e il crocifisso ligneo della basilica romana. In questo luogo, Brigida, mentre contemplava il Sacro Legno, vide il volto di Cristo volgersi verso di lei. Cominciò, così, il dialogo fra i due: quello scambio di parole darà vita al libro delle Rivelazioni e alle Quindici Orazioni sopra la Passione di N.S. Gesù Cristo. Ancora oggi, quel crocifisso è lì, nella basilica, nella Cappella del SS. Sacramento fatta costruire in occasione del giubileo del 1725, a 375 anni dal prodigioso evento.
    Altra figura femminile, santa Veronica Giuliani, conosciuta come "la sposa di Cristo". Nel monastero delle Cappuccine a Città di Castello, vicino Perugia, è conservato il crocifisso che parlò a santa Veronica. Ai tempi della santa, si trovava nell'infermeria della struttura religiosa. Nel suo Diario mistico troviamo la descrizione prodigiosa dell'evento: «Schiodando un braccio dalla croce, mi fece cenno di avvicinarmi al suo costato. E mi trovai tra le braccia di Cristo crocifisso. Quello che ho provato allora non riesco a raccontarlo: sarei voluta rimanere per sempre sul suo santissimo costato».
    E davanti a un crocifisso in legno san Pio da Pietrelcina ricevette il 20 settembre del 1918, sei giorni dopo la festa dell'Esaltazione della Croce, le stimmate. Era mattina, il frate cappuccino aveva appena celebrato la Santa Messa e al momento del ringraziamento per il sacrificio eucaristico appena celebrato viene sorpreso da una sorta di riposo, «simile ad un dolce sonno», così lo descriverà anni avanti. Intorno a lui, il silenzio e solamente il volto gemente di Cristo sulla Croce del Golgota. Ed è in quel silenzio che dopo la comparsa di un «misterioso personaggio (...) che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue», san Pio si ritroverà con «mani, piedi e costato» traforati e grondanti di sangue.
    Altro grande importante crocifisso è quello di san Camillo de Lellis, il fondatore dell'Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, che - assieme ai suoi primi compagni d'avventura - era solito riunirsi a pregare in una saletta dell'ospedale romano di San Giacomo: in questo luogo vi era custodito un crocifisso in legno che oggi si trova in una cappellina della chiesa della Maddalena (sempre a Roma), meta di molti pellegrini. Le braccia di Gesù si presentano staccate dal Sacro Legno poiché - come viene narrato nella prima biografia ufficiale del santo, Vita del Padre Camillo de Lellis di padre Sanzio Cicatelli (1615) - Cristo gli venne in sogno in un momento di sconforto spirituale, esortandolo a continuare la sua missione: «Non temere pusillanime, continua, perché questa non è opera tua, ma opera mia!». Detto ciò, staccò le sue braccia dalla Croce,

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    LO SPLENDORE DELLA CONCEZIONE GERARCHICA CONTRO GLI EGUALITARISMI MODERNI di Plinio Corrêa de Oliveira
    L'ondata satanica dell'egualitarismo, che dalla rivoluzione protestante del XVI secolo alla rivoluzione comunista dei nostri giorni ha attaccato, calunniato, sovrastato e fatto appassire tutto ciò che è o simboleggia la gerarchia, presenta ogni disuguaglianza come un'ingiustizia. È nella natura umana, dicono gli egualitari, che l'uomo si senta sminuito e umiliato quando si inchina a un superiore. Se lo fa, è perché certi preconcetti, o la regola delle circostanze economiche, lo costringono a farlo. Ma questa violenza contro l'ordine naturale delle cose non rimane impunita. Il superiore deforma la sua anima per l'arroganza e la vanità che lo portano a pretendere che qualcuno si pieghi davanti a lui. L'inferiore perde con il suo gesto alienante qualcosa dell'elevazione della personalità propria dell'uomo libero e indipendente. In altre parole, ogni volta che una persona si inchina a un'altra, c'è un vincitore e un perdente, un despota e uno schiavo.
    LA DOTTRINA CATTOLICA RIGUARDO L'ORDINE GERARCHICO DELL'UNIVERSO
    La dottrina cattolica ci dice esattamente il contrario. Dio ha creato l'universo secondo un ordine gerarchico. E ha fatto della gerarchia l'essenza di ogni ordine veramente umano e cattolico.
    A contatto con il superiore, l'inferiore può e deve portargli ogni rispetto, senza il minimo timore di abbassarsi o degradarsi. Il superiore, a sua volta, non deve essere presuntuoso o arrogante. La sua superiorità non deriva dalla forza, ma da un ordine di cose santissimo e voluto dal Creatore.
    Nella Chiesa cattolica, le usanze esprimono questa dottrina con ammirevole fedeltà. In nessun altro ambiente i riti e le formule di cortesia sanciscono così fortemente il principio della gerarchia. E in nessun altro luogo è così chiaro quanta nobiltà possa esserci nell'obbedienza, quanta elevazione dell'anima e quanta bontà possano esserci nell'esercizio dell'autorità e della preminenza.
    In una certosa spagnola un monaco inginocchiato bacia lo scapolare del suo superiore. È l'espressione della più completa sottomissione.
    Tuttavia, considerate attentamente la scena e vedrete quanta virilità, quanta forza di personalità, quanta sincerità di convinzione, quanta elevatezza di motivazioni l'umile monaco inginocchiato mette nel suo gesto. C'è qualcosa di santo e di cavalleresco, di grandioso e di semplice, che fa venire in mente allo stesso tempo la "Legende Dorée", la "Chanson de Roland" e i "Fioretti" di San Francesco d'Assisi.
    Inginocchiato e sconosciuto, questo umile religioso è più grande dell'uomo moderno, una molecola vana, impersonale, anonima e inespressiva della grande massa amorfa in cui si è trasformata la società contemporanea.
    L'AMBASCIATORE DI FRANCIA INGINOCCHIATO DAVANTI AL SANTO PADRE
    Dopo l'umiltà del monaco, consideriamo quella del gentiluomo. Il conte Wladimir d'Ormesson è stato ambasciatore di Francia presso la Santa Sede fino alla metà del 1956. Nella nostra fotografia, è vestito con la solenne uniforme di un diplomatico, inginocchiato davanti al Santo Padre Pio XII durante un'udienza. È difficile immaginare un atteggiamento che esprima, in modo così completo e al tempo stesso, un'alta consapevolezza della propria dignità e un vivo rispetto per l'autorità eccelsa e suprema davanti alla quale l'ambasciatore ha l'onore di trovarsi. Il ginocchio a terra, ma il tronco e il collo eretti, la nobiltà e la riverenza del saluto, tutto, insomma, dimostra quanto rispetto e quanta dignità siano contenuti negli stili diplomatici tradizionali, di cui il Conte si mostra qui fedele interprete, e che si sono sviluppati nei secoli d'oro della civiltà cristiana.
    D'altra parte, consideriamo il priore. C'è una sorta di contrasto tra la sua figura grande, bianca, eretta, robusta, stabile, che esprime autorità, sicurezza e protezione paterna, e l'espressione fisionomica che sembra neutra, impassibile, serena, un po' distante. La figura esprime l'atteggiamento ufficiale del priore. La fisionomia esprime il distacco, la semplicità dell'uomo. Perché non è l'uomo in quanto tale, ma la carica, a cui è rivolto l'omaggio.
    E, con tutto il rispetto, consideriamo la posizione del Pontefice. Seduto su un piccolo trono, non si alza per ricevere l'omaggio dell'ambasciatore. Tuttavia, inclina leggermente il busto per avvicinarsi al conte. Tiene la mano nella sua. Dà all'intero ricevimento una nota di cordialità molto marcata. E pur mantenendosi, tuttavia, interamente come Papa, dà ogni segno della più calda benevolenza e della più alta stima per l'ambasciatore.
    Quattro atteggiamenti ispirati da una visione molto gerarchica delle cose, tutti loro nobili, dignitosi, onorevoli, anche se ognuno a modo suo. In una parola, lo splendore dell'umiltà cristiana e la bellezza di una vita gerarchica.

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    LA DISPERSIONE DELLE CENERI E' UN RITO PAGANO, NON CATTOLICO di Padre Angelo Bellon

    Buongiorno p. Angelo,
    ho letto sul sito tutte le risposte in merito alla cremazione e dispersione in natura. Mia madre ha chiesto entrambe le cose.
    Ora vorrei chiederLe se a parte una preghiera al momento della dispersione ci sono altre pie pratiche o preghiere fa fare.
    Grazie.
    Cordiali saluti.

    RISPOSTA DEL SACERDOTE

    Carissima,
    la Chiesa preferisce la sepoltura dei corpi, sebbene acconsenta alla loro cremazione.
    E questo per quattro motivi menzionati dall'Istruzione "Ad resurgendum cum Christo" della Congregazione per la dottrina della fede, che porta la data del 15 agosto 2016: "Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne". "Intende mettere in rilievo l'alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia". "Inoltre, la sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri risponde adeguatamente alla pietà e al rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti, che mediante il Battesimo sono diventati tempio dello Spirito Santo e dei quali, come di strumenti e di vasi, si è santamente servito lo Spirito per compiere tante opere buone". "Infine la sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri favorisce il ricordo e la preghiera per i defunti da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana, nonché la venerazione dei martiri e dei santi".
    In questa Istruzione viene ricordato che proprio attraverso la sepoltura dei corpi nei cimiteri, nelle chiese o nelle aree ad esse adibite, è stata tenuta desta la comunione tra i vivi e i defunti.
    Nello stesso tempo si è ovviato al pericolo di nascondere un evento al quale tutti dobbiamo prepararci.
    Ugualmente si rimedia ad un altro pericolo qual è quello di privatizzare la morte di una persona cara, dimenticando la dimensione sociale ed ecclesiale di ogni persona per la cui nascita ci si è rallegrati, con la quale si è vissuti insieme, che è stata partecipe della gioia e del dolore degli altri, della quale si è fruito del suo apporto e alla quale ci si è donati.
    Privilegiando dunque la sepoltura o l'inumazione, tuttavia "laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, scelta che non deve essere contraria alla volontà esplicita o ragionevolmente presunta del fedele defunto, la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi, poiché la cremazione del cadavere non tocca l'anima e non impedisce all'onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l'oggettiva negazione della dottrina cristiana sull'immortalità dell'anima e la risurrezione dei corpi".
    La cremazione è vietata solo nel caso in cui venga "scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana".
    Fatta la cremazione per ragioni legittime, "le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un'area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica.
    La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana.
    In tal modo, inoltre, si evita la possibilità di dimenticanze e mancanze di rispetto, che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione, nonché pratiche sconvenienti o superstiziose.
    Conseguentemente l'Istruzione dichiara: "Per i motivi sopra elencati, la conservazione delle ceneri nell'abitazione domestica non è consentita".
    Vi si legge inoltre: "Non sia permessa la dispersione delle ceneri nell'aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione".
    Questo per evitare di pensare che con la morte finisca tutto e venga troncato il rapporto con i vivi.
    Sarebbe stato bello se l'Istruzione avesse ricordato l'importanza del sepolcro e della preziosità di essere sepolti in un luogo sacro. A questa lacuna supplisce San Tommaso ricordando l'importanza del monumento funebre, anche se la parola monumento dà l'impressione di qualcosa di grandioso, mentre è sufficiente un sepolcro, un loculo.
    Dice testualmente: "Tale pratica giova ai morti perché chi guarda i sepolcri ricorda i defunti e prega per loro" (Somma teologica, Supplemento, 71,11).
    "La sepoltura in luogo sacro giova al defunto: poiché si deve credere che il morto stesso, o un altro, nello scegliere la sepoltura del corpo in un luogo sacro affidi l'anima alla protezione e alle preghiere di qualche santo; e anche al patrocinio di quanti sono addetti a quella chiesa, in quanto pregano spesso per i morti tumulati presso di loro".
    In passato i cimiteri venivano legati al nome di qualche santo, soprattutto martire. Con questo si intendeva affidare le anime dei defunti all'intercessione del santo patrono del cimitero. Oggi vi supplisce l'intercessione del santo patrono di quel territorio o di quella parrocchia. Ora disperderli per l'aria o nell'acqua del mare significa sottrarli alla speciale intercessione dei santi protettori di quel luogo sacro.
    Ti benedico, ti ricordo nella preghiera e ti auguro ogni bene.

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    SACERDOTI FEDELI ALLA CHIESA CI SONO ANCORA di Lorenzo Bertocchi
    C'è ancora. Sì, potete perfino incontrarlo anche in Germania. Così attesta il Die Tagespost, ma la categoria può andare benissimo anche per l'Italia che è sempre più secolarizzata e con fede liquida.
    Ma non lo si incontra solo in campagna, c'è anche in città, qua e là. È il prete incurante di tutte le mode ecclesiali e sociali, che non frequenta i dibattiti e perfino, udite udite, non ha un social network nemmeno per sbaglio. Si limita a fare il suo: prega, dice messa, confessa, si preoccupa di stare in mezzo alla sua gente (tutta, anche quella che non ha la patente del cattolico Docg), ride con chi sorride e piange con chi piange. Non disdegna le tradizioni della sua parrocchia/santuario, sta con i giovani e con i vecchi, cura la scuola e il ricovero. Non si fa mancare le benedizioni alle famiglie. Cioè, in poche parole, esistono ancora i veri pastori d'anime e gli uomini di Dio.
    In questa temperie ecclesiale e sociale, dove sembra vedersi solo la crisi, dove tutti sono preoccupati di difendere i "buoni", auto nominandosi spesso a salvatori non solo della patria, ma anche della patria celeste (altrui), ecco che a guardar bene i preti veri ci sono ancora. Sono pochi, forse, ma sicuramente ci sono.
    Li accomuna il fatto di non farsi troppo vedere e di saper obbedire (senza troppi sofismi), virtù rarissima: conoscono le loro radici e sanno come tenerle fresche. Inflessibili contro lo zeitgeist, che conoscono seppur non lo frequentino, ma nello stesso tempo non si sognano nemmeno lontanamente di lasciare la Chiesa cattolica o di spargere al vento (del web e non) giudizi temerari su di essa (semmai pregano per essa e la sua gerarchia). Resistono alla duplice tentazione di minimizzare e condannare, restano cattolici con uno sguardo che supera le contingenze del tempo. Si preoccupano di salvare anime con i canali di grazia che la Chiesa Cattolica offre.
    Questo prete baluardo sa che ciò che conta è santificarsi per santificare, e su questo lavora giorno per giorno, nelle cose di tutti i giorni, prestando innanzitutto fede al compito che gli è stato assegnato dalla Provvidenza. Sa essere fraterno e paterno. Socievole e prudente, apprezza la franchezza di linguaggio e la chiarezza dei ragionamenti, non ama le chiacchiere e le dicerie (preferisce il silenzio, magari sofferto).
    È questa la vera deep church, fatta di uomini che non arretrano di un millimetro dalla loro postazione. Non desiderano essere altrove, vogliono proprio essere lì dove sono e di solito restano anche dopo il pensionamento, conoscendo le diverse generazioni dopo averli catechizzati, accompagnati all'altare, confessati...
    Quando leggiamo di crisi non dobbiamo eludere i problemi, ma nemmeno dimenticare questi preti di "campagna" (o di città), questa vera deep church che non si erge in articolesse, libri pensosi, video di denuncia, ideologie o partiti. Non dimentichiamolo, quando sentiamo «Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l'uno contro l'altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti (...) falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede...» (San Basilio, De Spiritu Sancto). Perché è in questo nascondimento di questi servi del Signore che è radicato il futuro, anche se ancora non lo vediamo.

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7575

    I DUBIA SPIEGATI A CHI AVESSE ANCORA DUBIA di Alfredo Maria Morselli
    I dubia sono delle domande che qualsiasi fedele può rivolgere al Santo Padre, analogamente a quanto uno scolaro può fare con la maestra. La Maestra è la Chiesa, e lo scolaro è un qualsiasi fedele.
    Il Catechismo, infatti, ci insegna che "La Legge di Dio, affidata alla Chiesa, è insegnata ai fedeli come cammino di vita e di verità. I fedeli hanno, quindi, il diritto [CIC, can. 213.] di essere istruiti intorno ai precetti divini salvifici, i quali purificano il giudizio e, mediante la grazia, guariscono la ragione umana ferita. Hanno il dovere di osservare le costituzioni e i decreti emanati dalla legittima autorità della Chiesa. Anche se sono disciplinari, tali deliberazioni richiedono la docilità nella carità" (Catechismo della Chiesa Cattolica, § 2037).
    Il Magistero ordinario è infallibile globalmente preso, ma può contenere errori in pronunciamenti particolari
    Mentre l'ispirazione del testo biblico è tale che l'agiografo gode di una tale assistenza per cui egli certamente scrive, come vero autore, senza alcun errore, tutto e solo quello che Dio muove a scrivere, questo tipo di aiuto divino non si estende in modo così perfetto al Magistero.
    Infatti, i pronunciamenti magisteriali possono in qualche modo, e in base al tenore con cui sono pronunciati, essere redatti in modo più o meno perfetto e talvolta possono contenere o favorire l'eresia o altre forme di errore.
    Neppure le definizioni infallibili, che certamente non contengono errori e richiedono necessariamente da parte del fedele l'assenso interno della fede, godono dell'assistenza propria dell'ispirazione biblica.
    Nella storia della Chiesa si sono verificati rari casi in cui i Pontefici si sono pronunciati in modo erroneo. Il caso più eclatante è stato quello di Onorio I (585-638), che favorì l'eresia monotelita asserendo che in Gesù Cristo ci sarebbe una sola volontà: per questo fu condannato da quattro Concilî, dopo la sua morte, senza che nessuno mettesse in dubbio che fosse vero Papa o che fosse decaduto dal Pontificato, o ipotizzasse la sede vacante dopo l'affermazione contraria alla vera fede.
    IL MAGISTERO ORDINARIO DEL PAPA È LA NORMA PROSSIMA DELLA FEDE
    Immaginiamo una libreria con dieci scaffali, su cui ogni credente e ogni teologo va a prendere gli argomenti per credere e per argomentare: Melchior Cano ha chiamato questi scaffali "luoghi teologici": sette luoghi teologici propri - Scrittura, Tradizione, Magistero della Chiesa, Concili, decisioni dei Papi, SS. Padri, Teologi - , e tre impropri e annessi - la ragione umana, la filosofia e la storia.
    Ebbene, il Papa ha l'ultimissima parola su tutti questi luoghi; è lui stesso che interpreta il suo Magistero e quello dei suoi predecessori, che convalida le opinioni dei Padri, che interpreta la S. Scrittura, che dice se un sistema filosofico può svolgere una funzione ancillare nei confronti della fede etc. Ovviamente la sua è una funzione di interpretazione, di esplicitazione e di trasmissione, non di creazione del deposito rivelato.
    Questa funzione è un servizio indispensabile perché altrimenti ci troveremmo davanti non a una rivelazione certa, ma a una interpretazione o a un cerchio gnostico di interpretazioni che rimandano ad altre interpretazioni. Contro questo pericolo, ci metteva in guardia San Giovanni Paolo II: «L'interpretazione di questa Parola [e, aggiungo io, analogamente, di una testimonianza autentica della Tradizione, la quale, insieme alla Parola, costituisce la Rivelazione] non può rimandarci soltanto da interpretazione a interpretazione, senza mai portarci ad attingere un'affermazione semplicemente vera; altrimenti non vi sarebbe rivelazione di Dio, ma soltanto l'espressione di concezioni umane su di Lui e su ciò che presumibilmente Egli pensa di noi» (Fides et Ratio, § 84).
    È NECESSARIO UN PRIMUM MOVENS INGIUDICABILE NELLA TRASMISSIONE DELLA RIVELAZIONE
    Possiamo applicare alla catena della trasmissione della Rivelazione il principio comune alle cinque vie di San Tommaso d'Aquino, cioè delle sue dimostrazioni dell'esistenza di Dio: si deve risalire a un primo principio, che è Dio, perché non si può andare all'infinito - Hic autem non est procedere in infinitum (S. Th. Iª q. 2 a. 3 co.) - nella serie di moti, di causa-effetto-fine, e nell'ordine delle perfezioni.
    Cerco di semplificare: un treno che parte dall'infinito non arriverà mai; se parte da molto lontano, ci metterà molto tempo, ma prima o poi arriva. Noi ci siamo e siamo arrivati, quindi è necessario che ci sia un punto di partenza: e questo è ciò che gli uomini chiamano Dio.
    Analogamente, per una fede certa e convinta, ci vuole anche il punto di partenza certo e sicuro della proposizione a credere: questo principio è Dio che si rivela, non senza la mediazione del Romano Pontefice.
    Non si può procedere all'infinito, in un loop testo-obiezione privata: «...è cosa impossibile valicare l'infinito. Se dunque la ricerca del consiglio fosse infinita, nessuno inizierebbe mai una deliberazione, contro ogni evidenza».
    E se ci troviamo di fronte a quei pochi casi in cui è per noi evidente che il Papa sbaglia?
    A questo punto sorgono le difficoltà e possibili obiezioni. Siccome il Papa non è sempre infallibile, e non tutto quello che dice richiede il grado massimo dell'assenso (assenso interno di fede), non potrò forse mettere in dubbio o contestare il Papa quando sbaglia, oppure quando non definisce o non si esprime in forme particolarmente solenni nel suo magistero ordinario?
    DUE SOLUZIONI SBAGLIATE
    Di fronte a questo problema, ci sono due soluzioni entrambe sbagliate: attribuire al Papa infallibilità in tutte le Sue affermazioni (un'intervista sull'aereo avrebbe lo stesso valore di una definizione dogmatica e un'esortazione post-sinodale varrebbe come una dottrina da tenersi in modo definitivo), oppure nell'attribuire al Papa un'infallibilità estremamente limitata - e quindi prestare l'assenso solo alle definizioni ex cathedra: in questo caso, ci troveremmo, nell'ultimo secolo, a dover credere incondizionatamente solo all'Assunzione in Cielo della Madonna (recentemente alcuni teologi hanno messo in dubbio persino l'infallibilità delle canonizzazioni).
    Quest'ultima ultima posizione trova alleati per diametrum, da un lato, teologi progressisti ed episcopati che, ad esempio, hanno accolto e valutato Humane vitae contestandola come un incidente di percorso non infallibile, e, dall'altro, pseudo-tradizionalisti, frammentati in varie forme di contestazione: un ventaglio che abbraccia sedevacantisti (vari gruppi), resistenti, Fraternità Sacerdotale San Pio X, Mons. Viganò, altri gruppi minori. Sono tutti concordi nel dire che il Papa (vero o presunto) sbaglia, ma pure sono un contro l'altro armati, per decidere quanto e come si può accettare o rifiutare Papa e Magistero. La tragicità di questa frantumazione mostra la debolezza delle premesse: di fatto, se non sono sedevacantisti, sono magistero-vacantisti, cioè scelgono che cosa va bene o no del Magistero, subordinandolo alla loro analisi, a cui attribuiscono un valore maggiore di quello del Magistero stesso.
    Si vede chiaramente l'errore comune delle due posizioni solo apparentemente contrapposte: rifiutare il primato e l'ingiudicabilità definitiva del punto di partenza.
    Come uscire dalle due false soluzioni? Appurato che non è contro la fede ritenere che un Papa non è sempre infallibile, come collocarsi, rimanendo cattolici, di fronte a un Papa di cui si potrebbe avere la certezza morale che sbaglia (ammesso e non concesso che sbagli realmente)?
    Premettendo la valutazione qualitativa del valore di una certa affermazione (se si tratta di verità definite o proposte a credere in modo definitivo ogni difetto di assenso è illecito), una via d'uscita potrebbe essere costituita dal metodo dei dubia, cioè porre al Papa una domanda analoga a quella di uno scolaro (Chiesa discente) alla propria insegnante (Chiesa docente): "Signora Maestra, non ho capito; mi sembra che Lei stamattina abbia spiegato diversamente da quello che Lei stessa ci ha detto ieri e che hanno dettole maestre degli anni scorsi. Mi può spiegare come non c'è contraddizione?"
    Questo atteggiamento interlocutorio non si pone né al posto, né al di sopra del primum movens della trasmissione della rivelazione. Ci si pone come figli che attendono una risposta dal Padre. E, se il Padre non risponde, è responsabilità e inadempienza del Padre, non disobbedienza dei figli.
    IL MAGISTERO AFFERMA LA LICEITÀ DEI DUBIA
    Il Magistero stesso afferma la liceità di questo criterio: riporto uno stralcio della Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo, del 24 maggio 1990, §§ 24 e 29-30 (grassetto e corsivo redazionale):
    «Il Magistero, allo scopo di servire nel miglior modo possibile il Popolo di Dio, e in particolare per metterlo in guardia nei confronti di opinioni pericolose che possono portare all'errore, può interv

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7573

    SE HANNO RAGIONE I LEFEBVRIANI, LE PORTE DEGLI INFERI HANNO PREVALSO di Alfredo Maria Morselli
    Vorrei esprimere la mia solidarietà alla dott.ssa Luisella Scrosati, che coraggiosamente ha spiegato come, nella devastante crisi che oggi colpisce gli uomini di Chiesa, pur con tanti pastori che remano contro la Verità, ebbene, pur in questa situazione, non è lecito schiodarsi dalla Croce e rifugiarsi presso i priorati della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
    La vostra cara collaboratrice è stata oggetto, nei giorni successivi alla pubblicazione dei suoi articoli, di un impietoso tiro al bersaglio, maleducato nei modi ed errato nella sostanza. Se forse c'è un appunto (di natura strategica) da fare ai suoi ultimi scritti, è quello di essersi dilungata su questioni particolari, piuttosto che concentrarsi sui problemi dottrinali. Non che Ella non l'abbia fatto, ma, un dibattito punto a punto rischia di impantanarsi e di dividersi in tante sotto-questioni.
    Conviene concentrarsi dunque sulla questione essenziale, che, come ha scritto Benedetto XVI, è di natura dottrinale: «La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. [...] Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l'istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa» (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei 4 Vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre, 10 Marzo 2009).
    E quali sono le questioni dottrinali? Sono soprattutto due principali (con altre minori, derivate dalle prime, ad esempio, l'allontanamento dalla dottrina tradizionale circa l'infallibilità delle canonizzazioni): il rifiuto della Nuova Messa e il rifiuto dell'autorità del Magistero dopo il 1962. Prendiamo in esame in dettaglio questi due punti.
    1) LA NUOVA MESSA VIENE RIFIUTATA IN SÉ
    La nuova Messa viene rifiutata in sé, ed è presentata come un rito che fa perdere la fede, tanto da vietarne ai fedeli la partecipazione. In pratica la partecipazione alla nuova Messa e la sua celebrazione (pur ritenuta sacramentalmente valida) sono diventati un assoluto morale, una cosa sempre da evitare, che né intenzioni né circostanze possono rendere buona, e quindi lecita. Nel 1976 Mons. Lefebvre così si pronunciava nei confronti del Novus Ordo Missae: «Ah! E questo proprio perché questa unione voluta dai cattolici liberali fra la Chiesa e la Rivoluzione è un'unione adultera! E da questa unione adultera non possono venire che dei bastardi. E chi sono questi bastardi? Sono i riti. Il rito della nuova messa è un rito bastardo. I sacramenti sono dei sacramenti bastardi. Noi non sappiamo più se sono dei sacramenti che danno la grazia o se non la danno più. Noi non sappiamo più se questa messa ci dà il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo o se non ce lo dà. I preti che escono dai seminarii, essi stessi non sanno più chi sono. [...] I preti che escono dai seminarii sono dei preti bastardi. Essi non sanno più chi sono» (Omelia di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre nella S. Messa celebrata a Lille, in Francia 29 agosto 1976).
    E queste sono le posizioni attuali immutate: don Philippe Toulza, in un articolo pubblicato sul sito italiano della Fraternità San Pio X, riassume in questi termini la soluzione del problema: «Non si può celebrare la messa con un rito non cattolico, né assistervi. Ora, la messa di Paolo VI è un rito non cattolico. Dunque non si può celebrare la messa di Paolo VI né assistervi». E nella presentazione di detto articolo, viene anche esposta la strategia pastorale per dissuadere i fedeli: «Benché nelle nostre cappelle si accolgano i nuovi fedeli così come sono, con le loro motivazioni, i loro dubbi, alcune ritrosie etc., il nostro compito è comunque quello di farli crescere nella fede, nelle nozioni, ammonendoli dei pericoli, sino ad approfondire la questione della messa, per giungere a questa consapevolezza: "Non possiamo assistere attivamente al novus ordo"».
    Che risposta dà le fede autenticamente cattolica a questa ostinazione? Se quanto asserito dalla Fraternità San Pio X fosse vero, sarebbero rese vane le promesse di Nostro Signore, il quale ci ha assicurato che le porte dell'inferno mai prevarranno contro la Chiesa: ora, visto che nel mondo ci sono oltre quattrocentomila sacerdoti, e che (se celebrano tutti i giorni) abbiamo circa 4,5 S. Messe ogni secondo (ammettiamo pure anche una riduzione a una sola S. Messa al secondo, contando gli orientali e le concelebrazioni)... ebbene, se da oltre 50 anni ogni secondo, la Chiesa, nel suo massimo atto di culto, compiuto dalla totalità morale dei Vescovi e dei Sacerdoti, compisse qualcosa di cattivo, come possono essere ritenute vere le promesse del Salvatore?
    2) IL MAGISTERO VALE SOLO FINO AL 1960
    Il secondo problema è il giudizio sul Magistero, una sorta di ortodossia ferma al 1960 piuttosto che ai primi sette concílî, un vero libero esame del Magistero, ovvero la trasformazione del cattolicesimo in una "religione del libro", piuttosto che fondata sull'assenso alla Rivelazione proposta continuamente a credere dal Magistero vivo, regola prossima della fede e ultimo e definitivo giudice della corretta ermeneutica. Naturalmente non ogni pronunciamento richiede il medesimo grado di assenso, ma nessuno "privatamente" può decidere che cosa, nel Magistero, vada bene o no a partire dal 1960.
    La prova di questo neo-protestantesimo è la frammentazione del mondo pseudo-tradizionalista, dove le varie componenti hanno le loro sacrosante ed evidenti ragioni: Fraternità San Pio X, resistenti, Viganò, sedevacantisti (a loro volta divisi in vari gruppi), senza contare alcuni liberi battitori che potremmo definire folcloristici, se non ammaliassero migliaia di persone distogliendole dalla pratica sacramentale. Ora, questa frammentazione, fondata sul Magistero post-conciliare portato innanzi all'esame tribunale della sola [loro] ragione, come non rassomiglia fin troppo a quella divisione in luterani, calvinisti, zwingliani e via via fino alle migliaia di denominazioni protestanti di oggi, ciascuna della quali è certa evidentemente delle sue ragioni?
    Sia che il punto di partenza sia la Bibbia ("Sola Scriptura"), sia il Denzinger ("Solo Denzinger"), sempre si tratta di libero esame di un libro, di una lettera che uccide in quanto priva dello Spirito vivificante che solo il Magistero vivo, accolto nella sua "autoritatività", può immettere nei cuori (Cf 2 Cor 3,6).
    PROVA DELLE MIE AFFERMAZIONI
    1) Chiedete a un sacerdote della Fraternità San Pio X se è lecito partecipare a una S. Messa, celebrata secondo il Novus Ordo, nel migliore dei modi (es.: come celebrava Benedetto XVI).
    2) Chiedete a un sacerdote della Fraternità San Pio X se accetta il nuovo Codice di diritto canonico, il Catechismo della Chiesa Cattolica, e se ritiene vincolanti i documenti del Magistero dopo il 1960, in base alla lor oggettiva nota teologica.
    Se vi risponde "No", purtroppo ho ragione io; se vi risponde "Sì", allora è fatto l'accordo dottrinale, e ciò significherebbe la fine alla divisione. E sarebbe accettare finalmente le condizioni che lo stesso Mons. Lefebvre accettò il 5 maggio 1988, ma che poi, disgraziatamente per tutta la Chiesa, ritrattò; ne riporto il nucleo essenziale:
    Protocollo fissato nel corso della riunione tenutasi a Roma il 4 maggio 1988 tra S. Em. il Cardinale Joseph Ratzinger e S. Ecc. Mons. Marcel Lefèbvre, e firmato dai due prelati il 5 maggio 1988.
    I - Testo della dichiarazione dottrinale
    Io, Marcel Lefèbvre, arcivescovo e vescovo emerito di Tulle, insieme con i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X da me fondata:
    1) promettiamo di essere sempre fedeli alla Chiesa cattolica e al romano Pontefice, suo Pastore Supremo, Vicario di Cristo, Successore del Beato Pietro nel suo primato e Capo del corpo dei vescovi.
    2) Dichiariamo di accettare la dottrina contenuta nel n° 25 della Costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II sul Magistero ecclesiastico e sull'adesione che gli è dovuta.
    3) A proposito di certi punti insegnati dal Concilio Vaticano II o relativi alle riforme posteriori della liturgia e del diritto, che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, ci impegniamo ad assumere un atteggiamento positivo di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando ogni polemica.
    4) Dichiariamo inoltre di riconoscere la validità del Sacrificio della messa e dei sacramenti celebrati con l'intenzione di fare ciò che fa la Ch

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    LEZIONI DI EVANGELIZZAZIONE SECONDO IL VANGELO di Pietro Guidi
    Si sente dire spesso che la Chiesa nel passato si era arroccata troppo nelle sue posizioni e nelle sue strutture mostrando alla gente un volto freddo e distante. Secondo queste persone bisognerebbe ricominciare ad evangelizzare senza aver paura di mischiarsi con il mondo. La gente smetterebbe così di considerare la Chiesa come un posto pieno di rigidi moralisti che vogliono insegnargli cosa fare e inizierebbero a vederla come una realtà più vicina a loro e la seguirebbero. Se solo smettessimo di combattere il mondo e incominciassimo a considerarlo nostro amico...
    Diamo uno sguardo su come è intesa la missionarietà oggi e di come l'abbiano intesa Gesù e la Chiesa da sempre. Il Vangelo ci dà qualche indicazione precisa quando Cristo invia i settantadue discepoli: «In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!" Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra» (Lc 10,5-8).
    Altro che testimoni di Geova che girano distribuendo volantini e improvvisando prediche per diffondere l'annuncio a quante più persone possibili. Tutta fatica sprecata! Metodi simili sono usati anche da gruppi ecclesiali che improvvisano giornate con i giovani o evangelizzazione di strada per cercare di accalappiarne qualcuno. Mi ha fatto molto ridere quando mi hanno raccontato che un gruppo cattolico organizzava giornate al mare dove i ragazzi e le ragazze ballavano e invitavano le altre persone a ballare con loro per cercare in qualche modo di convertirle. Fanno il medesimo errore quei cristiani che continuano a frequentare amicizie non cristiane dicendo che ogni tanto gli parlano di fede e che rimangono in questi gruppi per "dare testimonianza" (ma quanto è odiosa la neolingua clericale!).
    LA STABILITÀ
    L'errore di tutte queste esperienze è che manca un requisito fondamentale: la stabilità. "Restate in quella casa" come dice Gesù. Facendo la cosiddetta "pastorale da strada", cioè andando in giro ad attaccare bottone con la gente per parlargli di fede al massimo otterrai qualche domanda di curiosità, forse qualcuno dirà una preghiera, visiterà una chiesa o si confesserà, ma è praticamente impossibile suscitare conversioni vere e durature nel tempo. Le conversioni invece si ottengono molto più facilmente quando c'è un gruppo di cristiani ferventi che attirano a sé nuovi membri in quello che è a tutti gli effetti una piccola società. Dio avrebbe potuto consegnare all'uomo un libro dove c'era scritto tutto quello che doveva fare. Eppure non ha fatto così, ma ha scelto di fondare una Chiesa, cioè una società stabile dei credenti. Questa società è stata poi organizzata a livello locale in modo che ogni luogo avesse la sua chiesa di riferimento (oggi: la parrocchia) in cui coltivare la fede inseriti in un gruppo che condividesse e sostenesse le stesse scelte di vita. Dio ha fatto così perché l'uomo per natura è un animale sociale e ha bisogno di essere inserito in una società per raggiungere il bene, sia dal punto di vista naturale (scambiando beni e servizi, e contribuendo alla difesa del territorio) che soprannaturale. Il metodo della Chiesa è sempre stato quello di stabilirsi in un posto raccogliendo tutte le persone di buona volontà e iniziando a fondare una nuova società.
    Tutto il resto è solo una conseguenza. Infatti all'interno di questa nuova società inizieranno a nascere amicizie, società lavorative, svaghi, cultura, matrimoni ecc. Quando nasceranno i figli ci si porrà il problema di come educarli e quindi i genitori, sotto la supervisione della Chiesa, si metteranno d'accordo per insegnare ai loro figli la religione e tutte le altre cose. Poi ci sarà il problema di trasmettere ai figli (maschi) un mestiere. Queste comunità produrranno una cultura interamente cattolica nella letteratura, nella musica, nell'arte ecc.
    UNA CITTÀ COLLOCATA SOPRA UN MONTE
    A questo punto non ci sarà bisogno di andare in giro a mischiarsi col mondo, ma la società dei cristiani attirerà a sé tantissime persone. È il concetto che esprime Gesù quando paragona la Chiesa ad una città sopra un monte: "Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,14-16). Sentendo dire che la Chiesa è una città sopra al monte si potrebbe pensare che è chiusa in sé stessa e che quindi non porti davvero il vangelo a tutte le creature, ma non è così. La città sopra il monte è disposta ad accogliere tutti gli uomini del mondo, purché si sottomettano alle sue regole, abbandonino il mondo e si mettano umilmente fra le sue braccia. Ben venga il malvagio se si converte, altrimenti no perché non possiamo venire a patti con il male.
    Quello che la Chiesa non farà mai è scendere dal monte per andare a compromesso con la città degli uomini nel vano tentativo di accattivarsi più persone. C'è una cosa di fondo che è necessario capire se si vuol capire tutto questo discorso: la Chiesa non ha nessun bisogno del mondo perché il mondo non ha niente da offrire a chi ha Gesù Cristo. Il mondo pensa di avere qualcosa da insegnare alla Chiesa, ma è solo la sua ignoranza smisurata che glielo fa pensare. Come possono pensare degli uomini di avere qualcosa da dire al proprio Creatore e alla Chiesa da Lui fondata e sostenuta? È vero piuttosto l'opposto: è il mondo ad avere un bisogno disperato della Chiesa e del suo divino Redentore. Se soltanto gli uomini di questo tempo riconoscessero umilmente, in mezzo al loro delirio di onnipotenza, che non sono niente e che Dio potrebbe spazzarli via dalla terra in un solo momento allora noi li riconosceremmo come fratelli e li accoglieremmo nella nuova Gerusalemme che è la Chiesa. Ma fino a quel giorno fra i figli di Dio e i figli del mondo ci sarà guerra. E se qualche cristiano avesse paura di fronte al mondo, può rileggere quando Gesù afferma chiaramente: "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33)

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    LA CRISI NELLA CHIESA ESIGE CHIAREZZA ANCHE CON I LEFEBVRIANI
    La risposta alla crisi di fede non può essere una posizione ideologica, ma un desiderio di verità e di conversione
    di Riccardo Cascioli
    Quando abbiamo deciso di affrontare il tema della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), in linea con un discorso sulla crisi della Chiesa iniziato già da tempo, avevamo messo in preventivo delle reazioni dure. Ma la violenza verbale, gli insulti, le insinuazioni e anche le minacce di tanti leoni da tastiera che ci sono piovute sui social in questi giorni vanno anche oltre le previsioni. E sono significative, perché dicono della "spiritualità" e della sensibilità cattolica di questo mondo molto più della serie di articoli di Luisella Scrosati, serie che termina oggi.
    In ogni caso queste reazioni scomposte ci rafforzano nella convinzione che era ed è necessario un lavoro per fare chiarezza su quanto stiamo vivendo. Che la Chiesa stia attraversando una profonda crisi che ha portato disorientamento e confusione in tantissimi fedeli è un dato di fatto. Lo documentiamo sistematicamente fin dalla nascita della Bussola: c'è una fortissima spinta alla protestantizzazione che purtroppo arriva anche dall'alto e ora si sta concentrando sul prossimo Sinodo di ottobre.
    RIFUGI IN CUI SENTIRSI GIUSTI
    Ma la risposta non può essere reattiva, sentimentale o anche brandendo parti della dottrina cattolica cercandovi giustificazioni alla propria condotta. Abbiamo già scritto nei mesi scorsi sulle tentazioni di una fuga verso realtà che si autoproclamano depositarie della verità ma che si collocano fuori dalla Chiesa. Sempre più fedeli sono attratti da queste realtà pensando così di mantenersi "cattolici". Ma alla fine, anche se tanti sono in buona fede, si tratta spesso di rifugi in cui sentirsi "giusti" e in cui si può essere esentati dalla propria conversione. Perché se un problema esiste è sempre colpa degli altri: i modernisti, i conservatori, i seguaci di questo o quel Papa, il Concilio, la messa Novus Ordo, e così via.
    In fondo è una visione ideologica e politica della Chiesa, trattata come fosse un partito o un governo, in cui tutto dipende dalla "linea" impressa da chi li guida. Ma la Chiesa è ben altro, non dipende dal Papa e dai vescovi, è Cristo che la guida. Ciò non toglie che ognuno di noi abbia il dovere di fare il possibile perché la Chiesa rifletta nel modo più trasparente possibile la Verità, ma anzitutto desiderando la propria santità. Si dice tante volte che sono i santi i veri riformatori della Chiesa, ma bisogna essere consapevoli che costoro pensano anzitutto alla propria conversione, mendicandola da Cristo, sopportando per Lui - anche dentro la Chiesa - ogni persecuzione ed umiliazione. Solo per fare un esempio recente, possiamo pensare a San Pio da Pietrelcina.
    Non è la prima volta che la Chiesa vive una grave crisi e sempre ne è uscita solo grazie ai santi, a coloro che hanno vissuto nella propria carne la sofferenza di appartenere a Cristo, rifuggendo la tentazione di farsi una Chiesa "giusta", "povera", "non corrotta". Pensiamo alle vicende parallele di san Francesco e Valdo, come hanno vissuto la povertà nella Chiesa e gli opposti esiti a cui hanno dato origine. Né possiamo negare che lo stesso Lutero dichiarasse di voler salvare la verità della Chiesa: sappiamo come è andata a finire e come invece la Chiesa sia rinata grazie ai santi della Controriforma.
    LA STRADA CORRETTA
    Allora, davanti a una crisi così importante è decisivo imboccare la strada corretta, seguire chi - pur tra mille difficoltà - permane nella Verità dentro la Chiesa cattolica, seguire chi più testimonia la santità e l'appartenenza piuttosto che chi fa i bei discorsi o chi si autoproclama "illuminato".
    Per questo riteniamo importante fare chiarezza, fare emergere le reali situazioni di persone e comunità, indicare ciò che è nel solco dell'insegnamento perenne della Chiesa e cosa no, smascherare chi sfrutta le situazioni di chiaroscuro per guadagnare proseliti e potere. Poi ognuno scelga la strada che preferisce, ma almeno nella consapevolezza e nella trasparenza.
    Qualcuno potrebbe chiedersi perché dedicare comunque così tanti articoli alla FSSPX. È presto detto: la situazione è delicata e complessa, negli anni ci sono stati diversi sviluppi che hanno creato ancor più confusione, per cui è necessario spiegare bene i diversi punti in questione. Tanto più che c'è un numero crescente di simpatizzanti, ignari di come stiano veramente le cose e convinti che partecipare alle messe della Fraternità sia pienamente legittimo per un cattolico.
    Quindi nessun attacco, soltanto una necessità di chiarezza.
    Ma c'è anche un altro punto che vale la pena sottolineare. A lefebvriani e simpatizzanti piace presentarsi come alternativi a Roma. Eppure oggi, volenti o nolenti, si trovano ad essere i migliori alleati di papa Francesco che, a sua volta, spinge verso la FSSPX numerosi fedeli. L'attacco costante del Papa alla Messa in rito antico e agli istituti ex Ecclesia Dei, che ha avuto il suo culmine con il Motu Proprio Traditionis Custodes (16 luglio 2021), è oggettivamente un regalo alla Fraternità, che osteggia il Summorum Pontificum quanto papa Francesco. Il nemico comune è la visione di Benedetto XVI che vedeva Vetus e Novus Ordo come due forme dello stesso rito, e che vedeva la continuità della Chiesa tra prima e dopo Concilio Vaticano II. Altro che alternativi.

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7522

    NASCE LA BUSSOLA MENSILE, RIVISTA DI FORMAZIONE APOLOGETICA di Riccardo Cascioli
    La mancanza di una seria formazione nella fede ha indebolito e diviso la Chiesa. È il concetto espresso lo scorso 14 agosto dall'arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, in una intervista a Fox News Digital. «Purtroppo - ha detto - ci sono molti cattolici che non seguono l'insegnamento della Chiesa perché non è mai stato insegnato loro. (...) Così le loro vite non sono informate dalla fede, e anche se si identificano come cattolici, la loro vita, le loro priorità, e a volte anche i loro valori sono determinati più dal mondo secolare che non dalla fede cattolica».
    È un giudizio molto chiaro e netto quello del vescovo Cordileone che alla Bussola condividiamo completamente. È per questo che oltre un anno fa abbiamo deciso di proporre l'Ora di dottrina ogni domenica. E ora siamo pronti per un passo successivo: la Bussola mensile, una rivista cartacea tutta dedicata alla formazione apologetica, che uscirà con il primo numero a ottobre.
    Perché un nuovo mensile?
    In un momento di grave confusione nella Chiesa, in cui agli attacchi esterni si sommano quelli ancora più insidiosi che vengono dall'interno, e dove la reazione è spesso emotiva se non irrazionale, vogliamo riproporre in modo semplice ma rigoroso l'insegnamento perenne della Chiesa e le ragioni che fondano la nostra fede.
    UN MENSILE CHE PERMETTE DI PERSEVERARE NELLA VERITÀ
    Potrebbe sembrare una scommessa azzardata: mentre tutti i giornali e periodici nati sulla carta si buttano sul web, la Bussola fa il percorso inverso: pur avendo rafforzato la presenza quotidiana sul web (vedi il recente restyling), crea un prodotto cartaceo. Ma lo facciamo proprio per la consapevolezza di quell'esigenza di formazione di cui parla il vescovo Cordileone e perché la rivista cartacea ha ancora un valore per articoli e approfondimenti che vogliono essere punti fermi per la vita dei credenti e non sono quindi destinati a passare di moda davanti all'incalzare dell'attualità.
    Teologia, liturgia, filosofia, storia, arte e cultura, dottrina sociale, spiritualità e preghiera, e altro ancora: ogni mese 32 pagine per abbeverarsi alla fonte che permette di perseverare nella Verità.
    È un mensile per tutti, è la possibilità di comprendere il significato profondo e le implicazioni di tanti fenomeni e dibattiti di attualità nella Chiesa e nella società.
    Non a caso, nel primo numero di ottobre, l'approfondimento di Primo piano e la copertina sono dedicati al Sinodo sulla sinodalità che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 29 ottobre prossimi.
    E la presentazione ufficiale de La Bussola mensile avverrà a Roma il 3 ottobre proprio con un Convegno intitolato "La Babele sinodale", con gli interventi del cardinale Raymond Burke, di padre Gerald Murray e Stefano Fontana. L'evento si svolgerà al Teatro Ghione, in via delle Fornaci 37 (a due passi da Piazza San Pietro) alle ore 16.
    COME ABBONARSI A LA BUSSOLA MENSILE
    È possibile acquistare La Bussola mensile abbonandosi (il costo annuo per 11 numeri è di 30 euro) o acquistando le singole copie nelle parrocchie che la esporranno.
    Per l'abbonamento si può pagare con:
    - Paypal e carta di credito, clicca qui;
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  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7520

    UN VASO DI PANDORA CHE POTREBBE DANNEGGIARE LA CHIESA
    Pubblichiamo l'introduzione al libro della TFP per aprire gli occhi sul sinodo sulla sinodalità (è possibile richiedere una copia cartacea oppure scaricare gratuitamente la versione digitale)
    di José Antonio Ureta e Julio Loredo
    Con il titolo "Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione", Papa Francesco ha convocato a Roma un "Sinodo sulla sinodalità". Si tratta della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
    Nonostante la sua incidenza potenzialmente rivoluzionaria, il dibattito attorno a questo Sinodo è rimasto perlopiù ristretto agli "addetti ai lavori". Il grande pubblico ne sa poco. Il presente libro vorrebbe colmare questa lacuna, spiegando in modo semplice la posta in gioco. C'è in atto un piano per riformare Santa Madre Chiesa che, se portato alle ultime conseguenze, potrebbe sovvertirla sin dalle sue fondamenta.
    Per quanto si presenti come un'Assemblea Ordinaria, diversi fattori fanno di questo Sinodo un evento fuori dal comune, che taluni vorrebbero fungesse persino da spartiacque nella storia della Chiesa, una sorta di Concilio Vaticano III de facto.
    UN'ASSEMBLEA PER NULLA "ORDINARIA"
    Un primo fattore è la sua stessa struttura. Dopo un'ampia consultazione internazionale, sono previste ben due sessioni plenarie a Roma, nel 2023 e 2024, precedute da un ritiro spirituale per i partecipanti.
    Un secondo fattore è il suo contenuto. Mentre le Assemblee generali ordinarie solitamente trattano temi specifici (i Giovani nel 2018, la Famiglia nel 2015 e via dicendo), questa volta si vuole mettere in discussione la struttura stessa della Chiesa. Si propone di ripensare la Chiesa, trasformandola in una nuova «Chiesa costitutivamente sinodale», modificando elementi basilari della sua costituzione organica. Questo cambiamento potrebbe essere potenzialmente radicale, poiché alcuni documenti sinodali parlano di una "conversione", come se la Chiesa avesse finora percorso un cammino sbagliato e dovesse fare un'inversione a "U".
    Un terzo fattore che fa di quest'assemblea un evento fuori dal comune è il suo carattere di processo. Questo Sinodo non intende discutere di questioni dottrinali o pastorali, per poi giungere a certe conclusioni, bensì intraprendere un "processo ecclesiale" per riformare la Chiesa. Non pochi temono che si apra un vaso di Pandora.
    In questo modo, la "sinodalità" rischia di diventare una di quelle "parole talismaniche" di cui parlava il pensatore cattolico Plinio Corrêa de Oliveira: una parola che comporta una grande elasticità, suscettibile di essere fortemente radicalizzata, della quale si abusa per scopi propagandistici. Manipolata dalla propaganda, «la parola-talismano viene usata tendenziosamente, e comincia a rifulgere di un brillìo che affascina il paziente e lo conduce molto più lontano di quanto avrebbe potuto immaginare».
    Questa riforma sinodale - dice la Commissione Teologica Internazionale - andrebbe a recuperare vecchie strutture di partecipazione comunitaria della Chiesa del primo millennio, troppo a lungo trascurate a causa dell'egemonia di un'ecclesiologia di carattere gerarchico che si tratterebbe di superare.
    Il Sinodo sulla sinodalità si presenta così come uno spartiacque nella storia della Chiesa e, in concreto, dell'attuale Pontificato. Secondo il vaticanista Jean-Marie Guénois, Francesco «sta preparando la sua riforma capitale: quella della sinodalità. Egli spera di convertire la Chiesa, piramidale, centralizzata e clericalizzata, in una comunità più democratica e decentralizzata, dove il potere sarà maggiormente condiviso con i laici».
    IL SYNODALER WEG TEDESCO
    Fra i più radicali sostenitori della "conversione sinodale" della Chiesa vi è la Conferenza episcopale tedesca, che ha promosso un "cammino" tutto suo: il Synodaler Weg. Questo Weg concentra e rilancia le rivendicazioni decennali più estreme del progressismo tedesco.
    Nelle intenzioni dei suoi promotori, il Weg non si dovrebbe limitare alla Germania, bensì servire da modello e da traino per il Sinodo universale. Nel vasto universo dei promotori della "sinodalità", i tedeschi appaiono così come una fazione estrema, sebbene articolata e influente. Fra noti vaticanisti c'è il timore che, un po' com'era successo ai tempi del Concilio Vaticano II, quando "il Reno si gettò nel Tevere", l'influenza dei progressisti tedeschi possa essere determinante nei lavori sinodali.
    Portato alle ultime conseguenze, il Weg implicherebbe una profonda sovversione di Santa Romana Chiesa. A dirlo è il cardinale Gerhard Müller, già Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Stanno sognando un'altra chiesa che non ha nulla a che fare con la fede cattolica e vogliono abusare di questo processo, per spostare la Chiesa cattolica, non solo in un'altra direzione, ma verso la (sua) distruzione».
    Se anche una sola parte del Weg tedesco dovesse essere accettata dal Sinodo universale, potrebbe sfigurare la Chiesa così come la conosciamo. Ovviamente, non si tratta della fine della Chiesa Cattolica. Confortata dalla promessa divina, essa ha la certezza dell'indefettibilità, cioè quella prerogativa in virtù della quale durerà sino alla fine dei tempi (Mt 28, 20), e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa (Mt 16, 18).
    UN CAMMINO FALLIMENTARE
    Prima di applicare il "Cammino sinodale" alla Chiesa cattolica, i suoi promotori forse farebbero meglio a studiare simili esperienze, rivelatesi fallimentari, in altre confessioni. Prendiamo l'esempio della Chiesa d'Inghilterra, che intraprese il suo particolare "cammino sinodale" negli anni Cinquanta del secolo scorso.
    La testimonianza di Gavin Ashenden, ex vescovo anglicano e già cappellano di S.M. la Regina Elisabetta, convertitosi al cattolicesimo, è degna di nota: «Credo che gli ex anglicani possono essere di qualche aiuto, perché hanno già visto lo stratagemma della sinodalità applicato alla Chiesa d'Inghilterra, con effetti divisivi e distruttivi. Da ex anglicani, noi abbiamo già visto questo trucco. Fa parte della spiritualità dei progressisti. In poche parole, avvolgono contenuti quasi marxisti in un linguaggio spirituale e poi parlano dello Spirito Santo».
    Un simile ammonimento viene rivolto anche da P. Michael Nazir-Ali, già vescovo anglicano di Rochester e oggi sacerdote cattolico. A suo parere, «dobbiamo imparare dalla confusione e caos derivanti da quanto è successo nella Chiesa d'Inghilterra e in alcune chiese protestanti liberali».
    Ma non bisogna nemmeno andare troppo lontano per constatare il fallimento di questo approccio. Basti guardare al disastro della Chiesa in Germania. È paradossale che proprio il Synodaler Weg debba servire da modello per la riforma della Chiesa universale. A nessuno sfugge che la Chiesa in Germania stia quasi scomparendo e si trovi nella peggiore crisi della sua storia, proprio in conseguenza dell'applicazione di idee e di pratiche simili a quelle che ispirano il Weg.
    Perché si vuole imporre alla Chiesa un "cammino" che in altri luoghi ha portato al disastro?
    D'altronde, come questo libro dimostrerà, il Cammino sinodale - sia quello universale sia quello tedesco - non entusiasma quasi nessuno. Il numero delle persone coinvolte nei vari processi consultivi è irrisorio. C'è un'indifferenza generalizzata. Sapranno i promotori del Cammino sinodale interpretare questa indifferenza? Si renderanno conto che stanno giocando una partita con gli spalti vuoti? Fosse una partita di calcio... ma è in gioco nientemeno che la Sposa di Cristo!
    DAL CONCILIARISMO ALLA SINODALITÀ PERMANENTE
    Per quanto si presenti come "moderno" e "aggiornato", lo spirito sinodale attinge a vecchi errori ed eresie.
    Già all'inizio del secolo XV, col pretesto di adattare la Chiesa alla nuova mentalità nata con l'Umanesimo, sorse la corrente detta "conciliarista", che intendeva ridurre il potere gerarchico del Papa in favore di un'assemblea conciliare. La Chiesa avrebbe dovuto strutturarsi, come espressione della volontà dei fedeli, in "sinodi" locali e regionali, largamente autonomi, ognuno con la sua lingua e i suoi costumi. Questi sinodi si sarebbero dovuti poi riunire periodicamente in un "Concilio generale" o "Santo Sinodo", detentore della massima autorità nella Chiesa. Il Papa, ridotto a un primus inter pares, avrebbe dovuto a sua volta sottomettersi alle decisioni dei concili, mediante il voto paritario dei partecipanti.
    Nelle sue manifestazioni più autentiche, lo spirito che anima il Synodaler Weg tedesco, e anche il cammino sinodale universale, non fa altro che assumere e rilanciare questi vecchi errori, già condannati da diversi Papi e Concili. Vecchi errori denunciati dal teologo Joseph Ratzinger: «L'idea del sinodo misto quale suprema autorità permanente di governo delle chiese nazionali è, alla luce della Tradizione della Chiesa, così come alla luce della struttura sacramentale e del fine specifico della Chiesa, una chimera. A un sinodo del genere mancherebbe ogni legittimità e ad esso bisognerebbe decisamente e chiaramente rifiutare l'obbedienza».

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    COSA RESTA DELLA GMG? UN PRESUNTO MIRACOLO E UNA QUASI CERTA IGNORANZA
    Se c'era una storia veramente speciale che questa Gmg di Lisbona poteva lasciarci, questa lo è senza dubbio. Secondo quello che ha riportato la radio spagnola COPE, Jimena, una ragazza di 16 anni di Madrid, presente a Lisbona insieme a un gruppo dell'Opus Dei, ha recuperato la vista a Fatima quando ha ricevuto la Comunione, proprio nel giorno della festa della Vergine della Neve, alla quale stava facendo una novena di preghiera per chiedere il miracolo della sua guarigione.
    «Ho aperto gli occhi e vedevo perfettamente», così ha testimoniato la ragazza che da due anni e mezzo è praticamente cieca a causa di una progressiva perdita della vista. Il fatto sarebbe accaduto la mattina del 5 agosto, mentre anche il Santo Padre recitava il Rosario nel Santuario di Fatima.
    Nell'audio della radio spagnola COPE (potete ascoltarlo nel video qui sopra) la ragazza spiega che quella mattina si è svegliata come al solito da due anni e mezzo a questa parte, e cioè «vedendo super sfocato». Quindi ha raccontato di essere «andata a messa con i miei amici perché siamo alla GMG» e «dopo aver ricevuto la Comunione sono andata alla mia panca e ho iniziato a piangere molto perché era l'ultimo giorno della novena e volevo guarire e ho chiesto molto favore a Dio e quando ho aperto gli occhi ci vedevo perfettamente».
    «Era troppo», racconta concitata, e «dobbiamo ringraziare molto per il miracolo, perché ho visto l'altare, il Tabernacolo, c'erano i miei amici e ho potuto vederli perfettamente. Mi sono accorta che avevano due anni e mezzo in più di quanto li ricordassi, sono un po' cambiati, ma sono sempre loro. E poi mi sono guardata allo specchio più tardi, sono un po' cambiata anch'io...».
    La giovane si dice «super felice» e ringrazia tutti coloro che hanno fatto parte del gruppo di preghiera per la novena. «Questa è stata una prova di fede, la Vergine mi ha fatto un grande dono che non dimenticherò», rimarca.
    Il cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona e presidente della Conferenza episcopale spagnola (CEE), ha detto ad Aci prensa che questo possibile miracolo è «una grazia di Dio», rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa al termine della GMG dal parco Eduardo VII di Lisbona.
    Il cardinale poi ha detto che è stato in grado di parlare con Jimena attraverso una videochiamata e che lei ha spiegato cosa è successo. «La ragazza era estremamente emozionata», ha aggiunto il cardinale, «era cieca da tempo e da due o tre anni imparava il metodo braille».
    Inoltre, il porporato ha sottolineato che Jimena «ha dovuto leggere la preghiera di ringraziamento quel giorno alla Messa con il gruppo di Madrid» e che, dopo aver ricevuto la Comunione, ha potuto leggerla senza alcun problema. La giovane ha anche raccontato al Cardinale che era «da nove giorni che chiedevano alla Vergine la sua guarigione».
    Infine, Omella ha precisato che il miracolo «poi dovranno valutarlo i medici, com'era, se lo era, se si poteva curare o meno. Ma finora per la ragazza è stato un grande evento. Diciamo un miracolo. Non vedeva e ora vede. Adesso i dottori potranno dire il resto, ma lei torna a casa e ci vede».
    Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "I giovani di Lisbona e la DSC" Stefano Fontana esprime delle riserve sul fatto che si invitano i giovani ad agire, ma senza dargli i riferimenti dottrinali per impegnarsi nelle cause giuste alla luce del vangelo e non del mondo.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 16 agosto 2023:
    I giovani a Lisbona erano tanti. Chi si interessa di Dottrina sociale della Chiesa si chiede se e quanti di loro, tornati a casa, si daranno da fare in questo campo. So bene che la GMG non era dedicata a questo, però ai giovani è stato dato un forte invito a "sporcarsi le mani" nell'aiuto agli altri e ad interessarsi attivamente dei problemi che soffocano oggi la società. Molte di queste minacce sociali sono state anche chiamate per nome durante gli incontri di Lisbona.
    Allora, la domanda è lecita e pertinente: questi giovani andranno a sporcarsi le mani a seguito dei gruppi dell'ecologismo radicale? Si mobiliteranno per l'integrazione delle persone LGBT? Oppure si aggregheranno a movimenti pro-life e pro-family? Probabilmente a nessuno verrà in mente di leggersi qualche enciclica sociale di Leone XIII o di Giovanni Paolo II, non arrivo nemmeno a pensarlo, ma torneranno a casa con una disponibilità, ancora generica e da precisare ma presente, di agire nella società e nella politica "da cattolici"? Pensando che la propria fede ha molto da dire al riguardo, in raccordo con la ragione? Avranno percepito l'esistenza di questo orizzonte di riferimento, quello che si chiama Dottrina sociale della Chiesa anche se loro non la conoscono? Secondo me no. Sicché anche se fosse vero che la presenza di tutti quei giovani ha dimostrato che un mondo nuovo è possibile - come ha detto Francesco - per quale mondo nuovo quei giovani si impegneranno non ci è dato di sapere. La probabilità, anzi, che essi possano impegnarsi per un mondo anticristiano, senza saperlo e pensando di fare il contrario, è molto alta. A Lisbona le indicazioni su come debba essere il mondo che i giovani sono invitati a costruire erano confuse, generiche e in molti casi retoriche. Se si impegneranno per il clima, per esempio, lo faranno collocandosi dalla parte sbagliata, a partire da quanto sentito a Lisbona. Se dovessero decidere di entrare in qualche partito ne sceglieranno uno ecologista anche se favorevole all'aborto, a partire da quanto sentito a Lisbona.
    Un test interessante a questo proposito è vedere cosa abbia detto Francesco ai giovani nella veglia passata assieme a loro il 5 agosto scorso. Il papa li ha invitati ad "allenarsi a camminare". Cioè abituarsi a guardare gli altri dall'alto in basso per sollevarli quando per la stanchezza si lasciano cadere, quindi ha detto che la gioia di fare questo l'abbiamo ricevuta da altri che dobbiamo ringraziare, poi ha detto che scopo della vita è vivere quello che abbiamo dentro, ossia la nostra vocazione e questo si impara non in una biblioteca, ma nella vita, ossia camminando. Poi ha così concluso "Vi lascio questi spunti. Camminare e, se si cade, rialzarsi; camminare con una meta; allenarsi tutti i giorni nella vita. Nella vita, nulla è gratis, tutto si paga. Solo una cosa è gratis: l'amore di Gesù! Quindi, con questo gratis che abbiamo - l'amore di Gesù - e con la voglia di camminare, camminiamo nella speranza, guardiamo alle nostre radici e andiamo avanti, senza paura. Non abbiate paura. Grazie! Ciao!". In questo discorso non riesco a trovare nessun elemento di contenuto, tale da fornire ai giovani qualche criterio per valutare cosa differenzi un mondo giusto da un mondo ingiusto e che li preservi dall'essere ingannati dalle ideologie di oggi, che stanno investendo ampiamente anche la fede, quando ritorneranno alle loro case.

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=315

    GMG, IL VITELLO D'ORO DELL'AMBIENTALISMO (AL POSTO DI DIO) di Tommaso Scandroglio
    Ieri è iniziata la Giornata mondiale della gioventù (Gmg) a Lisbona. Oggi, 2 agosto, tra le varie iniziative, c'è la prima Rise Up (Alzati), ossia, così come presentata dagli organizzatori, una nuova forma di catechesi, così nuova che non sembra proprio una catechesi. Nella giornata odierna infatti si parlerà di Ecologia integrale: la cura per l'altro e per l'intero creato (le altre due Rise Up - nome che ricorda tanto una bevanda gassata e zuccherina - riguarderanno l'Amicizia Sociale e la Misericordia).
    Il sito ufficiale della Gmg presenta la catechesi odierna tramite un video in cui un giovane così ci istruisce: «Riflettiamo sulle risorse del pianeta e su cosa lasciamo alle generazioni future. Prendersi cura della casa comune implica riflettere sulla dimensione umana e sociale. L'ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune. […] Nella Laudato si', papa Francesco ci presenta san Francesco d'Assisi come principale esempio in quanto vive in meravigliosa armonia con Dio, gli altri, la natura e sé stesso. Questa ambizione dobbiamo farla nostra! […] Un'ecologia integrale richiede tempo per ritrovare una serena armonia con il Creato, riflettere sul nostro stile di vita e sui nostri ideali, contemplare il Creatore. Tutto è collegato. L'esistenza umana riposa su tre pilastri fondamentali: la relazione con Dio, con gli altri e con la Terra. […] Prenditi cura della nostra casa comune! Ora!».
    Nei mesi precedenti i giovani di tutte le diocesi del mondo erano stati invitati a prepararsi a discutere su questa tematica per mezzo di alcuni incontri. Nel manualetto esplicativo per organizzare questi incontri si spiegava che, in relazione alla tematica ecologica, «questo incontro preparatorio mira a fornire ai giovani un tempo di ascolto reciproco sulle varie dimensioni dell'ecologia integrale». A seguire venivano indicate tali dimensioni: «inquinamento e cambiamenti climatici; la questione dell'acqua; perdita di biodiversità; deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale; iniquità planetaria».
    Fedeli al comando di monsignor Américo Aguiar, responsabile della Gmg di Lisbona, che ha ordinato di non far cenno all'evangelizzazione durante la Gmg, ecco che i giovani parleranno, ascolteranno e discuteranno di riscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai e condizionatori. Alla desertificazione della fede hanno sostituito la desertificazione climatico-ambientale; all'inquinamento delle anime l'inquinamento di fiumi, laghi e mari; all'integrità morale l'ecologia integrale; alla salvezza eterna quella breve legata alla lotta contro il riscaldamento globale; alla conversione a Dio la conversione ambientale; ai sacramenti la raccolta differenziata e le auto elettriche; alla diversità di carismi la biodiversità; all'esame di coscienza l'autoaccusa del riscaldamento globale antropico; alle processioni le marce ambientaliste; ai venerdì di magro i Fridays for Future; al timor Dei l'ecoansia; alla Madonna Greta Thunberg. Al culto a Dio il culto della dea Terra.
    La Gioventù del Littorio Ambientalista, di verde vestita, è pronta dunque a farsi convertire, anzi a farsi pervertire. Infatti l'ambientalismo c'entra con il cattolicesimo come Al-Qāʿida c'entra con la pace nel mondo. Il corretto rapporto tra credente e creato s'incardina su questi aspetti. Primo: ogni ente naturale è in sé buono perché trova in Dio la sua causa prima. In esso quindi riluce una qualche perfezione del Creatore, sebbene anche la natura abbia subìto il riverbero negativo del peccato originale («maledetto sia il suolo per causa tua!»: ecco in Genesi 3,17 la spiegazione ultima di inondazioni, tsunami, incendi, terremoti, tifoni e altro ancora). Secondo: la bontà della creazione che in noi si appalesa nella sua bellezza e nella sua intima razionalità provoca o deve provocare un inno di lode a Dio. Questo fece san Francesco. Terzo: il creato può e deve essere usato dall'uomo per l'uomo, ossia per la sua santificazione, e non deve essere abusato non perché la coccinella o il ghiacciaio abbiano dei diritti (non possono averli perché non sono persone), ma perché il valore intrinseco dei beni creati - tra loro armonicamente diseguali - e il rispetto della dignità personale implicano condotte consone a questi due aspetti. Ciò per dire che, se torturo un gatto, non mi comporto in modo adeguato al valore del quadrupede e soprattutto alla dignità mia personale.
    L'ambientalismo, anche in salsa cattolica, invece assegna una dignità personale ad animali, vegetali e cose; e così una tematica oggettivamente marginale diventa necessariamente centrale, anche per riempire un vuoto di contenuti palese nella pastorale della Chiesa dato che il proprium dottrinale cattolico è stato pressoché cancellato. Assegnando dunque alle creature non umane un valore che non hanno, l'ambientalismo ribalta l'ordine gerarchico che vede l'uomo superiore per dignità alle altre creature corporee, spingendolo in basso e accusandolo di sfruttare il pianeta. Una dinamica schiettamente satanica, dato che il diavolo può solo creare disordine, ossia invertire specularmente il valore intrinseco dei beni. Il vitello d'oro sta ora pascolando in quel di Lisbona.
    Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "A Lisbona una GMG senza Cristo. E lo fanno cardinale" denuncia le gravissime parole di mons. Américo Aguiar, responsabile della GMG di Lisbona e appena nominato cardinale, che non vuole assolutamente convertire i giovani a Cristo.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 luglio 2023:
    «Non vogliamo convertire i giovani a Cristo o alla Chiesa cattolica. Niente di tutto questo, assolutamente». Queste parole, pronunciate nel corso di un'intervista alla Radio Televisione Portoghese (RTP) lo scorso 6 luglio dal vescovo ausiliare di Lisbona, Américo Aguiar, per spiegare il senso della prossima Giornata Mondiale dei Giovani (GMG) che si svolgerà a Lisbona dall'1 al 6 agosto, hanno fatto molto scalpore e provocato giustamente reazioni attonite e indignate. Si dà il caso infatti che monsignor Aguiar non solo è il responsabile della GMG di Lisbona ma figura tra i 21 nuovi cardinali annunciati il 9 luglio da papa Francesco e che riceveranno la berretta rossa nel Concistoro del prossimo 30 settembre.
    Come spesso accade in queste situazioni, davanti alla reazione dell'opinione pubblica cattolica e visto che nel frattempo è stato nominato cardinale, monsignor Aguiar ha cercato di riparare con un'altra intervista - questa volta ad ACI Digital - per precisare meglio, lamentandosi della strumentalizzazione delle sue parole, estrapolate dal contesto: «La GMG - ha detto - è un invito a tutti i giovani del mondo per fare esperienza di Dio», sulla strada tracciata dall'enciclica Fratelli tutti.
    Onestamente poteva anche fare a meno di precisare, perché il contesto delle sue parole era chiarissimo, così come il concetto di fondo, e le parole aggiunte, se possibile, hanno anche peggiorato l'effetto.
    Dunque, qual è il succo del suo discorso? Che con Fratelli tutti è cambiata la missione della Chiesa: non più annunciare Cristo, ma fare una bella esperienza di tante persone diverse per apprezzare la ricchezza della diversità; e questo sarebbe fare esperienza di Dio. «La GMG è un grido di questa Fraternità universale - aveva detto a RTP -, vuole essere una scuola pedagogica per vedere il gusto e la gioia di conoscere il diverso. Il diverso deve essere inteso come una ricchezza. Cattolici, non cattolici, religiosi, con la fede, senza la fede: la prima cosa è capire che la diversità è una ricchezza».
    E ancora, dopo la ferma risoluzione di non voler convertire nessuno: «Vogliamo che sia normale che un giovane musulmano, un ebreo o di un'altra religione non abbia problema a decidere chi sei, e che tutti comprendiamo che la diversità è una ricchezza. Così il mondo sarà oggettivamente migliore».
    C'è ben poco da fraintendere: il neo-cardinale portoghese semplicemente non crede che Gesù Cristo sia la risposta vera e definitiva alle domande più profonde di ogni uomo che, in modo particolare, sono vive tra i giovani. Altrimenti vivrebbe casomai la febbre della missione, creerebbe le occasioni per comunicare al mondo di aver trovato la risposta a quelle domande che tutti hanno. Esattamente quello che ha spinto san Giovanni Paolo II a istituire la GMG, un evento che fin dall'origine è stato assolutamente Cristocentrico. Ricordiamo, per capire, le parole che Giovanni Paolo II pronunciò in una memorabile omelia durante la veglia di preghiera alla GMG del Duemila a Roma, davanti a due milioni di giovani: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae;